Santena, confiscati i beni all’usuraio di Santena

Santena – 2 aprile 2011 – Di seguito, i due articoli pubblicati ieri, venerdì 1° aprile, dal quotidiano La Stampa, relativi alla vicenda che vede coinvolto un usuraio.

La pagina 64 della cronaca di Torino del quotidiano della città della Mole riporta due articoli, firmati dal cronista Alberto Gaino.

Confiscati i beni all’usuraio di Santena

è questo il titolo a piena pagina del primo articolo.

L’occhiello recita:

Il caso – La decisione del tribunale: «Occorre valutare la provenienza illecita di ogni singolo bene».

La titolazione del primo pezzo ha questo sommario:

Immobili, un terreno agricolo, conti e titoli. Tolto il sequestro alla villa e ai camion dell’azienda

Ecco il testo del pezzo.
Il tribunale per le misure di prevenzione ha deciso la confisca di immobili, un terreno agricolo, conti correnti e titoli a Vincenzo D’Alcalà e famiglia e ha però dissequestrato il 50 per cento della villa che l’usuraio possiede a Santena, in comproprietà con la moglie, e soprattutto i 52 camion, rimorchi e veicoli speciali della Galuro Autotrasporti di Villastellone. Gli investigatori avevano indicato in 3 milioni di euro l’ammontare del patrimonio di D’Alcalà, inclusi i depositi bancari per circa 250 mila euro. È di tutta evidenza che la maggior parte gli dovrà essere restituita.

Il provvedimento del collegio presieduto da Gian Paolo Peyron e motivato dal giudice Pier Giorgio Balestretti si fonda sul principio giurisprudenziale che «bisogna accertare l’illecita provenienza di ogni singolo bene». Su questa base la restituzione a D’Alcalà del parco macchine della Galuro è giustificata con la documentazione fornita dal commercialista dell’azienda che comprova l’esistenza di «un significativo pacchetto clienti in grado di dimostrare le fonti economiche della società». In particolare, ragionano i giudici, camion e altri mezzi speciali sono stati acquistati fra il 2007 e il 2009, quando D’Alcalà aveva ormai scontato la condanna per usura.

Nel decreto di 32 pagine resta intatto il profilo delinquenziale di Vincenzo D’Alcalà (tranne per i sospetti della Questura sull’utilizzo dei camion per fini illeciti) già tratteggiato da Balestretti nel precedente provvedimento di sequestro dei beni. Il giudice parla ancora della coraggiosa figura di Carmine Mannarino, dalla cui denuncia iniziarono i guai per D’Alcalà.

Mannarino è morto di tumore dopo i primi due gradi di giudizio. Artigiano edile, trovatosi in difficoltà all’inizio degli Anni 90 per i pagamenti sempre più differiti di certi suoi clienti, per pagare i salari ai dipendenti si era rivolto prima alle banche e poi, attraverso un collega, a un immigrato dalla Calabria come lui: Vincenzo D’Alcalà.

Il piccolo imprenditore ha dovuto versargli 300 milioni di lire per un prestito di 30. Si è preso anche le botte, dopo le minacce per sé e per la famiglia. Ha cercato di sporgere denuncia ma il maresciallo dei carabinieri di Santena, condannato in seguito per complicità con l’usuraio, non è ha fatto nulla. L’artigiano ha dovuto rivolgersi alla Guardia di Finanza di Torino. Carmine è morto all’età di 55 anni e la sua famiglia ha patito anni di isolamento che ora ha deciso di denunciare.

AL.GA.

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Il secondo articolo ha come titolo:

“Mai aiutate. Qui regna l’omertà”.

Il sommario recita:

Le figlie dell’uomo che lo denunciò «Finite ai margini della società

«Non abbiamo ricevuto né il sostegno economico per poter ricominciare da capo né un appoggio psicologico per affrontare il peso di questa dolorosa svolta nelle nostre vite – rimarcano le figlie -. Quando tutto cominciò noi eravamo minorenni. Siamo state condannate, per la gravità della situazione, a rinunciare alla nostra adolescenza e agli studi, obbligate dall’estremo bisogno a lavorare.Non abbiamo potuto scegliere: questa terribile vicenda ha condizionato e devastato le nostre esistenze».

«L’avvocato Claudio Strata, difensore di D’Alcalà, in una recente intervista ci ha definito privilegiate, perché abbiamo recuperato somme di denaro consegnateci a distanza di anni dalla sentenza e che, dopo tanta attesa, non soddisfano nemmeno le provvisionali (il risarcimento immediatamente esecutivo, ndr) decise dai giudici penali. Dopo tutto ciò che abbiamo vissuto e viviamo, dopo la scomparsa del nostro caro papà e marito, quella frase è una vera eresia».

«Fra i privilegiati, semmai, c’è Vincenzo D’Alcalà, che ha usufruito dell’indulto del 2006, ha beneficiato di permessi speciali nel corso della detenzione e oggi gode della libertà vigilata. Un altro immeritevole privilegiato è Giovanni Pasquariello, ex comandante della stazione dei carabinieri di Santena che, essendo stato complice dell’usuraio, nel 1998 ha disonorato la divisa non tutelando le vittime come noi che già allora volevano denunciare gli aguzzini e l’usura subita».

«Così facendo, Pasquariello ha aggravato per due lunghissimi anni le nostre sofferenze emotive ed economiche. Privilegiato indegno è anche Ernesto D’Alcalà che, al pari di Pasquariello, non ha rispettato ancora oggi, a distanza di otto anni, la sentenza che li condannava a risarcirci».

«Abbiamo denunciato e siamo finiti ai margini della società con il nostro dolore e mille problemi. Abbiamo la sensazione che, paradossalmente, dopo un po’ di carcere, sia andata molto meglio a Vincenzo D’Alcalà. Le leggi non tutelano abbastanza le vittime, lo Stato deve intervenire. A maggior ragione se si vuole realmente che gli usurati trovino il coraggio di denunciare i loro strozzini. Tanti non lo fanno perché si troverebbero nella più totale emarginazione. A Santena l’omertà regna sovrana come l’indifferenza da parte del parroco don Nino Olivero e del sindaco Benedetto Nicotra che, ancora oggi, si ostinano a negare la vastità del fenomeno dell’usura nel nostro paese e nei dintorni. Sottovalutano benché entrambi abbiano avuto colloqui con vittime disperate e in passato anche con noi».

«Ci auguriamo che i beni confiscati servano a risarcire le vittime. A tutti noi deve essere data la possibilità di ricominciare, per ritrovare quel sentimento di calma, di pienezza, di serenità che si dovrebbe provare fermandosi a ripensare alle proprie scelte di vita… Nonostante ci rendiamo conto di non poter riavere quanto abbiamo perso». Il loro pensiero corre al marito e al padre.

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Fonte:
La Stampa
venerdì 1° aprile 2011
Pagina 64 – Metropoli

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