Torino, veglia di preghiera “Famiglia, lavoro e impresa”. L’intervento dell’arcivescovo Cesare Nosiglia

Torino – 29 aprile 2013 – L’Arcivescovo di Torino Mons.Cesare Nosiglia in occasione della Festa dei Lavoratori questa sera, lunedì 29 aprile alle ore 20.45, nel Santuario della Consolata a Torino, ha presieduto la Veglia di preghiera “Famiglia Lavoro Impresa”. Alla riflessione spirituale erano invitati tutti lavoratori di tutte le categorie professionali, oltre che i rappresentanti delle istituzioni, enti e associazioni di categoria. La Veglia è stata preceduta, alle ore 18 da una Tavola Rotonda alla quale sono stati invitati i rappresentanti delle istituzioni del nostro territorio e delle associazioni di categoria per vivere un momento di confronto sul tema in questo momento particolarmente difficile per il mondo del lavoro. Di seguito il testo integrale dell’intervento dell’arcivescovo mons. cesare Nosiglia alla veglia di preghiera per il mondo del lavoro.

VEGLIA DI PREGHIERA PER IL MONDO DEL LAVORO

(Santuario della Consolata, 29 aprile 2013)

L’arcivescovo Cesare Nosiglia:

«Cari amici,

la parabola evangelica dei lavoratori nella vigna, ci richiama all’azione di Dio, che fa del lavoro un’esperienza forte e ricca di valori, non solo umani e sociali, ma anche religiosi e spirituali. Gesù paragona infatti il Regno dei cieli ad un lavoro svolto a giornata in una vigna. Prende spunto dalla realtà quotidiana, di cui tutti in quel tempo avevano esperienza, e cioè  i lavoratori che, sulla piazza, aspettavano i padroni dei campi, delle vigne o dei greggi, che venivano a chiamare uomini per il lavoro di ogni giorno. Cosa che anche oggi avviene nel nostro Paese, con modalità purtroppo irregolari, particolarmente nel Sud nelle stagioni di raccolta delle olive, dell’uva o dei pomodori.

Nosiglia3E’ bello pensare che il Regno di Dio assomigli alla realtà del lavoro, che a noi pare invece dura ed impegnativa esperienza quotidiana. Gesù sembra voler dire che il Regno si conquista anche con il nostro lavoro, che non è un’altra cosa rispetto alla preghiera e alla fede, ma rappresenta il terreno quotidiano in cui siamo chiamati a vedere la via per giungere alla salvezza del Regno.

Nella parabola abbiamo alcuni aspetti rilevanti da notare:

* il padrone di casa si preoccupa che nessuno resti senza lavoro e non disdegna nemmeno di chiamare a lavorare nella sua vigna coloro che, all’ultima ora, hanno pochissimo tempo per impegnarsi. Tutti debbono poter lavorare, perché il Signore ha bisogno di ciascuno per il suo Regno. Nessuno può restare fuori, senza un impegno o un servizio dal svolgere. Questa chiamata, che riguarda il nostro vivere ed agire nella Chiesa, è modello anche per ogni vivere civile. Nessuno, sembra dire il Signore, deve restare privo di lavoro, perché è lì che trova il sostegno alla sua vita ed il benessere di cui ha diritto  per sé e per i propri cari. Questo tratto provvidente e buono del padrone di casa sottolinea come Dio sia dalla parte di chi lavora e desideri che abbia sempre la possibilità di svolgere il suo compito remunerato con giustizia.

La disoccupazione, quella giovanile in particolare, è una piaga sociale che purtroppo è connessa in  questo momento con le difficoltà di tante piccole e medie aziende che chiudono con gravissime conseguenze  per gli imprenditori e i lavoratori.

“Nessuno ci ha presi a giornata. Andate anche voi nella mia vigna”. Il diritto al lavoro resta il punto centrale di ogni società  e di ogni modello di sviluppo ed esige dunque il massimo impegno da parte di tutti. Il diritto al lavoro porta con sé quello di condizioni dignitose ed umane del lavoro stesso, rispettoso di altri importanti diritti quali la possibilità di formare una famiglia e la possibilità di godere di un tempo dedicato al riposo. Oggi assistiamo a un fatto molto grave che è il silenzio che avvolge la condizione concreta della vita di tante famiglie, imprenditori e lavoratori  che subiscono le conseguenze della crisi senza trovare chi si fa carico di sostenerli e di ascoltarli attraverso una preziosa azione di accompagnamento. Per non parlare di tanti giovani che dopo aver cercato e non trovato uno sbocco nel mondo del lavoro non lo cercano nemmeno più. La mancanza di lavoro traina dietro di sé gravissime conseguenze per la famiglia che riguardano l’abitazione talvolta con l’impossibilità di far fronte all’affitto o al mutuo, l’istruzione dei figli con il suo carico finanziario sempre più pesante, la salute, gli anziani, i malati o i disabili privati di quei sostegni che le risorse pubbliche non riescono quasi più a garantire.

Questo mio richiamo all’attenzione verso la famiglia sarà rilanciato in occasione della prossima Settimana Sociale dei Cattolici Italiani del prossimo mese di settembre qui a Torino, con particolare riferimento alle problematiche legate al lavoro. Il sentirsi impotenti e soli nell’affrontare le situazioni conseguenti alla mancanza di lavoro, conduce alla completa disistima di sé e ad avvitarsi nei propri problemi senza avere a volte la possibilità  di uscirne fuori, fino a decidere gesti estremi di rifiuto della vita stessa di cui abbiamo avuto esempi tragici e dolorosissimi in questi giorni anche sul nostro territorio.

Di fronte a ciò non possiamo restare indifferenti e assenti per cui ho chiesto all’Ufficio di Pastorale Sociale e del Lavoro, in collaborazione con le associazioni di categoria, oltre ai Servizi per il Lavoro già avviati in diverse parrocchie della Diocesi, di costituire uno o più Servizi di ascolto e di accompagnamento  per imprenditori  e lavoratori  che si trovano in una situazione difficile per offrire loro un sostegno concreto che li allontani da tentazioni devastanti per sé, per i loro cari e per l’intera società. E’ necessario dare vita  a luoghi di fraternità in cui sia possibile sperimentare  la cura del cuore. La vera assistenza  è “stare accanto”, è prendersi cura della persona e non mettersi al suo posto. Una sorta di accompagnamento esistenziale  nel quale è possibile uno scambio di doni  tra chi è in necessità ed è chiamato a mettersi in gioco con responsabilità e quanti condividono con lui i suoi problemi. Non si vive di solo pane, ma anche di parole che danno senso all’esistenza.

Plaudo all’iniziativa delle forze sindacali  di promuovere una fiaccolata cittadina  per sensibilizzare  l’intera cittadinanza al problema del lavoro quale fattore insostituibile per ogni persona, famiglia e comunità. Mi auguro che l’iniziativa abbia l’adesione di tutte le componenti del nostro territorio  mostrando così la piena solidarietà necessaria a dare speranza e forza a tanti disoccupati  o in procinto di diventarlo. Il loro problema è e deve  essere considerato problema di tutti. L’iniziativa  possa infine servire da modello e volano per l’intero nostro Paese in gravissima difficoltà sotto questo profilo e susciti un sussulto di  impegno da parte delle forze politiche  e sociali  per far fronte con decisione e concretezza alla situazione, impegno che prima della celebrazione di questa veglia di preghiera abbiamo potuto rinnovare durante un incontro molto interessante avvenuto fra le istituzioni del nostro territorio impegnate sul tema del lavoro.

* un altro aspetto interessante della parabola che abbiamo ascoltato è il salario giusto dei lavoratori strettamente congiunto alla solidarietà tra tutti loro. Il padrone di casa paga tutti allo stesso modo,  andando contro coloro che, avendo lavorato tutto il giorno, si lamentano. Ma egli dice: “Io ho pattuito con te un denaro; prendi e vattene. Hai avuto il tuo secondo giustizia. Ma io voglio essere buono anche verso chi è stato chiamato anche all’ultima ora, mostrando così che ciò che conta è comunque l’aver accolto l’invito a lavorare nella vigna”.

L’interpretazione religiosa e spirituale è chiara: Dio non guarda la quantità di ciò che facciamo, ma la qualità e l’amore con cui lo facciamo. Il buon ladrone sulla croce è certamente un operaio dell’ultima ora, ma ottiene lo stesso premio dei primi, di Maria, degli apostoli, dei santi e martiri, perché ama intensamente e prega con fede Gesù. Questa apparente ingiustizia distributiva del padrone della parabola lascia intravedere un valore forte del mondo del lavoro che oggi si sta stemperando: la solidarietà tra tutti i lavoratori, per cui a tutti è dovuto comunque un giusto salario e un uguale sostegno per una vita dignitosa ed un futuro assicurato.

La giustizia e la solidarietà camminano insieme e si realizzano tra i lavoratori quando ci si rende conto che le difficoltà di alcuni sono difficoltà di tutti e i diritti di alcuni sono da difendere e promuovere come diritti di tutti. Questa è la certezza che deve animare il cristiano anche nel mondo del lavoro dove sembrano prevalere logiche e leggi assolute e dove ci si sente come schiacciati da una realtà, che appare a volte invincibile e di cui si è succubi.

E’ necessario che non dall’esterno, ma dal di dentro dell’esperienza lavorativa, dal di dentro di ogni ambiente di lavoro, i cristiani sappiano proporsi come lievito e forza di cambiamento interiore e sociale dell’uomo che lavora valorizzando la grandi energie di solidarietà e di unità, che sono proprie della tradizione sociale cristiana e che una diffusa cultura individualistica  e corporativistica tende a snaturare e a distruggere. Se vogliamo che l’uomo sia al centro del lavoro,  occorre che su questo tutte le forze sociali puntino con grande determinazione e siano coerenti poi nel mantenere fermo questo obiettivo, perseguendolo non solo sul piano sociale ma anche culturale e spirituale.

La fede in Cristo ci aiuta a raggiungere questo traguardo. Noi sappiamo infatti che chi crede immette anche nel mondo del lavoro la forza sconvolgente della Pasqua di risurrezione del Signore. La risurrezione di Cristo è il fondamento ultimo di una speranza vitale, che investe l’azione  sociale di chi crede in essa,  e diventa fermento di cambiamento anche dell’intera società.

Il punto decisivo è unire insieme, sempre con vigore, anzitutto nella nostra coscienza la promozione della giustizia e della solidarietà verso i più deboli ed indifesi. La giustizia  passa attraverso la volontà di abbattere le sperequazioni esistenti, sia nei rapporti personali che in quelli collettivi. Ci sono ancora tanti che continuano a ricevere per le loro prestazioni professionali discrete somme di salario e altri che invece debbono vivere con un minimo  di risorse spesso trovate nell’ambito della famiglia con l’apporto generosa magari degli anziani pensionati. I cristiani  non possono tacere di fronte a tali ingiuste sperequazioni, che sono causa di tensioni gravi tra gli uomini. Se agiscono nel sociale, debbono farlo salvaguardando sempre tre principi basilari:

* il primato dell’uomo e di ogni persona sulle cose;

* il primato dell’equità e della giustizia rispetto a privilegi o palese od occulte ma reali sperequazioni .

* il primato della condivisione e della solidarietà sul possesso.

Solo così si supera una visione del lavoro ridotto a merce, oggetto di scambio e puro strumento di profitto, staccando così l’attività economica dal contesto della vita umana e rendendola fine a se stessa. Se il primato è dato al profitto fine a se stesso e alla tecnologia, non alla persona, l’uomo è frantumato e il lavoro non è più luogo di crescita, ma avvilente necessità. Occorre dunque umanizzare il lavoro e questo è e resta sempre l’obiettivo di ogni società e di ogni azione dei cristiani nell’ambito del sociale.

Carissimi ,

in questa veglia di preghiera guardiamo a Cristo lavoratore e a san Giuseppe,  suo padre putativo, che hanno operato nel campo del lavoro per tanti anni nella casa di Nazareth. Se il figlio di Dio e la sua famiglia hanno voluto sperimentare fino in fondo la fatica e l’arte del lavoro, ciò vuole dire che esso è via di redenzione e di riscatto dal male e frontiera di giustizia e di pace.

+ Cesare Nosiglia, Arcivescovo»

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