Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal 12 al 18 maggio 2013

Santena – 12 maggio 2013 – Di seguito, alcune proposte di riflessione, per i giorni dal 12 al 18 maggio 2013, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.

Domenica 12 maggio 2013

Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi

ricevete lo spiritoNel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo. Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo». Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra». Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».

At 1,1-11

Annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso

Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte. Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza. Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne, e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso.

Eb 9,24-28;10,19-23

Saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto». Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

Lc 24,46-53

Il Signore fa dono della sua presenza in una forma nuova

Secondo il vangelo l’ascensione di Cristo è accompagnata da una benedizione (Lc 24,51: “Mentre Gesù benediceva i discepoli, si staccò da loro e fu portato verso il cielo”) e secondo la prima lettura da una promessa (At 1,11b: “Gesù verrà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”): con l’ascensione, infatti, il Signore fa dono all’umanità della sua presenza in una forma nuova (benedizione) e non abbandona i suoi, ma verrà nuovamente per incontrarli (promessa). La promessa e la benedizione dell’ascensione impegnano la chiesa nella storia a testimoniare la presenza del Risorto e ad attendere la sua venuta gloriosa. Testimonianza e attesa sono i riflessi ecclesiali e spirituali dell’evento dell’ascensione come promessa e benedizione. Il racconto dell’ascensione negli Atti degli apostoli stabilisce una continuità tra la venuta gloriosa del Signore e il suo camminare storico (il verbo usato per dire l’andata di Gesù verso il cielo è lo stesso che indica il cammino che egli ha compiuto lungo le contrade della Galilea e della Giudea). L’Asceso al cielo è il Veniente ed è colui che passò tra gli uomini facendo il bene e guarendo: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, verrà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo” (At 1,11). Venuta escatologica e cammino quotidiano di Gesù sono in stretta continuità: per conoscere, confessare e testimoniare il Veniente non occorre guardare in cielo, ma ricordare i passi compiuti da Gesù sulla terra. L’umanità di Gesù attestata dai vangeli è il magistero che indica ai cristiani la via da percorrere per testimoniare colui che, asceso al cielo, non è più fisicamente presente tra i suoi e verrà nella gloria. L’ascensione è presentata da Luca come un distacco, una separazione di Gesù dai suoi. Ma si tratta di un distacco che prelude a una forma di presenza altra di Gesù presso i suoi. Presenza di cui i discepoli sono costituiti testimoni. E il testimone è creato dalle Scritture e dallo Spirito santo: per i discepoli si tratta di testimoniare lo “sta scritto” (cf. Lc 24,46-48) e di accogliere il dono dello Spirito (cf. Lc 24,49). Ecco la chiesa come memoria di Cristo tra gli uomini grazie alle Scritture e allo Spirito. Se etimologicamente il termine mártys (testimone) rinvia a una radice che tra i suoi significati ha anche quello di ricordare, questo ricordo non è però esaurito in una dimensione psicologica, ma riveste anche una dimensione teologale e spirituale. È ricordo che diviene presenza, attualità, storia, e questo nel volto dei santi, i quali danno un volto a Cristo nel tempo della sua assenza fisica, fino al suo ritorno. E in quanto testimonianza di Cristo è testimonianza del passato (colui che è venuto nella carne) e del futuro (colui che verrà nella gloria). È dunque profezia. Testimoniare è dare un volto a Colui che non è visibile. La testimonianza non è dunque quantitativamente misurabile, ma si situa sul piano ineffabile dell’essere: il volto è l’unica icona del divino. L’ascensione parla di un distacco che si apre su una nuova comunione: la fine di tutto diventa l’inizio di una storia nuova. La presenza sottratta diventa presenza donata attraverso la responsabilità del credente di dare testimonianza. Ciò che in termini teologici e spirituali è espresso dal vangelo dicendo che l’ascensione è una benedizione, in termini antropologici può essere tradotto (per quanto imperfettamente e solo per analogia) come elaborazione del lutto: colui che se n’è andato è veramente morto, non c’è più, non lo tocco più (“Non mi toccare”: Gv 20,17) e non lo vedo più (“Gesù sparì dalla loro vista”: Lc 24,31), ma la sua presenza vive in me, è interiorizzata. Anzi, la presenza di Cristo vive nella chiesa, e l’Eucaristia, luogo in cui passa e fiorisce lo Spirito, è il memoriale in cui i nostri sensi sono nuovamente posti di fronte alla sua presenza attraverso i segni del pane e del vino eucaristici, della Parola annunciata nelle Scritture, dei volti dei fratelli e delle sorelle radunati nell’assemblea. È il luogo che rinnova la testimonianza dei cristiani.

Comunità di Bose

Quando vincerà l’amore?

Oggi contempliamo il mistero di Gesù che “ascende” al cielo. I discepoli gli avevano chiesto se era finalmente venuto il momento in cui lui avrebbe ricostituito il regno di Israele. Era una domanda importante, come a dire: “Possiamo finalmente non preoccuparci più? Abbiamo vinto una volta per tutte il male? Quando dimostri definitivamente che sei tu il messia?”. Non era la prima volta che chiedevano a Gesù se era giunto il momento in cui tutto si sarebbe manifestato e ogni cosa si sarebbe chiarita. In questa domanda c’è forse il desiderio pigro di non dovere faticare più contro la divisione e le difficoltà, ma anche l’attesa di discepoli deboli e incerti di fronte un mondo ostile e segnato dal male. È una domanda che si affaccia particolarmente quando vediamo il male abbattersi accanto a noi. Quando vincerà l’amore? Quando la morte sarà sconfitta per sempre? Quando le lacrime degli uomini saranno asciugate? Gesù non risponde a questa domanda dei suoi. Noi capiamo così poco della vita che facilmente la riduciamo a quello che capiamo, alle nostre cose, a quello che proviamo. La vita, sembra suggerire Gesù, è ben più grande e non spetta certo a noi conoscerne i tempi ed i momenti! Ma il Signore non lascia soli e promette la forza vera, quello dello Spirito di amore che scende sui discepoli. Gesù è salito nel santuario del cielo, un santuario non fatto da mani d’uomo, come invece sono le nostre chiese. Eppure ogni volta che celebriamo la santa liturgia siamo come coinvolti nel mistero stesso dell’Ascensione. Ogni domenica, quando entriamo nelle nostre chiese, non siamo accolti alla presenza di Dio? Non viviamo assieme a Gesù il mistero dell’Ascensione? Dall’ambone, come dal monte, egli parla ai suoi e li benedice. E la nube che lo avvolse nascondendolo agli occhi dei suoi, non è simile forse alla nube d’incenso che circonda l’altare e che avvolge il pane santo e il calice della salvezza mentre vengono elevati al cielo? L’ascesa di Gesù al cielo non vuol dire che egli si sia allontanato dai discepoli. Significa piuttosto che egli ha raggiunto il Padre e che si è assiso accanto a lui nella gloria. Ascendere perciò vuol dire entrare in un rapporto definitivo con Dio. “In alto” non è da intendere in senso spaziale, oppure, se così vogliamo intenderlo, significa che Gesù è presente ovunque: come il cielo ci copre e ci avvolge, così il Signore ascendendo al cielo, ci copre e ci avvolge tutti. Vorrei dire ancor più: Gesù ascendendo al cielo avvolge e copre tutta la terra, così come il cielo avvolge tutta la terra. Non è, quindi, un allontanarsi. Semmai è un avvicinarsi più ampio e coinvolgente. Se così non fosse non si comprenderebbe la gioia dei discepoli. Com’è possibile gioire mentre il Signore si allontana? Eppure scrive Luca: “Dopo averlo adorato, i discepoli tornarono a Gerusalemme con grande gioia”. Gli apostoli non solo non sono tristi per la separazione, sono addirittura pieni di gioia per una nuova pienezza di presenza di Gesù. Cos’è accaduto? Quel giorno i discepoli hanno vissuto una profonda esperienza religiosa; hanno cioè sperimentato che il Signore era ormai definitivamente accanto a loro con la sua parola e con il suo Spirito, una vicinanza certo più misteriosa, ma forse ancor più reale di prima. Senza dubbio sono tornate loro in mente le parole che avevano sentito da Gesù: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). Il giorno dell’Ascensione le compresero fino in fondo: in qualunque parte della terra, in qualunque epoca, in qualunque ora, si sarebbero radunati assieme due o più discepoli del Signore, il Cristo sarebbe stato in mezzo a loro. Da quel momento in poi la presenza di Gesù sarebbe stata ancor più larga nello spazio e nel tempo; per sempre avrebbe accompagnato i discepoli, dovunque e comunque. Di qui il motivo della grande gioia. Nessuno al mondo avrebbe ormai potuto allontanare Gesù dalla loro vita. Questa gioia dei discepoli è ora la nostra gioia. Il cielo sembra una dimensione poco concreta, lontana, quasi un sogno irraggiungibile, che può incantare per la sua bellezza, ma che non ha niente a che fare con le nostre scelte concrete. La vita terrena sembra una cosa e quella del cielo totalmente un’altra. In realtà c’è una continuità della vita. Lo stesso Signore Gesù risorto non appare ai suoi con un corpo nuovo e perfetto, ma con quel suo stesso corpo segnato dalla storia, dalla violenza. Gesù risorto, uomo della terra e del cielo, non è un fantasma, anche se il più bello. La concretezza di Gesù risorto stabilisce proprio questo legame tra la vita della terra e quella del cielo. L’apostolo Paolo afferma con solennità nella lettera ai Colossesi che “piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli” (Col 1,19-20). L’Ascensione ci mostra qual è il futuro che Dio ha riservato ai suoi figli. È il cielo raggiunto da Gesù, dove, come aveva detto, va a prepararci un posto, perché siamo anche noi dove è lui. E lui ci prende da oggi con sé. I discepoli di Gesù non hanno risolto tutti i loro problemi: sono uomini deboli, increduli, pieni di paura. Ma possiamo essere testimoni di questo amore sempre e fino ai confini della terra. Testimoni dinanzi a tutti, anche davanti a quelli che non consideriamo o che ci sentiamo in diritto di trattare male. Troveremo un po’ di cielo nella vita di ognuno e saremo anche noi uomini del cielo.

Comunità di Sant’Egidio

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Lunedì 13 maggio 2013

Abbiate coraggio: io ho vinto il mondo

In quel tempo, i discepoli dissero a Gesù: «Ecco, ora parli apertamente e non più in modo velato. Ora sappiamo che tu sai tutto e non hai bisogno che alcuno t’interroghi. Per questo crediamo che sei uscito da Dio». Rispose loro Gesù: «Adesso credete? Ecco, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me. Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!».

Gv 16,29-33

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Martedì 14 maggio 2013

Rimanete nel mio amore

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

Gv 15,9-17

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Mercoledì 15 maggio 2013

Padre santo, custodiscili nel tuo nome

In quel tempo, [Gesù, alzàti gli occhi al cielo, pregò dicendo:] «Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi. Quand’ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittura. Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità».

Gv 17,11-19

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Giovedì 16 maggio 2013

Siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te

In quel tempo, [Gesù, alzàti gli occhi al cielo, pregò dicendo:] «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.
E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me. Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».

Gv 17,20-26

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Venerdì 17 maggio 2013

Mi ami?

In quel tempo, [quando si fu manifestato ai discepoli ed] essi ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse “Mi vuoi bene?”, e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

Gv 21,15-19

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Sabato 18 maggio 2013

Tu seguimi

In quel tempo, Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: «Signore, che cosa sarà di lui?». Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi». Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?». Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere.

Gv 21,20-25

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