Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal 22 al 28 luglio 2012

Santena – 22 luglio 2012 – Di seguito, alcune proposte di riflessione, per i giorni dal 22 al 28 luglio 2012, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.

Domenica 22 luglio  2012

Guai ai pastori che disperdono il gregge

Dice il Signore: «Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo. Oracolo del Signore. Perciò dice il Signore, Dio d’Israele, contro i pastori che devono pascere il mio popolo: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati; ecco io vi punirò per la malvagità delle vostre opere. Oracolo del Signore. Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Costituirò sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi; non ne mancherà neppure una. Oracolo del Signore. Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore – nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra. Nei suoi giorni Giuda sarà salvato e Israele vivrà tranquillo, e lo chiameranno con questo nome: Signore-nostra-giustizia».

Ger 23,1-6

Voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini

Fratelli, ora, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne. Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito.

Ef 2,13-18

Venite in disparte e riposatevi un po’

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

Mc 6,30-34

La base della predicazione non può che essere la compassione

La rivelazione su Gesù quale autentico pastore e dunque, ne deriva, indicazioni su che cosa significhi esercitare il ministero di pastore nella chiesa: questo è al centro delle letture odierne. La denuncia profetica contro i pastori malvagi, cioè contro i re, i capi politici e militari del popolo che hanno fatto della loro posizione di potere un’occasione non di servizio ma di sfruttamento, esprime l’istanza della necessaria conversione del potere in servizio da parte di chi detiene autorità. Dio in persona si farà giudice e vindice dei torti commessi dai pastori indegni e susciterà un pastore autentico (I lettura). Nel vangelo Gesù appare il pastore che colma la sete di guide salde e fidate di un popolo ormai sbandato come “pecore senza pastore” (Mc 6,34). Gesù è anzitutto pastore dei suoi discepoli, della sua piccola comunità. Essi, di ritorno dalla missione a cui Gesù li ha inviati (Mc 6,30 parla di “apostoli”), si ritrovano attorno a lui e gli raccontano ciò che hanno compiuto. Gesù fa l’unità della comunità e raccoglie i suoi ascoltando anche i racconti dei loro vissuti, delle loro esperienze nella missione. La missione non può consistere solo in un “fare e insegnare”, ma ha bisogno anche di essere ridetta, narrata e ascoltata. Così i vissuti pastorali ed esistenziali dei discepoli trovano un’occasione di consolazione e correzione, conferma e rettifica. In una parola, i discepoli sono accolti e ascoltati da colui che li ha inviati e che si mostra interessato non semplicemente al compimento della missione, ma anzitutto alla loro persona. Gesù, buon pastore che conosce per nome le sue pecore, si mostra più attento ai missionari, infatti, che alla missione e al suo eventuale successo. Mentre ascolta i racconti degli apostoli, egli sente anche la loro fatica e il loro bisogno di riposo. E li invita ad andare con lui in disparte per riposarsi un po’. Già i discepoli di Gesù pativano infatti una sorta di tirannia delle attività e del non avere tempo: “Era molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare” (Mc 6,31). Gesù, buon pastore, dà ai suoi inviati il diritto di riposarsi e dunque consegna loro la responsabilità di darsi tempo, di fermarsi, di abitare il silenzio e la solitudine, di sostare per “essere” e di non alienarsi nel “fare” negligendo i bisogni elementari e basilari della loro vita. Chiamati da Gesù per stare con lui e anche per predicare e cacciare i demoni (cf. Mc 3,14-15), gli apostoli possono trovare il loro riposo nella relazione con Gesù: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e io vi darò riposo” (cf. Mt 11,28). Quando Gesù sbarca per andare anch’egli nel luogo in disparte con i discepoli, vede la numerosa folla che li aveva preceduti a piedi e “ne provò compassione perché erano come pecore senza pastore” (Mc 6,34). Fondamento dell’azione pastorale di Gesù è la compassione. Come aveva visto il bisogno dei suoi discepoli, ora Gesù vede il bisogno delle folle e non le respinge, non le manda via, quasi che fossero un ostacolo a ciò che egli stesso aveva progettato. Gesù vede la fame che hanno di parola di Dio e “cominciò a insegnare loro molte cose” (Mc 6,34). Da possibile fastidio che impedisce il riposo previsto, le folle diventano magistero per Gesù, proprio nel loro bisogno, nella loro povertà. Gesù accetta di mutare il proprio progetto, di lasciarsi scomodare, e si impegna nella faticosa predicazione. La base della predicazione e dell’insegnamento evangelico non può che essere la compassione. Altrimenti anche questa attività si muterà in esercizio accademico e dimostrazione di potere. Lo sguardo del pastore Gesù è abitato dalla luce della parola di Dio: così egli sa vedere nella folla non un intralcio, ma un’occasione per obbedire alla parola della Scrittura che chiedeva che il popolo non fosse un gregge senza pastore, ma avesse una guida (cf. Nm 27,15-17). Ed è questa obbedienza che, mentre rende Gesù stesso una pecora fedele al Dio “pastore d’Israele” (Sal 80,2), lo abilita anche a esercitare un ministero di guida, di pastore. L’Agnello è il Pastore!

Comunità di Bose

 

Necessità di silenzio per un serio ritorno alla vita interiore

Il Vangelo che abbiamo ascoltato domenica scorsa ci ha mostrato Gesù che invia i dodici apostoli, due a due, nei villaggi della Galilea per annunciare l’avvento del Regno di Dio, per guarire i malati e aiutare i deboli e i poveri. L’evangelista parla esplicitamente di un “potere” conferito agli inviati perché possano operare tali cose. Ovviamente non si trattava di un potere politico o economico; tuttavia era un potere reale, una forza che operava guarigioni nel corpo e nel cuore. Il brano evangelico di questa sedicesima domenica ci narra il ritorno dalla missione delle sei coppie di apostoli. L’evangelista fa arguire la soddisfazione dei discepoli e di Gesù il quale, pur conoscendo la scarsa preparazione di quel gruppetto di discepoli, aveva egualmente affidato loro questo compito; era, del resto, sufficiente che obbedissero alla lettera a quello che aveva loro ordinato, non dovevano presentare altro che le sue parole e ripetere i suoi gesti di misericordia. L’obbedienza aveva dato i suoi frutti. E possiamo immaginare lo sguardo affettuoso di Gesù mentre essi raccontavano quello che avevano operato. Erano felici; e anche un poco stanchi, come accade ad ogni vero “missionario” che dimentica se stesso per servire il Vangelo. Al termine dei racconti Gesù dice loro: “Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’!”. È una esortazione che suona vicina a questo tempo nel quale in molti ci si prepara al riposo o, forse ancor più, alla necessità di un silenzio per un serio ritorno alla vita interiore. Vorrei, tuttavia, applicare queste parole di Gesù, certamente a quei momenti di riflessione e di ritiro spirituale, ma soprattutto al “riposo” che è la Messa della domenica. Non so se ordinariamente viviamo con questa sensibilità la santa liturgia. Se dovessimo però trovare un testo evangelico per esprimere la spiritualità della domenica, direi che queste parole di Gesù sono adattissime. Nella Messa domenicale davvero siamo condotti “in disparte”, ossia in un luogo diverso dalle nostre ordinarie occupazioni, fossero anche quelle delle vacanze, per poter dialogare con il Signore, ascoltare una parola vera sulla nostra vita, nutrirci di un’amicizia che resta comunque salda, ricevere una forza capace di sostenerci. Non si tratta di evadere dalla vita o di dimenticare i propri guai. L’incontro con il Signore nella santa liturgia domenicale non ci separa dal tempo ordinario della vita, semmai fa come da cerniera tra la settimana che è passata e quella che sta per iniziare; è come una luce che illumina il tempo di ieri, per comprenderlo, e quello di domani, per tracciarne il percorso. È quello che accade nel racconto evangelico, quando Gesù e i discepoli salgono sulla barca per passare all’altra riva. Il momento della traversata sulla barca, tra una riva e l’altra, si può paragonare alla Messa della domenica, la quale appunto ci lega alle due sponde del mare, sempre affollate di gente bisognosa. Le folle, quelle di allora e quelle di oggi, sono senza dubbio l’oggetto primario della missione del Signore e dei suoi discepoli. È su di loro che si dirige la compassione di Gesù; per questo il Vangelo può notare: “erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare”. Lo stare “in disparte” – la Messa domenicale – perciò non significava una fuga, semmai un momento per irrobustire e limare la compassione. Si tratta di ascoltare anzitutto il Signore, di far scendere nel proprio cuore le parole della Scrittura; esse sono come un respiro più grande dentro il quale far riposare la mente; o, se si vuole, rappresentano una boccata d’aria pura, di cui tutti abbiamo bisogno per pensare meglio, per sentire in modo più generoso, per recuperare le forze. L’inizio della settimana successiva deve trovarci rinfrancati nello spirito e più vicini al sentire del Signore. Giunti infatti all’altra sponda del mare di nuovo c’è la folla ad attenderli. Forse hanno visto il percorso della barca e intuito il luogo dell’approdo. sono corsi in avanti e sono arrivati prima. Appena Gesù scende dalla barca si trova di nuovo circondato. Scrive Marco: “Gesù vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore sbandate senza pastore”. Giovanni Battista era stato ucciso da non molto tempo; e non c’era più nessun profeta. Rara era la Parola di Dio. È vero, il tempio era pieno di gente e le sinagoghe affollate; tanto da far dire a molti che la religione aveva vinto. Eppure la gente, i poveri e i deboli soprattutto, non sapevano su chi confidare, su chi riporre la loro speranza, a quale porta bussare. Nelle ultime parole evangeliche riecheggia tutta la tradizione vetero-testamentaria sull’abbandono della gente da parte dei responsabili. Il profeta Geremia lo grida a chiare lettere: “Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo”. Sarà il Signore stesso a prendersi cura del suo popolo: “Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli”. Il segreto di tutto ciò è nascosto nella compassione del Signore per il suo popolo. Questa compassione, che portò Gesù a inviare i Dodici ad annunciare il Vangelo e a servire i poveri, continua a spingerlo, appena sceso dalla barca, a riprendere immediatamente il suo “lavoro”. È quello che continua a chiedere ai discepoli di ogni tempo.

Comunità di Sant’Egidio

 

**

Lunedì 23 luglio  2012

Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

Gv 15,1-8

 

**

Martedì 24 luglio  2012

Chiunque fa la volontà del Padre mio è per me fratello, sorella e madre

In quel tempo, mentre Gesù parlava ancora alla folla, ecco, sua madre e i suoi fratelli stavano fuori e cercavano di parlargli. Qualcuno gli disse: «Ecco, tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e cercano di parlarti». Ed egli, rispondendo a chi gli parlava, disse: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Poi, tendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre».

Mt 12,46-50

**

Mercoledì 25 luglio  2012

Chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore

In quel tempo, si avvicinò a Gesù la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dòminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Mt 20,20-28

 

**

Giovedì 26 luglio 2012

Il cuore di questo popolo è diventato insensibile

In quel tempo, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice: “Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore e non si convertano e io li guarisca!”. Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!».

Mt 13,10-17

 

**

Venerdì 27 luglio  2012

Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».

Mt 13,18-23

**

Sabato 28 luglio  2012

Il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano

In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponételo nel mio granaio”».

Mt 13,24-30

 **

blog www.rossosantena.it