L'importanza dell'informazione nella resistenza della società civile alla mafia

SANTENA – 15 ottobre 2008 – Il dibattito e le conclusioni dell’incontro sul tema “L’importanza dell’informazione nella resistenza della società civile alla mafia”, organizzato dall’Associazione Culturale Europa e dai presidi di Libera di Chieri e Santena. Interventi di Tonio dell’Olio, Pino Maniaci, Saro Siciliano, Gian Franco Bordin, Domenico Galizio, Bruno Ferragatta.

-seconda parte-

Saro Siciliano
Ho preso la parola perché desidero portare da buon siciliano un grosso segno di solidarietà ad un vescovo siciliano, Michele Pennisi, che ha rifiutato di celebrare un funerale religioso a un grosso boss gelese, Daniele Manuero. Tutte le volte che vado in Sicilia passo a salutarlo, a parlargli. Lui è il primo antimafioso della Sicilia, queste notizie le ho da mio fratello ma anche perché sono abbonato a due riviste siciliane. Io in Sicilia ho vissuto trent’anni e ora, da 44 anni, vivo a Santena. Però con il cuore e con la mente sono rimasto là. Una di queste due riviste riporta come titolo di apertura “Cristiani o mafiosi”, questa è l’alternativa per quelle terre. A seguito del rifiuto il vescovo Pennisi è stato fatto oggetto di volantini anonimi, con offese indicibili e minacce incredibili. Questo mio intervento è solo per dire grazie all’operato di quel vescovo. Ringrazio anche Telejato, per l’opera lodevole che porta avanti. Tutto questo va bene ma la cosa più bella sarebbe che si parlasse più spesso di mafia, nelle nostre famiglie; noi genitori dovremmo parlare con i figli di questi problemi. E anche a scuola si dovrebbe parlare di più della mafia.

Tonio dell’Olio
Io sono impegnato a tempo pieno su questo versante, ricordo una volta ero stato invitato a un convegno con il titolo “Chiesa e lotta alla mafia”. Ho comincia andando alla ricerca dell’accento. Ho detto –ragazzi chi ha fregato l’accento per piacere lo tiri fuori. Il titolo era “Chiesa e – congiunzione – lotta alla mafia”. Eh no: Chiesa è lotta alla mafia, e se non lo è, beh, scusatemi è un problema. E sapete dove è esattamente il problema? Proprio nella vicinanza o meno alla gente. Voi vi ricordate tutti quel momento in cui papa Giovanni Paolo II, nella valle dei Templi dice –mafiosi, non vi è lecito sottrarre la vita agli altri, un giorno dovrete rendere conto davanti al tribunale di Dio delle vostre azioni. Pentitevi. E’ stata una cosa vibrante, che sconcertò tutti. Questa cosa qui non c’era nel protocollo. Io ho cercato di capire come mai era successo questo. Come mai un polacco, che non conosceva la mafia, arrivava a questo. Sapete cosa era successo? Una cosa semplice, semplice, semplice. Il vescovo di Agrigento, a un certo punto, fuori programma, chiese ai genitori di Rosario Livatino, il giudice ragazzino che era stato ucciso, chiese a questi due genitori anziani, di incontrare il papa e, dopo il pranzo in seminario, i genitori furono ammessi alla presenza del Papa. E i due raccontarono chi era questo giovane, in che cosa credeva – tra l’altro era un credente fervente – e gli aprirono anche il diario che Rosario aveva lasciato. E lì c’è una frase che don Luigi Ciotti cita moltissimo –Alla fine della nostra vita non ci verrà chiesto se siamo stati credenti ma credibili. Il papa rimase impressionato e il primo a convertirsi fu lui, di fronte alle lacrime e alla testimonianza di quei genitori anziani. Turbato da quella esperienza, toccata con mano, arriva a celebrare la messa e si sfoga – scusatemi il termine – proprio in quella maniera.
Ecco io penso che quando anche la chiesa gerarchica comincia a toccare con mano, a entrare nelle storie, a conoscere la gente, ma questo – scusatemi, lasciatemelo dire – vale non solo per le mafie, ma anche per tutte le altre questioni, allora si lascia convertire da queste situazioni e parte questa indignazione e poi il percorso. C’è un documento della chiesa italiana, “Educare alla legalità”, un bel documento dei vescovi, del 1991, ma poi, di fatto, io non vedo purtroppo nessuna conseguenza concreta. Lo dico facendo autocritica: oggi, quell’accento che cercavo nel convegno che citavo non lo si è ancora trovato.
Uno prima di proporre i valori alti, la spiritualità, l’eucaristia, la parola di Dio ecc. dovrebbe aver costruito solide fondamenta. Ci sono tanti valori umani, l’onesta, la lealtà, la fedeltà, la parola data. Queste cose terra a terra rappresentano le fondamenta della lotta alla mafia. Queste cose terra a terra purtroppo non si ascoltano quasi mai nelle nostre omelie, non rientrano nei nostri percorsi di catechesi e non fanno parte della pastorale ordinaria. Allora Saro Siciliano tu dicevi bisogna parlare di mafia in famiglia, a scuola, io ci aggiungerei anche la chiesa- Perché Pennisi diventa davvero un esempio, un modello che andrebbe seguito. Attenzione Pennisi non ha fatto altro che esattamente il proprio dovere, cosa che evidentemente altri, in questi anni, non hanno fatto e non stanno facendo. Anzi, la religione è stata spesso usata strumentalmente da alcuni mafiosi. Pietro Alfieri, ad esempio, nel suo covo aveva persino una cappella, ma aveva anche un prete che, ogni giorno, andava a celebrargli la messa. Celebrare messa a un latitante …ma scherziamo? E di esempi come questo se ne possono citare altri mille.

Pino Maniaci
Noi a Partinico abbiamo anche avuto la messa cantata, celebrata nella cattedrale del paese per un bosso mafioso; Nenè Geraci ha avuto la messa celebrata all’interno della chiesa madre di Partinico con tutti gli onori di casa e con la partecipazione anche di qualche assessore comunale che si riempiva la bocca di trasparenza e legalità. Ci sono stati vescovi che hanno girato la testa dall’altra parte. Una volta, non era infrequente, nei paesi della Sicilia, incrociare uniti nel cammino l’arciprete, il medico condotto, il sindaco del paese, il maresciallo e il mafioso locale. La potenza di impatto che la chiesa ha verso i suoi fedeli avrebbe potuto giocare un ruolo più forte nella lotta alla mafia. Alcuni sostengono che la Chiesa dovrebbe fare numerose processioni penitenziali per fare mea culpa di quello che poteva fare e non ha fatto
E allora, società civile, chiesa, informazione; tutti insieme adesso abbiamo la possibilità di voltare pagina. E io l’ho capito bene cosa vuol fare Davide Mattiello, ha avuto un’idea geniale, ha capito che la mafia è radicata nel territorio in modo capillare e semplicemente intende combatterla con le sue armi. Per questo occorre radicare i presidi di Libera tutto là dove si può, alla stessa maniera di come è radicata la mafia. E sono sicuro che ce la faremo.
Il problema è che poche famiglie mafiose, a Partinico sono due o tre le famiglie, sono 50 siciliani che però fanno parlare di Partinico come di un paese di mafia; questo non è giusto. Ora, è possibile che una sola persona che viene arrestato a Santena, faccia parlare male di questa comunità e di questo paese i giornali e quant’altro. Fra qualche giorno leggerete su un quotidiano torinese la storia di questo arrestato che si stava comprando i negozi, che faceva l’usura, infangando l’intera collettività. Alla stessa maniera è la Sicilia; per poche centinaia di famiglie un’isola bellissima – non come qui che c’è nebbia, la c’è sole e mare, ci sono bellezze artistiche e tutto quello che volete – viene infangata da poche persone. Appena si esce fuori dalla Sicilia, scatta l’equazione siciliano = mafioso. Questa deve finire. Questo è stato l’input che ha scatenato noi di Telejato per liberare questa bella isola da poche famiglie mafiose che riescono a infangare un intero popolo, quello siciliano. Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità. Occorre ribellarsi per scrivere la storia. Se ci ribelliamo – scusate se mi esprimo così – questi pezzi di merda li mandiamo in galera, che è il posto dove dovrebbero stare.

Gian Franco Bordin
Il sentimento dell’indignazione è condiviso da un terzo degli italiani, secondo alcune ricerche. Un terzo degli italiani è in grado di indignarsi per il malaffare in politica, per certe relazioni sospette che la politica ha con soggetti malavitosi.
Per molti un politico anche chiacchierato continua a essere innocente fino a che non si arriva al terzo grado di giudizio che confermi la condanna. Come si concilia questo, ad esempio, l’ex presidente della regione Sicilia, un altro è dell’Utri, personaggi con i quali non si dovrebbe neanche chiedere l’ora. La politica si riserva questa sorta di giudizio in via successiva. A noi viene chiesto un’indignazione che quasi è preventiva rispetto all’accertamento di certe responsabilità. Come si concilia questo, come sta in piedi la richiesta che viene fatta a noi di isolare questa gente questi personaggi, quando in certi ambienti politici questi personaggi sono riveriti, e vengono evitati solo a fronte della condanna in terzo grado di giudizio.

Pino Maniaci
Quando ho avuto la macchina bruciata ho avuto l’onore di ricevere la seconda carica del senato che è venuta a Telejato e mi ha portato la solidarietà. Mi hanno chiamato di mattina presto. C’erano gli artificieri dietro la porta di Telejato. Arrivo di filata in televisione e ho visto artificieri, cani e cecchini sul tetto. La cosa non mi convinceva, le strade erano bloccate, tutto era blindato. Mi hanno detto che stava arrivando la seconda carica dello Stato, il senatore Schifani. Se me lo dicevano prima quel giorno sarei andato al mare! Ho ricevuto la seconda carica dello Stato; è arrivato circondato da sei macchine blindate. Il loro problema non è che hanno paura degli attentati, è che se si guardano allo specchio, questi si ammazzano! Battute a parte, lo abbiamo intervistato, ed ecco che è arrivata la cosa grave. E questo spiega che come Caligola ha fatto senatore un cavallo noi abbiamo fatto senatore uno condannato per mafia. Gli abbiamo chiesto – dopo una serie di domande – quando pensavano all’interno della politica di fare un po’ di pulizia, visto che il problema è il cordone ombelicale della mafia con il potere politico. Quando mi ha risposto per poco non mi cadeva il microfono, l’ho stretto solo perché costa un fottio di soldi: ci ha risposto che non era previsto dalla Costituzione. Il presidente del Senato se tu gli chiedi quando è che cercano di non candidare i sospetti di mafia e i condannati ci ha risposto che la Costituzione non lo prevede. Quindi non c’è da meravigliarsi se poi noi eleggiamo a Totò Cannolo al senato, che fatto il cannolo doc, a denominazione di origine cuffariana. A seguito delle denunce sulla connivenza dei politici con il sistema mafioso io ho ricevuto 77 querele proprio dai politici. Non riusciremo a sradicare questo perché la mafia si nutre della politica o del potere della politica, a prescindere dal colore dei politici del potente di turno, di destra o di sinistra. Io penso che la mafia è come la gramigna, va estirpata completamente altrimenti continua a riprodursi. E occorre farlo senza guardare in faccia nessuno. Io non penso che faranno mai una legge con un codice etico per non candidare uno che si chiama Raffaele Lombardo, che è ancora peggio di Cuffaro. Totò Cuffaro noi lo chiamiamo vasa vasa, Totò mangia cannoli, con Raffaele Lombardo questo non si può. Sino a quando non riusciremo a tagliare tutti i ponti con la mafia queste situazioni continueranno a esserci. Pensate che la commissione nazionale antimafia ha all’interno dei mafiosi, io a Cuffaro gli ho detto che mi sembrava giusto che lui si candidasse a presidente della Commissione antimafia perché lui di mafia ne capisce.

Domenico Galizio
Io per ora ho solo due querele; sono un dilettante rispetto a Pino Maniaci. Questa sera si sta ragionando del ruolo dell’informazione ed è bene sapere che proprio il sindaco nell’ultimo ha detto “Meno male che i santenesi non leggono i giornali”. Io non penso che questa sia la realtà, perché se così fosse sarebbe veramente un problema.
(Pino Maniaci si sovrappone a Galizio e informa che tra qualche giorno dovrebbero uscire sul quotidiano di Torino due intere pagine dedicate proprio alle vicende dell’usuraio di Santena).
A Santena c’è un problema, noi abbiamo bisogno di libera informazione. Senza libera informazione non si riescono a cogliere alcuni aspetti che a Santena ci sono e sono preoccupanti. Io ho avuto due querele perché mi sono permesso di dire che in occasione delle elezioni amministrative si respirava l’aria di Corleone. Ho visto dal vivo – nella campagna elettorale e durante le elezioni – alcuni atteggiamenti di tipo mafioso, o quantomeno di intimidazione e condizionamento. E io vedo qui a Santena i segni iniziali, se non altro c’è la percezione, di una situazione un po’ scomoda. Non abbiamo ancora avuto il morto ma la situazione è quella. Davvero spero che non debba succedere un fatto veramente clamoroso per cominciare a fare resistenza contro questo tipo di mentalità e mafiosità. Io credo che siamo chiamati a essere testimoni di negazione, di rifiuto di quello che è il coinvolgimento dell’amicizia, della pacca sulla spalla, del favore, della concessione commerciale data perché si è amico di…, della concessione edilizia data perché si è amico di…, del progetto dato al progettista perché lui è amico di…
Io ho sentito cose che fanno accapponare la pelle, però ovviamente nessuno parla, e quando nessun parla mi sembra proprio di essere a Corleone. Ho sentito di gente che viene invitata ha usare certi fornitori, gente che riceve minacce; ora si sono modernizzati e li mandano anche via sms. Ho sentito di gente che gli viene detto di non usare un certo artigiano perché è parte avversa rispetto a quello che è il potere costituito oggi qui a Santena. Bisogna che queste cose qui escano dall’essere confinate sotto i portici della piazza centrale. Bisogna che escano dalle nostre case e dalle nostre personali conoscenze e diventino oggetto di denunce. E occorre cominciare ora, prima che sia troppo tardi. Chiedo a voi che avete più esperienza quali possano essere le tecniche e gli atteggiamenti per fare questo.

Tonio dell’Olio
Non esistono i professionisti dell’antimafia, non devono esistere; è una convinzione che vado maturando sempre di più. E’ una sorta di conoscenze e di competenze che ogni territorio deve riuscire a esprimere e a maturare. Davvero la territorializzazione dei presidi, cui faceva riferimento Pino Maniaci parlando dei presidi di libera, davvero vuole essere questo avanposto di legalità, questo radicamento in qualche modo di una coscienza un po’ più vigile rispetto a quanto succede oggi anche qui a Santena. Ancora una volta i miei maestri sono quelli che incontro nell’esperienza quotidiana, sono i giovani calabresi delle cooperative che gestiscono i beni confiscanti. Essi continuano a dirmi nell’orecchio questo slogan che mi piace riportare qui questa sera: “Restare per cambiare. Cambiare per restare”.
E’ un paese particolare quello cui sto pensando in questo momento, Polistena, ma anche a tanti altri nella Locride, che sono paesi di emigrazione continua, prima gli operai, adesso gli studenti, anche i laureati vanno via, con buona pace del ministro dell’istruzione, vanno a insegnare fuori. Ecco, a Polistena ci sono giovani che accettano la sfida di restare per cambiare le condizioni perché sanno che sen non cambiano le condizioni non potranno poi rimanere. Mi rendo conto però che ormai questa condizione non caratterizza soltanto il sud, se la tua esperienza Galizio a Santena è questa – io non so entrare nel merito delle questioni – però quelle dinamiche che hai definito, troppo spesso le abbiamo viste in Italia.
Vi siete accorti che le leggi che riguardano la mafia sono sempre bis, il 41 bis, il 416 bis; mi venuta la curiosità ed ho chiesto il perché a un magistrato, la risposta è semplice. Intanto la parola mafia entra nel corpus legislativo italiano sono nel 1984: Tutto questo mentre la mafia è datata 1800. E poi è bis perché quando muore Rocco Chinnici, per la prima volta si inserisce un codice successivo, integrativo, del 416 e quindi finalmente si riconosce un reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Ma ci sono volute molti morti per poter arrivare a quel traguardo. Il 41 bis nasce come rafforzamento delle misure detentive, delle restrizione in carcere dopo l’ennesima riprova che gli ordini, per ammazzare tizio e caio, partivano dal carcere. E allora si disse che questo non era tollerabile in un Paese che vuole fare della sicurezza un cardine .
Io dico che occorre eliminare la mentalità del bis, del giorno dopo per promuovere e portare avanti sane politiche del giorno prima. Dovremo riuscire a essere capaci di riconoscere i sintomi, le distorsioni che ci palesano quando la mentalità mafiosa prende il soppravvento. E la mentalità mafiosa scusate davvero, vorrei tanto sconfessare le cose che ha detto Domenico Galizio, ma purtroppo ha ragione. Là dove ci sono quegli ammiccamenti, quel lasciar passare, quel favorire eccetera, eh beh, lì davvero la mafia esiste. Cito sempre il generale Dalla Chiesa che arriva in Sicilia, lui c’era già stato, poi si era poi fatto le ossa al Nord, nella lotta al terrorismo, poi arriva di nuovo in Sicilia. Lui è carabiniere e quindi atto alla repressione del fenomeno criminale; uno che deve ragionare per acciuffare i delinquenti e portare in galera; uno che di se stesso diceva che gli alamari erano cuciti non sulla divisa ma sulla propria pelle. Lui, in quella famosa intervista con Giorgio Bocca, ad un certo punto dice “Ho preso consapevolezza che noi ci illuderemo di sconfiggere la mafia fino a quando permetteremo che la mafia conceda come favore ciò che lo Stato deve garantire come diritto”. Attenzione però, oggi noi siamo di fronte a una situazione in cui è ancora peggio; è lo Stato stesso che ti concede come favore quello che dovrebbe garantirti come diritto. E questo è davvero abnorme. E’ davvero il ribaltamento, come dire, delle Costituzione, della certezza, dello Stato di diritto: uno Stato che ti concede come favore ciò che dovrebbe garantirti come diritto.
Davanti a questo trend noi dobbiamo assolutamente ribellarci. Noi, prima di arrivare a Santena siamo stati all’università di Torino, dove c’erano i giovani studenti, impegnati nella protesta contri la riforma voluta dal ministro dell’Istruzione. Io provo a immaginare che cosa significhi una università che da pubblica diventa privata, la fondazione. Io nei privati che fanno la beneficienza, scusatemi non ci ho mai creduto. In una fondazione che non curi il proprio profitto ma voglia far crescer la cultura di questo Paese, anche se me lo mettono per iscritto, non ci crederò. Scusatemi non ci crederò. Capite bene che vengono meno alcuni capisaldi che sono importanti: il pluralismo, la convivialità di differenze, tutta una serie di questioni che, secondo me, sono fattori di crescita all’interno di questo Paese. Personalmente non mi sento legato a uno o all’altro schieramento. Come Libera abbiamo sempre scelto di stare da una parte sola: che è quella del bene comune, della giustizia e della pace. Ora non mi interessa il colore di questo governo. Mi interessa che questo governo in questo momento sta facendo delle scelte che vanno a garantire i privilegi di alcuni e non a promuovere i diritti di tutti.

Pino Maniaci
Io un’idea l’avrei, l’informazione ve la potete creare da soli. Io ho avuto modo di vedere, durante un convegno, come con un ciclostile e quattro ragazzi a Polistena si riusciva a stampare, attraverso un piccolo computer, 90mila copie al giorno di volantini; parliamo di tirature pari a quelle di un quotidiano nazionale. Qui a Santena c’è un presidio di Libera che può dare una mano anche per controllare le notizie se sono fondate o meno. Anche se c’è un problema di una stampa lecchina, asservita, che fa le marchette dietro la scrivania del potere, qualcosa si può fare. Purtroppo oggi in Italia il vero modello di giornalismo è Emilio Fede. Io amo quell’uomo, come lecca lui non lecca nessuno. Voi qui a Santena potete inventarvi uno spazio informativo, di qualsiasi tipo; a volte basta una bacheca. In Sicilia in un paesino c’è una persona che ha scelto come mezzo per le sue denunce una piccola bacheca di legno sita nella piazza centrale.

Filippo Tesio
Qui a Santena le denunce pubbliche rispetto all’usura sono arrivate dei preti, prima don Marino Basso e quest’anno dal parroco don Nino Olivero. In entrambe i casi durante l’omelia della festa patronale, san Lorenzo, il 10 agosto.

Bruno Ferragatta
Lo so che c’è questo articolo che deve uscire, due pagine dove si partirà dalla vicenda dell’usura e si allargherà un pochino la questione. Guardate, io voglio solo aggiungere cose locali. Avete presentato la situazione generale, ma in queste settimane abbiamo visto cosa è successo a livello locale: come minoranze c siamo occupati di una situazione dentro il Comune un po’ particolare, con qualcuno che aveva le mani nella marmellata, dove si è cercato di depistare i fondi, di usarli in un modo non troppo brillante e molto secondo dei privilegi che qualcuno ha cercato di voler affermare. Poi, sempre in queste ultime settimane, siamo passati al problema dell’usura. Io sono stato contattato da un avvocato che segue una delle famiglie vittime di usura, coinvolte nel processo di qualche anno fa. Questa famiglia si era costituita parte civile e ora sta cercando di recuperare qualche cosa. Il problema che mi ha colpito di più in questa vicenda non è tanto il momento dell’usura ma quello che succede dopo. Molto spesso queste famiglie, che sono state vittime, vivono situazioni di solitudine che li rende ancora più isolate. Delle 60 persone coinvolte nel processo, solo otto si sono costituite parte civile. E guardate che di quelle otto, due – marito e moglie – nel momento in cui hanno denunciato e si sono costituite parte civile, sono state abbandonate dai loro figli.
Di questo per segnalare che alcune situazioni non esistono solo a Partinico, ma le abbiamo anche qui, si tratta del vicino a casa. Questa sera noi non celebriamo qualcosa di lontano ma parliamo di qualcosa che spesso è vicino a noi. Dobbiamo solo decidere come agire, come avvicinare queste persone. Noi non dobbiamo avere paura di dialogare. Io credo che il nostro compito, come opposizione, sia quello di tirare fuori i problemi. Poi c’è il compito di chi è impegnato in oratorio, chi in associazione… Dobbiamo tutti insieme costruire una rete solida, capace di far di nuovo parlare le persone che hanno questi problemi, di accogliere affinché si sentano un po’ più protette non solo dalle istituzioni ma anche da tutta la città, dai vicini di casi. Siamo chiamati a fare questo perché i figli non abbandonino più i genitori che si sono ribellati al fenomeno dell’usura. Credo che questo sia poi l’obiettivo fondamentale di questa serata. Occorre ribellarci ad una situazione che è successa e speriamo che non capiti più. Dobbiamo rioccupare la nostra città con le forze e le risorse migliori che abbiamo. Solo così credo che riusciremo a ricostruire veramente un tessuto importante nella nostra Santena, e riattivare il tessuto fondamentale, le cose belle che Santena ha dentro il suo cuore e spesso nella vita di ciascuno di noi.

Tonio dell’Olio
Ho guardato la rassegna stampa della vostra città nelle ultime settimane: i problemi ci sono. Noi all’interno di Libera abbiamo una competenza ormai consolidata rispetto al fenomeno dell’usura. Proprio nell’ufficio di presidenza vi è la presenza di un altro sacerdote, Marcello Cozzi, vicepresidente di un’associazione antiracket, che conduce in Basilicata l’esperienza di una associazione anti-usura. Allora sarebbe interessante mettere in contatto Marcello con il parroco che ha denunciato il fenomeno dell’usura. Tutto questo per conoscere meglio quelle che sono le dinamiche che si sviluppano e quali sono gli interventi da avviare anche sul piano sociale quando una città è investita da questo problema. Su questi temi non si deve improvvisare, bisogna davvero sviluppare buone competenze, essere presenti. Rispetto al passato oggi disponiamo di leggi che favoriscono la denuncia di questi fenomeni e consentono il sostegno per le vittime. Occorre attivarsi anche in questa direzione.

Pino Maniaci
Questa sera abbiamo centrato il problema. Abbiamo capito che alcune situazioni diffuse al sud sono presenti anche qui a Santena. E’ la dimostrazione che questa sera è servita, che è stato importante esserci visti e avere discusso. Occorre aprire gli occhi, grattare il territorio, incominciare a veder con occhi nuovi le cose. Ho capito che qui avete un’opposizione molto vigile e attenta. Potrete servirvi della rete capillare di Libera per far passare una buona informazione, per risolvere alcuni problemi. Libera è un’antenna presente sul territorio proprio per cercare di ristabilire legalità. Libera sente, ascolta, denunciare.
Rispetto a quello che diceva Galizio, ci deve essere una netta linea di demarcazione tra i pezzi di merda e le persone per bene. E la linea di demarcazione si può costruire non salutando, non ossequiando, prendendo le distanze. A volte basta anche non prendere un caffè con certa gente. Occorre saper evitare certe facce, certi personaggi vanno emarginati, lasciati soli. Devono capire che se ne devono andare; se sono coraggiosi devono mettersi in galera loro stessi. Se è il caso occorre aiutarli con le denuncia. Bisogna avere coraggio: qualche querela in più non cambia la vita. Un certo tipo di problemi si risolvono con la denuncia agli organi competenti, io in questo senso ho avuto delle grandi soddisfazioni. Se iniziano a partire le denunce le cose poi possano cambiare. Se si fa rete e si condividono i problemi le cose possono migliorare e il marcio può essere risanato.
Noi che abbiamo subito minacce e attentati non è che noi non abbiamo paura. Noi abbiamo paura, la paura è umana. Ma continuiamo ad andare avanti fino in fondo. Che cosa ci spinge ad andare avanti? Vi porto l’esempio dell’inquinamento. La proprietaria della distilleria Bertolino ha inquinato impunemente per anni. Questa signora ha dichiarato di avere 80 milioni di euro in banca, ha detto che non basteranno tre vite per spenderli tutti, ma basteranno per vedere in galera Pino Maniaci. La mafia non è solo violenza è anche atteggiamento, mentalità. E io dovrei fare intossicare mia figlia, tanti partinicesi finiscono al Niguarda a Milano. Non si sa perché l’incidenza tumorale a Partinico è tre volte più alta rispetto agli altri paesi. Le falde acquifere sotto la distilleria sono inquinate per i prossimi 300 anni. A tutto questo ci siamo ribellati.

Tonio dell’Olio

Io penso che uno stile che ci contraddistingue è di evitare le perdite di tempo, che significano interventi spot. Davvero, io mi sono stancato delle situazioni in cui ti invitano, possibilmente con nomi antisonanti. Si fa una bella assemblea e poi, chi si è visto si è visto. A livello individuale ciascuno di noi dovrebbe davvero cambiare alcuni stili, mentalità: Dobbiamo pensare in che modo offrire in proprio contributo concreto a questo processo, a questo cambiamento sociale e culturale.La presenza di Libera in questo territorio a mio avviso diventa significativa. Noi non pretendiamo di essere l’unica voce contro la mafia. Per fortuna non è così. Per grazia di Dio non è soci. Però se c’è questo punto di riferimento io credo che possa essere davvero un punto di rete delle diverse espressioni sul territorio. Io direi approfittiamone. E allora davvero non si vada via di qui con il solo buon proposito di far qualcosa ma con l’idea ferma e determinata di darsi da fare per Santena da questo momento in poi. Le questioni della Calabria, della Sicilia, della Campania non è vero che non ci riguardano; ne risentiamo tutti. Le paghiamo e le paghiamo tutti. In maniera differenziata però le paghiamo tutti. E allora davvero questa di Libera è una causa che merita il nostro impegno.

testi non rivisti dagli autori

filippo.tesio@tin.it