Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal 22 al 28 aprile 2012

Santena – 22 aprile 2012 – Proposte di riflessione, per i giorni dal 22 al 28 aprile 2012, tratte dalla liturgia del giorno con commento alle letture domenicali.

Domenica 22 aprile 2012

Convertitevi e cambiate vita
In quei giorni, Pietro disse al popolo: «Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo; voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino. Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni. Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, come pure i vostri capi. Ma Dio ha così compiuto ciò che aveva preannunciato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo doveva soffrire. Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati».

At 3,13-15.17-19

L’amore di Dio è veramente perfetto in chi osserva la sua parola

Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo. Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità. Chi invece osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto.

1 Gv2,1-5a

Perché sorgono dubbi nel vostro cuore?
In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».

Lc 24,35-48

L’esperienza del Risorto nella comunità è esperienza di pace

L’apparizione del Risorto ai suoi discepoli (vangelo) è l’evento centrale che caratterizza la terza domenica di Pasqua, domenica in cui l’annuncio pasquale risuona ancora nelle parole del discorso di Pietro tratto dagli Atti (I lettura). La seconda lettura prosegue la lectio semicontinua della Prima lettera di Giovanni che caratterizza le domeniche di Pasqua nell’anno B e presenta il Risorto come colui che ottiene la remissione dei peccati per il mondo intero. Il vangelo mostra il Risorto che si presenta “in mezzo” ai suoi e fa regnare la pace tra loro (Lc 24,36). Cristo sta in mezzo ai suoi “come colui che serve” (Lc 22,27) e il servizio che il Risorto fa alla sua comunità è la pace. L’esperienza della presenza del Risorto nella comunità è esperienza di pace e di comunione, realtà che nello spazio cristiano non sono psichiche, affettive o frutto di compromessi, ma teologali, connesse alla fede. Il gruppo degli Undici e degli altri che erano con loro (cf. Lc 24,33), come ogni comunità cristiana reale, unisce confessione di fede (v. 34) e dubbio (v. 38), gioia e incredulità (v. 41). Non basta che Gesù sia visto, ascoltato, toccato e che mangi davanti a loro perché i discepoli giungano alla fede: occorrerà ancora l’apertura della loro mente all’intelligenza delle Scritture. Senza le Scritture non si dà fede pasquale. Non è sufficiente toccare il corpo del Risorto: Cristo deve essere incontrato nel corpo scritturistico e allora nasce la fede pasquale che lo confessa quale realizzatore del disegno di salvezza del Padre. Scrive Ugo di san Vittore: “La parola di Dio rivestita di carne umana è apparsa una sola volta in modo visibile e ora questa medesima Parola viene a noi nascosta nella pagina scritturistica e nella voce umana che la proclama”. Se le Scritture si sintetizzano nel mistero pasquale e tale mistero è il compimento delle Scritture, in verità anche la missione e la predicazione della chiesa sono vitalmente innestate nella testimonianza delle Scritture, nel Primo Testamento: “Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme” (Lc 24,46-47). Fondata sull’evento pasquale, la chiesa trova nelle Scritture, nell’Antico Testamento, la testimonianza e la profezia di quell’evento e anche del suo stesso essere. “Di questo voi siete testimoni”: di questo e non di altro, si potrebbe aggiungere. Ma essere testimoni del Risorto significa anche essere testimoni delle Scritture. Il termine mártys (testimone) proviene da una radice che significa “pensare”, “ricordarsi”, “essere preoccupato”. Il testimone è anzitutto colui che medita e ricorda la Scrittura che parla di Cristo (“le cose scritte su di me nella Legge…”). Da lì nasce la missione come connotata da richiesta di conversione e annuncio della misericordia di Dio e della remissione dei peccati (cf. Lc 24,47). Il Risorto mostra ai suoi discepoli le mani e i piedi, gli arti segnati dalla trafittura, la carne umana ferita. L’incarnazione ha dato a Dio l’esperienza della sofferenza, del patire e del morire. E ormai il Risorto va incontrato nella carne dei sofferenti, toccato nei corpi delle vittime del male. Il Cristo non è uno spirito o un fantasma (v. 37) e il cristianesimo non è un’alienazione o uno spiritualismo quando prende sul serio il dolore del mondo, quando confessa il Risorto mentre cura il bisognoso, quando discerne il Risorto mentre tocca la carne piagata e ferita dell’uomo. “Toccatemi”, dice Gesù, e questo toccare la carne umana ferita per confessare il Risorto, questo incontro del mistero del Risorto con l’enigma del male, rende la fede una ricerca umile, a tastoni, esattamente come la ricerca dei pagani, dei non credenti che cercano Dio “andando come a tentoni” (At 17,27). Il paradosso del Dio crocifisso diviene il paradosso del Crocifisso in Dio, del Risorto che ha un corpo piagato e segnato dal male subìto. Corpo che può essere incontrato nei corpi dei sofferenti che sono tra noi. È il sano materialismo cristiano.

Comunità di Bose

Gesù è la pace che ci libera dai tanti pesi che rendono chiusi e tristi

Il Signore risorto non appare una volta sola, una volta per tutte: continua a manifestarsi. Trova i suoi discepoli increduli, stupiti, pieni di dubbi, facilmente ripresi dalla vita di sempre. Lo scambiano per un fantasma. Gesù conosce la debolezza della nostra vita, quanto facilmente siamo turbati di fronte al male, all’incertezza, al senso di fine, alle difficoltà. Turbamento e grettezza, paura e aggressività, timore e porte chiuse: i discepoli rivelano di essere uomini realisti, che sanno come vanno le cose. Hanno visto, sono rimasti delusi nella speranza, non vogliono più abbandonarsi alla fiducia, si sentono in diritto di vivere così come sono, senza ascoltare più, senza cambiare. È il nostro modo abituale verso tutto e tutti. Quanto facilmente scivoliamo prigionieri della logica delle cose, induriti dalle delusioni, in fondo condizionati dal male che vuole impedire la speranza, che sconsiglia la fiducia! Tutti i discepoli sono agitati dai dubbi, dall’incertezza. Come fare a credere ancora che l’amore vinca in un mondo dove si affermano la furbizia, le armi, il potere, l’arrangiarsi, l’aggressività? Il male indurisce il cuore, consiglia di non farsi prendere da nessuna passione per gli altri, di conservare solo quello che si è e si possiede. Non si è cattivi, forse, ma non si sa volere bene. Si giudica senza amare, perché l’amore non c’è più: è finito, si è perso, è stato tolto. Per alcuni dei discepoli, i dubbi di sempre, le durezze, le incomprensioni verso un maestro così diverso dalla loro mentalità, riemergono forse dopo la sua morte, senza essere contrastati. Forse si rimettono a discutere tra loro, come quando dovevano stabilire chi fosse il più grande! I due discepoli diretti ad Emmaus erano tornati in fretta a Gerusalemme e stavano raccontando agli altri quello che era successo loro: un pellegrino gli si era affiancato, aveva infiammato il loro cuore e finalmente lo avevano riconosciuto. Era Gesù quell’uomo che aveva spezzato il pane per loro, che aveva accolto la preghiera rivoltagli di restare perché il giorno stava per finire. E lui era restato. Il giorno di Pasqua può non finire. Le oscurità della notte non prevalgono, la tristezza può trovare gioia e speranza vera. Stavano parlando di queste cose quando Gesù “in persona” si presenta in mezzo ai discepoli e li saluta di nuovo dicendo loro: “Pace a voi”. Gesù non sembra scandalizzato dalla loro incredulità. Dona la pace a chi è confuso, incerto, dubbioso, incredulo, testardamente attaccato alle proprie convinzioni, tardo di cuore. Quanto abbiamo bisogno di questa pace! Pace è comunione, gioia di vivere. Pace è un cuore nuovo che rigenera quello che è vecchio, pace è l’energia che ridona vita e speranza alla vita di sempre, pace è qualcuno che mi capisce nel profondo, anche quello che io non so spiegare, che non mi umilia nella mia debolezza e nel mio peccato ma continua a volermi con sé ed a parlarmi. Pace è qualcuno su cui posso contare. Pace non è il piccolo successo individuale, la soddisfazione dell’orgoglio. Pace a voi, incerti, contraddittori, dubbiosi, testardi, dice Gesù. Gesù è la pace che vince ogni divisione, la pace del cuore, che libera dai tanti pesi che ci rendono chiusi e tristi. È la pace tra il cielo e la terra. I discepoli sono stupiti e spaventati. Parlavano proprio di lui, eppure non lo sanno riconoscere. Sono attaccati ai loro dubbi. C’è una sottile tentazione nel dubbio, che diventa la via per non scegliere mai, per mantenersi una riserva interiore. Il dubbio viene da solo, ma coltivarlo e accarezzarlo finisce per farci credere furbi e intelligenti, intristendoci. Gesù diventa un fantasma. E un fantasma mette paura. È una presenza lontana, irreale, intangibile. Gesù era già apparso, eppure fanno fatica a credere ed a riconoscerlo vivo e presente in mezzo a loro: resta un fantasma, irreale, virtuale, tutte sensazioni e non un corpo. Gesù “aprì loro la mente per comprendere le Scritture”. Solo ascoltando, il cuore comprende. Accogliendo e incontrando il corpo di Gesù, si apre la mente all’intelligenza. Gesù non vuole solo liberare i suoi dal timore e dalla paura. Non vuole solo mostrare concretamente la forza della sua resurrezione: chiede di essere testimoni, di diventare uomini che sperano e credono che ogni ferita può essere sanata. Ci vuole testimoni e non incerti e prudenti funzionari; testimoni e non discepoli paurosi protetti dalle porte chiuse; testimoni, che vivono quello che comunicano e che comunicando imparano a viverlo. Ci vuole testimoni per contrastare la legge dell’impossibile che tutto sa, ma uccide la speranza. Siamo invitati a divenire testimoni che credono nella forza di amore che rende nuovo ciò che è vecchio e richiama dalla morte alla vita.

Comunità di Sant’Egidio

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Lunedì 23 aprile 2012

Datevi da fare per il cibo che rimane per la vita eterna

Il giorno dopo, la folla, rimasta dall’altra parte del mare, vide che c’era soltanto una barca e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma i suoi discepoli erano partiti da soli. Altre barche erano giunte da Tiberìade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signore aveva reso grazie. Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».

Gv 6,22-29

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Martedì 24 aprile  2012

Chi viene a me non avrà fame
In quel tempo, la folla disse a Gesù: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”».
Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

Gv 6,30-35

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Mercoledì 25 aprile 2012

Il Signore agiva insieme con loro
In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

Mc 16,15-20

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Giovedì 26 aprile 2012

Io sono il pane vivo
In quel tempo, disse Gesù alla folla: «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Gv 6,44-51

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Venerdì 27 aprile 2012

Colui che mangia me vivrà per me
In quel tempo, i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.

Gv 6,52-59

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Sabato 28 aprile 2012

Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?

In quel tempo, molti dei suoi discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

Gv 6,60-69

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