Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal l’11 al 17 dicembre 2011

Santena – 11 dicembre 2011 – Di seguito, alcune proposte di riflessione per i giorni dall’ 11 al 17 dicembre 2011 tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.
Domenica 11 dicembre  2011          

Mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri
Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore. Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto con il mantello della giustizia, come uno sposo si mette il diadema e come una sposa si adorna di gioielli. Poiché, come la terra produce i suoi germogli e come un giardino fa germogliare i suoi semi, così il Signore Dio farà germogliare la giustizia e la lode davanti a tutte le genti.

Is 61,1-2.10-11

 

Il Dio della pace vi santifichi interamente
Fratelli, siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie. Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male. Il Dio della pace vi santifichi interamente, e tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Degno di fede è colui che vi chiama: egli farà tutto questo!

1Ts 5,16-24

 

In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete
Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa». Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

Gv 1,6-8.19-28

 

 

Il testimone: una persona capace di suscitare domande

Soprattutto la prima e la seconda lettura sottolineano il tema della gioia, tipico della terza domenica di Avvento (domenica Gaudete). La pagina evangelica si incentra sulla testimonianza che Giovanni Battista ha reso a Gesù, testimonianza che il prosieguo del quarto vangelo dirà essere avvenuta nella gioia anche se al prezzo della diminuzione dello stesso Giovanni (Gv 3,29-30). Secondo il quarto vangelo Giovanni è il testimone dell’Agnello, colui che riconosce Gesù come inviato dal Padre, Colui su cui riposa lo Spirito. Il testimone è la persona mutata da ciò che visto, dall’incontro che ha fatto. Lontano da ogni esibizionismo o protagonismo o infatuazione di sé, il testimone testimonia di un altro e conduce chi lo vede e ascolta non a sé, ma a dare l’adesione a Colui a cui egli rende testimonianza. La vera testimonianza si accompagna a una giusta, realistica e umile conoscenza di sé. La domanda rivolta a Giovanni: “Chi sei tu?” (v. 19) risuona per ogni lettore del vangelo e chiede a ciascuno di conoscersi alla luce di Cristo. Testimoniare è l’arte di dire la verità su di sé, sugli altri e sulla realtà. La testimonianza evangelica non richiede di fare molte cose, ma di decidere se stessi davanti a Cristo, in relazione con lui. Il testimone è pertanto colui che suscita il senso di una presenza altra, la presenza di colui del quale testimonia. Come Giovanni, il testimone sveglia alla coscienza di Qualcuno che non conosciamo o non sappiamo riconoscere, ma che c’è (v. 26). Il testimone non è tanto qualcuno che prende l’iniziativa di rivolgere una parola agli altri, ma è piuttosto una persona la cui vita è tale – ed è tale il modo in cui guarda il mondo e gli esseri – che agli altri accade di interrogare se stessi e di porre loro la domanda sull’origine della sua singolarità. Il testimone appare così come una persona capace di suscitare domande. Connesso al tema della testimonianza è quello dell’identità. Il cristiano non è il Cristo; la chiesa non è il Cristo. Solo Cristo può affermare con assoluta verità “Io sono”, eco del nome divino nella Scrittura (cf. Es 3,14). L’identità cristiana è relazionale e relativa a Cristo. Essa consiste in un’umanità precisa che si coglie in Cristo, dunque alla luce della fede. La semplicità del battesimo dischiude al cristiano la sua piena identità che è anche un programma di vita fino alla morte. Ovvero, fino alla testimonianza ultima e radicale del martirio (in greco martyría significa “testimonianza”). Testimoniare il nome “cristiano” può condurre alla perdita della vita. Anzi, afferma Cipriano di Cartagine, si può essere martire solo essendo testimone nel quotidiano dell’esistenza: “La gloriosa corona della loro confessione sarà rimossa dal capo dei martiri se si scoprirà che essi non l’hanno acquisita con la fedeltà al vangelo, che sola fa i martiri”. Questa domenica è anche l’occasione per meditare sulla figura di Giovanni. I toni e i tratti del suo ministero e della sua testimonianza hanno qualcosa da insegnare alla chiesa di sempre. Il suo essere una mano che fa segno, un indice che orienta la direzione dello sguardo e dei passi verso Cristo, il suo saper riconoscere il proprio posto e restarvi con fedeltà, il suo far spazio al Veniente, il suo diminuire nella gioia e nell’amore di fronte al Signore, tutto questo dice una libertà e un amore grandi che necessitano sempre alla testimonianza ecclesiale. Proprio per non sostituirsi al Signore. Paradossale testimone che precede Cristo, Giovanni svolge un ministero essenziale anche per i testimoni che seguiranno Cristo, che verranno dopo. Scrive Origene: “Il mistero di Giovanni si compie nel mondo fino a oggi. In chiunque sta per accedere alla fede in Gesù Cristo, è necessario che prima vengano nel suo cuore lo spirito e la forza di Giovanni per preparare al Signore un uomo ben disposto e per appianare i cammini e raddrizzare le asperità del suo cuore”. Colui che precede Cristo, introduce anche a Cristo.

Luciano Manicardi

Comunità di Bose

La gioia, una scelta cui siamo chiamati

“Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti”. Con questo fermo invito dell’apostolo si apre la liturgia di questa domenica, chiamata Gaudete, la domenica della gioia. “State sempre lieti – raccomanda Paolo -, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie a Dio”. State lieti perché come bambini ci affidiamo a colui che vuole la sua gioia in noi e che questa sia piena. Questa è la volontà di Dio. Ma non è troppo poco e troppo diretto per uomini complessi come amiamo sentirci noi, amanti e conoscitori attenti delle nostre tortuosità, affezionati alla dolce prigione e pozzo senza fondo di energie ed attenzioni che è l’amore per noi stessi? È possibile per noi scegliere di essere sempre lieti, noi che assecondiamo i nostri umori, ci fidiamo di loro, li contrastiamo così poco, spesso li studiamo scambiandoli in fondo come la verità della nostra vita? Ed i nostri umori sono sovente così poco lieti, inclini al lamento, affannati, attratti dal pessimismo, nutriti di diffidenza! La gioia, secondo questo invito così appassionato dell’apostolo, non è una congiuntura favorevole, ma una scelta cui siamo chiamati. Sempre. Lieti, gioiosi non perché imperturbabili o incoscienti, ma per la consapevolezza forte, vigorosa, dell’avvento di Dio. È lui che libera dalla tristezza e spazza via dal cuore le numerose radici di amarezza.
“Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto con il mantello della giustizia”, canta il profeta. Non gioiamo per noi stessi. Anzi: per noi proviamo il senso del poco che siamo e della vanità del mondo. Dobbiamo, però, possiamo, gioire: siamo stati scelti, la nostra voce non si perde in se stessa ma indica colui che viene. L’umile gioisce. Il ricco insegue la propria tristezza, vuole possedere la felicità; l’orgoglioso non è mai sazio perché non si lascia amare e non si piega alle ragioni dell’altro. Gli umili lasciano posto a qualcuno che viene. Impariamo a pregarlo “incessantemente”, rendendogli grazie, come atteggiamento e scelta interiore nella vita ordinaria, per ogni cosa. La letizia è il primo modo per non farsi scoraggiare dal male, per esserne liberi. E quanto la letizia comunica amore, ci rende sensibili ed attenti alle vere tristezze del mondo e degli uomini! Un volto lieto accoglie, sostiene, attrae. Quanto è facile, al contrario, rattristare l’altro! Siamo lieti, perché viene il perdono, che scioglie dal legame con il peccato. Possiamo essere diversi da come siamo! Nessun cambia solo per i suoi sforzi, ma perché viene associato, per grazia, all’avvento di questo regno che irrompe nella storia umana, allo spirito che ci solleva e ci cambia. Siamo lieti, per iniziare da questo a dissociarci da un mondo che riduce tutto al cinismo, che pensa di conoscere tutto e giudica tutto ma senza amore, vittima del suo stesso pessimismo, alla ricerca di speranze, ma in fondo prigioniero dei calcoli. Nel rarefarsi dei profeti – sono davvero pochi, nel nostro tempo! – con rinnovata attenzione ci poniamo in ascolto di questo grande profeta. Non è lui il Salvatore, e lo dice chiaramente. Giovanni non si è lasciato travolgere dalla gloria e dal successo nel vedere tanti che accorrono a lui. Noi, per molto meno, ci sentiamo dei piccoli messia e, comunque, pretendiamo di stare sempre al centro dell’attenzione. Nella sua umiltà, tuttavia, egli non si tira indietro, né si nasconde, anzi, nella coscienza della responsabilità che gli è stata affidata, afferma davanti a tutti: “Io sono voce di uno che grida nel deserto: rendete diritta la via del Signore”. Alla lezione di umiltà segue quella sulla responsabilità; una particolare responsabilità: essere “voce”. Ogni cristiano dovrebbe applicare a se stesso le parole di Giovanni: “Io sono voce”. Per costituzione i credenti sono “voce”, ossia annunciatori del Vangelo. È qui la radice del compito di evangelizzazione che grava su ogni discepolo. Paolo, consapevole di tale responsabilità, ammoniva se stesso: “Guai a me se non annuncio il Vangelo” (1 Cor 9,16). Il credente, prima che un cumulo di opere, è una voce, una testimonianza. Questa è l’unica vera forza del Battista. Ma è una forza debole. Cos’è infatti una voce? Poco meno che nulla: un soffio; basta davvero poco per non farci caso, né ha poteri esterni che possano imporla. Eppure è forte, tanto che molti si accalcano attorno a quella parola. La ragione sta nel fatto che quell’uomo non indica se stesso; non parla per attirare su di sé l’attenzione altrui; non blocca la gente desiderosa di guarigione e salvezza sulle sponde di quel fiume, anche se benedette. Quella voce rimanda oltre, verso qualcuno ben più forte e potente: “In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me:, a lui io non sono degno di slegare il laccio dei sandali”, dice Giovanni; e lo afferma ancora oggi. Giovanni Battista ci riconduce a ciò che è essenziale, perché non ci smarriamo ed orientiamo tutto il nostro cuore verso il Signore. Giovanni è una “voce”. “Chi sei tu?”, domandano i giudei. Che cosa dici di te stesso? Ogni uomo è un mistero ed il mondo spesso viene a volgarizzarlo, deve definire, analizzare, catalogare. Giovanni non moltiplica interpretazioni, non indulge nelle mutevoli e a volte contraddittorie parole su di sé. Per dire chi è ha bisogno di un altro, che dia senso alla sua vita, a colui che è la parola, al verbo, la prima e l’ultima lettera di ogni nostra parola. Giovanni è forte perché la sua vita ha senso se è utile a qualcun altro, a colui per il quale prepara la strada e rinnova i cuori! Rende testimonianza. La sua forza non è splendere per se stesso, ma perché la luce si veda. E Dio è luce, che illumina anche le tenebre più fitte! Grida. Annuncia il Vangelo. Non attira l’attenzione su di sé, secondo un protagonismo così prepotente e normale. La sua voce rimanda, indica qualcuno che è già “in mezzo a voi” “che non conoscete”, uno che viene dopo di me, al quale io non sono degno di sciogliere il legaccio dei sandali. La nostra voce può fare fiorire la vita nel deserto. Noi, uomini così comuni, siamo chiamati a fare conoscere a tanti colui che sta in mezzo a noi. Deboli, siamo forti. Tristi, siamo lieti. Perché il Signore viene, fa germogliare la terra, la rende di nuovo un giardino, il suo giardino. Vieni presto Signore.

Comunità di Sant’Egidio

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Lunedì 12 dicembre 2011

Con quale autorità fai queste cose?
In quel tempo, Gesù entrò nel tempio e, mentre insegnava, gli si avvicinarono i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo e dissero: «Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?». Gesù rispose loro: «Anch’io vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, anch’io vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?». Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: Dal cielo, ci risponderà: Perché allora non gli avete creduto?. Se diciamo: Dagli uomini, abbiamo paura della folla, perché tutti considerano Giovanni un profeta».
Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo». Allora anch’egli disse loro: «Neanch’io vi dico con quale autorità faccio queste cose».

Mt 21,23-27

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Martedì 13 dicembre 2011

Giovanni venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Non ne ho voglia. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: Sì, signore. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».

Mt 21,28-32

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Mercoledì 14 dicembre 2011

Beato colui che non trova in me motivo di scandalo
In quel tempo, Giovanni chiamati due dei suoi discepoli li mandò a dire al Signore: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?».
Venuti da lui, quegli uomini dissero: «Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».

Lc 7,19-23

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Giovedì  15 dicembre 2011

Dinanzi a te mando il mio messaggero
Quando gli inviati di Giovanni furono partiti, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che portano vesti sontuose e vivono nel lusso stanno nei palazzi dei re. Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via. Io vi dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui. Tutto il popolo che lo ascoltava, e anche i pubblicani, ricevendo il battesimo di Giovanni, hanno riconosciuto che Dio è giusto. Ma i farisei e i dottori della Legge, non facendosi battezzare da lui, hanno reso vano il disegno di Dio su di loro».

Lc 7,24-30

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Venerdì 16 dicembre 2011

Giovanni era la lampada che arde e risplende
In quel tempo, Gesù disse ai Giudei: «Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla verità. Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvati. Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce. Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato».

Gv 5,33-36

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Sabato 17 dicembre 2011

Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide
Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo.
Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.
Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asaf, Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozìa, Ozìa generò Ioatàm, Ioatàm generò Àcaz, Àcaz generò Ezechìa, Ezechìa generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosìa, Giosìa generò Ieconìa e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia. Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconìa generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici.

Mt 1,1-17

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