Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal 13 al 19 maggio 2012

Santena – 13 maggio 2012 – Alcune proposte di riflessione, per i giorni dal 13 al 19 maggio 2012, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.

Domenica 13 maggio  2012

Dio non fa preferenze di persone

Avvenne che, mentre Pietro stava per entrare [nella casa di Cornelio], questi gli andò incontro e si gettò ai suoi piedi per rendergli omaggio. Ma Pietro lo rialzò, dicendo: «Àlzati: anche io sono un uomo!». Poi prese la parola e disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga». Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola. E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si stupirono che anche sui pagani si fosse effuso il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare in altre lingue e glorificare Dio. Allora Pietro disse: «Chi può impedire che siano battezzati nell’acqua questi che hanno ricevuto, come noi, lo Spirito Santo?». E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Quindi lo pregarono di fermarsi alcuni giorni.

At 10,25-26.34-35.44-48    

Chi non ama non ha conosciuto Dio

Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.

1 Gv 4,7-10

Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

Gv 15,9-17

Il Dio che nessuno ha mai visto si rende visibile nei gesti dell’amore

Il Dio che non fa preferenze di persone (I lettura), il Dio che è amore e ha inviato il suo Figlio nel mondo per donare vita piena agli uomini e narrare loro il suo amore (II lettura), consente ai credenti in lui di entrare nell’esperienza pasquale dell’amore grazie al Figlio che chiama i credenti non “servi”, ma “amici” (vangelo). Questa domenica prepara i credenti all’Ascensione e alla Pentecoste, dunque a ricevere il dono dello Spirito, dono evocato nella prima lettura (cf. At 10,44-48), ma che può anche essere ravvisato – stando almeno all’esegesi agostiniana – nella realtà dell’agape, dell’amore di cui parla il vangelo. Il Dio che nessuno ha mai visto si rende visibile nei gesti dell’amore. Inoltre, secondo Agostino, l’amore proveniente dal Dio che è amore è lo Spirito stesso, dono di Dio di cui la Scrittura afferma: “Il Signore è lo Spirito” (2Cor 3,17). Questa interpretazione agostiniana ci aiuta a comprendere che l’amore di cui parla Giovanni è realtà teologale che ha origine in Dio e da Dio scende suscitando una dinamica relazionale in cui ciascuna creatura umana è confrontata con la propria capacità di lasciarsi amare e di divenire soggetto di amore: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore” (Gv 15,9). A noi, cristiani ansiosi di protagonismo caritativo e di organizzazione della carità, il vangelo ricorda che prima della carità della e nella chiesa vi è la chiesa nella carità. La chiesa vive della e nella carità di Dio manifestata in Cristo e deposta nel cuore dei credenti dallo Spirito santo donato. Anche la chiesa, non solo il singolo credente, è chiamata a rimanere nell’amore di Cristo. Non è la chiesa che fa la carità, ma la carità di Dio che fonda e edifica la chiesa. Chiesa in cui il credente è chiamato a essere amante del Signore e capace di amore fraterno. Chiesa che non è composta semplicemente di servi che svolgono un ruolo, ma di amici del Signore che vivono una relazione. “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15). Il servo non sa e non capisce ciò che il padrone gli fa fare e perché, pertanto non rimane (Gv 8,35: “Il servo non rimane per sempre nella casa del suo padrone”), non persevera: la vita cristiana è vivibile solo come avventura di libertà. E colui che rimane, nel quarto vangelo, è il discepolo amato, il discepolo che ha conosciuto l’amore e rimane nell’amore (cf. Gv 21,23). L’amicizia porta ad amare l’altro come se stesso e a non capire più perché mai si dovrebbe preferire sé e la propria vita all’altro e alla sua vita: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). Ecco dunque i credenti: amici del Signore, non servi di un padrone. E la discriminante tra l’essere servi e l’essere amici sta nella consegna di una rivelazione, nella confidenza di chi consegna una parola e mette al corrente, di chi rende l’altro partecipe del proprio segreto. In questo, la comunicazione della rivelazione diviene una vera e propria iniziazione. È all’interno di questa relazione che si comprende il legame tra obbedienza e amore. Osservare i comandamenti del Signore significa rimanere nel suo amore (cf. Gv 15,10), così come l’amore reciproco è il comandamento che il Signore dà ai suoi (cf. Gv 15,17). Noi facciamo esperienza di essere amati dal Signore ascoltando, interiorizzando, mettendo in pratica la sua parola e facendola divenire relazioni ed eventi, facendola divenire corporea. Obbedire poi alla parola di colui che ci ama e che noi amiamo è esperienza di gioia: chi ama è felice di fare la volontà dell’amato: “Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. L’amore è comandato perché viene da un Altro e non da noi e perché solo un amore comandato può giungere ad amare il nemico. L’amore è comandato, ma essendo comandato da Gesù che l’ha vissuto fino alla fine, esso è anche narrato, offerto e donato a chi lo accoglie.

Comunità di Bose

Un amore totalmente gratuito

“Amiamoci gli uni gli altri”. È l’imperativo che l’apostolo Giovanni non si stanca di rivolgere alla sua comunità. Egli sa bene quanto l’amore sia centrale nella vita dei discepoli. Lo ha appreso direttamente da Gesù. Giovanni ne ha fatto l’esperienza concreta. Ne ha potuto gustare la tenerezza, ne ha visto la radicalità e l’ampiezza che giungeva sino all’amore per i nemici, anzi sino al dono della stessa vita. Di questo amore Giovanni è stato un testimone privilegiato, un custode attento e un predicatore sollecito. Nella sua prima lettera vuole svelarne la natura e indicarne la fonte: “Amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio; chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio” (1 Gv 4,7). L’apostolo parla qui di un amore diverso da quello che normalmente noi intendiamo con questo termine. L’amore per noi è quel complesso di sentimenti che nasce spontaneo dal cuore, fatto di attrazione, simpatia, desiderio, passione, compiacimento e soddisfazione di sé. Nel linguaggio del Nuovo Testamento per parlare di tale amore si usa il termine greco eros. L’apostolo usa, invece, la parola agape per indicare l’amore che nasce da Dio e che deve presiedere i rapporti tra i discepoli. Per comprendere l’amore di Dio (l’agape) non bisogna partire dai nostri sentimenti o dalla nostra psicologia ma, appunto, da Dio. Le Sante Scritture sono il documento privilegiato per comprendere tale amore; esse infatti non sono altro che la narrazione della vicenda storica dell’amore di Dio per gli uomini. Pagina dopo pagina, nelle Sante Scritture scorgiamo un Dio che sembra non darsi pace finche non trova riposo nel cuore dell’uomo. Potremmo parafrasare per il Signore la nota frase che sant’Agostino applicava all’uomo: Inquietum est cor meum… Davide Maria Turoldo ha parlato del “cuore inquieto di Dio”, sceso sulla terra per cercare e salvare ciò che era perduto, per dare la vita a ciò che non l’aveva più. È un Dio che si fa mendicante, mendicante di amore. In verità, mentre stende la mano per chiedere amore, Egli lo dà agli uomini. Egli è lo spirito che scende nella materia, è la luce che penetra nelle tenebre, per dare vita, per spiritualizzare, per elevare e salvare. Questo è l’amore cristiano: Dio che scende, gratuitamente, nel basso della vita degli uomini per raggiungere l’amato. Sì, Dio è inquieto finché non trova l’uomo, finché non gli tocca il cuore. Ed è a tal punto inquieto “da dare il suo figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). L’amore di Dio, potremmo dire, “è in discesa”, si abbassa fino a giungere nel più profondo della vita degli uomini, e con una dedizione totale, “sino a dare la vita per i propri amici”, come Gesù stesso dice. Medita ancora Giovanni nella sua prima lettera: “In questo sta l’amore (cristiano): non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1 Gv 4,10). È Dio che ama per primo e ama perfino gli esseri immeritevoli del suo amore. È, in effetti, un amore totalmente gratuito, anzi immotivato. Dio, infatti, non ama i giusti ma i peccatori, i quali non sono degni di essere amati. Paolo dice che Dio ha scelto le cose che non contano perché contassero; ha scelto le cose che sono abominevoli di fronte agli uomini, per farne oggetto della sua grazia (1 Cor 1,28). Questo è il Dio dei Vangeli. È un Dio mosso da un amore che sembra attratto proprio dalla mancanza di vita, dalla negazione dell’amore. Dio è un amore che si annienta pur di raggiungere il più disgraziato degli uomini e arricchirlo della sua amicizia. La storia stessa di Gesù è racchiusa in tale amore. Dio, infatti, non è l’Essere in sé, alla maniera del pensiero aristotelico, ma è l’Essere per noi, è apertura infinita, è amore appassionato per noi. Se l’intera Scrittura è la storia dell’amore di Dio sulla terra, i Vangeli ne mostrano il culmine. Perciò, se vogliamo balbettare qualcosa dell’amore di Dio, se vogliamo dargli un volto e un nome, possiamo dire che l’amore è Gesù. L’amore è tutto ciò che Gesù ha detto, vissuto, fatto, amato, patito… L’amore è cercare i malati, è avere amici noti peccatori e peccatrici, samaritani e samaritane, gente lontana, nemica e rifiutata. L’amore è dare la propria vita per tutti, è restare soli per non tradire il Vangelo, è avere come primo compagno in paradiso un condannato a morte, il ladro pentito… Questo è l’amore di Dio. Davvero è altra cosa dall’amore per se stessi, impastato degli sbalzi della nostra psicologia, dei nostri umori. I legami di affetto tra gli uomini basati sull’attrazione “naturale” sono labili, basta poco per rovesciarli e distruggerli. È diventato raro legarsi per la vita e difficile sentire la definitività nei rapporti. L’amore per sé, che ha nella soddisfazione personale più che nella felicità altrui la sua ragione essere, non è così forte da resistere alle tempeste e ai problemi della vita. Tante, tantissime sono le vittime che cadono su questo fragile e sdrucciolevole terreno. Solo l’amore di Dio è come la roccia salda che ci risparmia dalla distruzione, perché prima dell’io c’è l’altro. Gesù ce ne ha dato l’esempio anzitutto con la sua stessa vita. Può dunque dire ai discepoli: “Come il Padre ha amato me, anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore” (Gv 15,9). Il rapporto esistente tra il Padre e il Figlio è posto come modello e fonte dell’amore cristiano. Certo, non può nascere da noi un tale amore; possiamo però riceverlo da Dio. Se è accolto, genera una fraternità ampia, universale, che non conosce nemici. Genera insomma una nuova comunità di uomini e donne, ove l’amore di Dio si incrocia, quasi sino all’identificazione, con l’amore vicendevole. L’uno infatti è causa dell’altro. Un noto teologo russo amava dire: “Non permettere che la tua anima dimentichi questo motto degli antichi maestri dello spirito: dopo Dio considera ogni uomo come Dio!”. Questo tipo di amore è il segno distintivo di chi è generato da Dio. Ma non è proprietà acquisita una volta per tutte, né appartiene di diritto a questo o a quel gruppo. L’amore di Dio non conosce limiti e confini di nessun genere; supera il tempo e lo spazio; infrange ogni barriera di etnia, di cultura, di nazione, persino di fede, come si legge negli Atti degli Apostoli quando lo Spirito riempì anche la casa del pagano Cornelio. L’agape è eterna. Tutto passa, persino la fede e la speranza, ma l’amore resta per sempre. Neppure la morte lo infrange, anzi è più forte di essa. A ragione Gesù può concludere: “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15,11).

Comunità di Sant’Egidio

 

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Lunedì 14 maggio 2012

La vostra gioia sia piena

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

Gv 15,9-17

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Martedì 15 maggio  2012

Io vi dico la verità

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Ora vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: “Dove vai?” Anzi, perché vi ho detto questo, la tristezza ha riempito il vostro cuore. Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi. E quando sarà venuto, dimostrerà la colpa del mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. Riguardo al peccato, perché non credono in me; riguardo alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; riguardo al giudizio, perché il principe di questo mondo è già condannato».

Gv 16,5-11

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Mercoledì 16 maggio 2012

Lo Spirito della verità vi guiderà

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve l’annuncerà».

Gv 16,12-15

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Giovedì 17 maggio 2012

La vostra tristezza si cambierà in gioia

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete». Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra loro: «Che cos’è questo che ci dice: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”, e: “Io me ne vado al Padre”?. Dicevano perciò: «Che cos’è questo “un poco”, di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire».
Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: «State indagando tra voi perché ho detto: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”? In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia».

Gv 16, 16-20

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Venerdì 18 maggio 2012

Nessuno potrà togliervi la vostra gioia

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia. La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. Quel giorno non mi domanderete più nulla».

Gv 16,20-23a

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Sabato 19 maggio 2012

Non vi parlerò più in modo velato

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena. Queste cose ve le ho dette in modo velato, ma viene l’ora in cui non vi parlerò più in modo velato e apertamente vi parlerò del Padre. In quel giorno chiederete nel mio nome e non vi dico che pregherò il Padre per voi: il Padre stesso infatti vi ama, perché voi avete amato me e avete creduto che io sono uscito da Dio. Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre».

Gv 16, 23b-28

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