Una pausa per lo spirito, proposte di riflessione per i giorni dal 18 al 24 agosto 2013

Santena – 18 agosto 2013 – Di seguito, alcune proposte di riflessione, per i giorni dal 18 al 24 agosto 2013, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.

Domenica 18 agosto 2013

Presero Geremìa e lo gettarono nella cisterna

In quei giorni, i capi dissero al re: «Si metta a morte Geremìa, appunto perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città e scoraggia tutto il popolo dicendo loro simili parole, poiché quest’uomo non cerca il benessere del popolo, ma il male». Il re Sedecìa rispose: «Ecco, egli è nelle vostre mani; il re infatti non ha poteri contro di voi». Essi allora presero Geremìa e lo gettarono nella cisterna di Malchìa, un figlio del re, la quale si trovava nell’atrio della prigione. Calarono Geremìa con corde. Nella cisterna non c’era acqua ma fango, e così Geremìa affondò nel fango. Ebed-Mèlec uscì dalla reggia e disse al re: «O re, mio signore, quegli uomini hanno agito male facendo quanto hanno fatto al profeta Geremìa, gettandolo nella cisterna. Egli morirà di fame là dentro, perché non c’è più pane nella città». Allora il re diede quest’ordine a Ebed-Mèlec, l’Etiope: «Prendi con te tre uomini di qui e tira su il profeta Geremìa dalla cisterna prima che muoia».
Ger 38,4-6.8-10

Corriamo tenendo fisso lo sguardo su Gesù

Fratelli, anche noi, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio. Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato.
Eb 12,1-4

Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra?

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».
Lc 12,49-53

Il fuoco che Gesù è venuto a portare è passione di amore e sofferenza
La vocazione profetica porta Geremia a incontrare opposizioni fino a essere consegnato in mano di altri uomini: il suo destino è nelle mani di altri; la sua vita o la sua morte dipendono da altri: quella verità così essenziale per cui la nostra vita è legata inscindibilmente ad altri e viviamo grazie agli altri, trova in Geremia gettato in prigione e da lì fatto risalire una attestazione drammatica e dolorosa (I lettura). Il cammino di Gesù di obbedienza al Padre è anche cammino di salita verso Gerusalemme, verso l’immersione (“battesimo”) che lo attende e che egli riceverà quando sarà consegnato nelle mani dei peccatori che lo maltratteranno e lo metteranno a morte. Gesù vive l’abbandono nelle mani di Dio conoscendo il tragico destino di chi cade in balia degli uomini e della loro malvagità (vangelo). Annunciato dal Battista come colui che “battezzerà in Spirito santo e fuoco” (Lc 3,16), Gesù, nei giorni della sua vita terrena, sperimenta l’incompiutezza della sua missione e il caro prezzo che essa comporta. Lo Spirito che scenderà a Pentecoste immergerà i discepoli nel fuoco dello Spirito, ma questo avverrà solo dopo la sua morte e resurrezione; inoltre Gesù stesso riconosce di dover passare attraverso il fuoco dell’immersione nella morte cruenta. Perché l’incendio del Regno divampi occorre prima che egli stesso sia bruciato e consumato da tale fuoco. Venuto per narrare il Dio che è “fuoco divorante” (Dt 4,24), per suscitare la passione per il Regno, per sconvolgere le vite con il soffio impetuoso dello Spirito, per far ardere i cuori con la sua parola bruciante, Gesù incontra coloro che sanno “spegnere lo Spirito”, far tacere la profezia, mortificare la follia per il Signore. Non c’è altra via, per lui, che ardere e consumarsi egli stesso al fuoco della sua passione per Dio e del suo desiderio di dare comunione e vita agli uomini. Egli stesso diviene fuoco: “Chi è vicino a me è vicino al fuoco, chi è lontano da me è lontano del Regno”, recita un detto di Gesù tramandato da Origene. Il fuoco dona calore e luce ma, nel mentre, consuma e divora. Da quella morte, nasce la nostra vita. Il fuoco che Gesù è venuto a portare e gettare sulla terra è passione di amore e passione di sofferenza. Del resto, chi può conoscere il segreto del fuoco se non chi se ne lascia consumare? Per quanto enigmatiche, le parole di Gesù sul fuoco che egli è venuto a portare ricordano alla nostra stanca cristianità e alle nostre vecchie chiese che il cristianesimo è vita e fuoco, passione e desiderio, avventura e bellezza. Ha scritto il patriarca di Costantinopoli Atenagora: “Il cristianesimo è la vita in Cristo. E il Cristo non si ferma mai alla negazione, al rifiuto. Siamo noi che abbiamo caricato l’uomo di tanti fardelli! Gesù non dice mai: ‘Non fare, non si deve fare’. Il cristianesimo non è fatto di proibizioni: è vita, fuoco, creazione, illuminazione”. La venuta di Gesù è anche giudiziale: la sua presenza sollecita una presa di posizione e una scelta e così essa può provocare divisioni: Gesù, infatti, è “segno di contraddizione” (Lc 2,34). La famiglia stessa non sarà esente da tale intervento giudiziale e dalle separazioni che esso opera (cf. Lc 12,51-53).L’urgenza del Regno porta a relativizzare anche l’istituto famigliare che viene traversato e lacerato, come da spada, dalla parola di Gesù che chiede di avere per lui un amore prioritario e di mettere al primo posto le esigenze del Regno (Lc 14,25-26). E l’oggi storico deve essere giudicato a partire dalla novità escatologica introdotta da Gesù: il Regno di Dio si è fatto vicino. Prima ancora di riconoscere “i segni dei tempi” si tratta di riconoscere il segno del tempo, il segno che il tempo stesso è diventato da quando ha accolto l’evento dell’incarnazione. Esso è occasione di conversione, appello a conversione. Segnato dall’irruzione del Regno, ormai il tempo della storia e dell’esistenza personale di ciascuno è kairòs, momento propizio per la conversione (cf. Lc 13,1-5). È luogo di incontro possibile con il Signore che viene.
Comunità di Bose

Il Vangelo è diverso dal nostro modo di pensare

C’è un’urgenza nella pagina evangelica di questa domenica che il Signore vuole comunicarci: l’urgenza di annunciare a tutti che il Regno di Dio è in mezzo a noi. È ciò che ha mosso Gesù sin dall’inizio della sua predicazione. Diceva alle folle che incontrava: “Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino”. Era la sostanza della sua predicazione e della sua azione pastorale. Gesù portava sulla terra il fuoco dell’amore di Dio. Non era una teoria, non era una proposta, non era una nuova ideologia. Era un fuoco che bruciava anzitutto dentro il suo stesso cuore e che lo spingeva ad andare “per tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del regno e curando ogni malattia e infermità” (Mt 9,35). Questo fuoco ha un nome: compassione. Lo scrive Matteo nel versetto seguente: “Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore” (Mt 9,36). La compassione di Gesù è un desiderio struggente, quasi angosciato, che non può trattenere per sé. Tanto che sospira: “E come vorrei che fosse già acceso!”. Purtroppo questa urgenza che pure spingeva Gesù oggi è tante volte frenata, oscurata, persino soffocata. È oscurata dal clima di violenza che sembra prevalere nel mondo, sia in Oriente che in Occidente; è stroncata dalle numerose guerre che in tanti paesi del mondo continuano a generare tristezza e morte; talora è frenata anche dagli stessi discepoli quando si sottraggono all’invito del Signore per seguire le proprie urgenze, oppure lasciandoci trasportare dai propri interessi, dalle proprie abitudini, dalle proprie preoccupazioni. È facile rassegnarsi al presente, rinchiudersi nel proprio piccolo mondo e far prevalere un’avara rassegnazione. Quante volte sentiamo dire: non si può fare nulla! Il mondo è andato sempre così! Sono ormai adulto e non posso cambiare! E così oltre. Ma il Signore torna, ancora una volta, in mezzo a noi e ripete: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!”. Sì, lasciamoci coinvolgere da questa passione, lasciamoci bruciare da questo fuoco, scorgeremo immediatamente la meschinità delle nostre passioni e l’avarizia dei nostri cuori. Purtroppo, l’unico fuoco che brucia in noi è il fuoco fatuo dell’amore per noi stessi, che i Padri chiamavano filautìa. L’amore di Gesù è di altra natura. È un amore dolce e sconvolgente, fa dimenticare se stessi e prevalere l’interesse per i poveri. Per spiegarlo, senza mezzi termini, Gesù dice: “Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione…”. Difficilmente noi avremmo posto queste parole in bocca a Gesù. Ma il Vangelo è diverso dal nostro modo di pensare. L’affermazione di Gesù che afferma più la spada che la pace è a dire che egli non è venuto a difendere il nostro egocentrismo, ma l’amore per gli altri. Gesù infatti non è venuto a difendere la tranquillità avara del ricco epulone che non vedeva neppure il povero Lazzaro affamato davanti la sua porta; non è venuto a difendere l’egocentrismo del sacerdote e del levita che pur vedendo l’uomo mezzo morto lungo la strada passarono oltre. Questa non è pace, ma avarizia, grettezza, insensibilità, peccato. La pace non esiste senza un amore forte e appassionato. Gesù, infatti, solo dopo aver vissuto il dramma della passione, che fu tutt’altro che pace e tranquillità, disse ai discepoli: “Vi lascio la pace vi do la mia pace”. La pace del Signore non è sul piano di un intimismo rassicurante. La pace evangelica sta nel raccordare il proprio cuore a quello di Dio. Sì, la pace è la passione che spinge a dare la vita per gli altri. In tal senso la pace divide. La pace ha diviso, in certo modo, la stessa vita di Gesù quando, appena ragazzo, lasciò la mamma e il papà per stare nel tempio: “Non sapete che devo occuparmi delle cose del padre mio” rispose ai genitori che angosciati lo stavano “giustamente” rimproverando; lo divise da Nazareth per recarsi nel deserto di Giovanni Battista; lo divise dai discepoli a Cafarnao nel discorso del pane, quando rivolto ai dodici disse: “Volete andarvene anche voi?”; lo divise da Pietro quando voleva allontanarlo dal suo cammino: “Vattene, lontano da me Satana”; lo divise dagli scribi e farisei…Il Vangelo lo divise dall’amore per sé nell’agonia al Getsemani: “Non la mia ma la tua volontà sia fatta”. Gesù insegna che la pace sta nell’ascolto del Padre. Per noi la pace sta nella sequela del Vangelo. Ce lo mostrano gli innumerevoli martiri del Novecento e quelli di questo inizio di millennio. Contemplandoli possiamo applicare anche a noi le parole della Lettera agli Ebrei: “Circondati da un si gran numero di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù” (12,1). Tutti costoro hanno accolto nel loro cuore il fuoco dell’amore di Dio che li ha divisi dalla loro stessa vita terrena. I martiri ci ricordano che l’amore evangelico è dare la vita per il Signore e per gli altri. È vero, c’è senso eroico nel Vangelo. E dobbiamo riscoprirlo. Così diviene come un fuoco che brucia. Si tratta di una sorta di legge biblica: accadde così anche al profeta Geremia che fu scaraventato in prigione perché non disturbasse più con la sua parola l’avara tranquillità degli israeliti. Il Signore è venuto per donarci il fuoco dell’amore. Se lo lasciamo ardere nel nostro cuore, il mondo cambierà. E il suo calore fa intravedere il tempo nuovo di Dio.
Comunità di Sant’Egidio

Lunedì 19 agosto 2013

Cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?
In quel tempo, un tale si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?». Gli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Buono è uno solo. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». Gli chiese: «Quali?». Gesù rispose: «Non ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai, non testimonierai il falso, onora il padre e la madre e amerai il prossimo tuo come te stesso». Il giovane gli disse: «Tutte queste cose le ho osservate; che altro mi manca?». Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!». Udita questa parola, il giovane se ne andò, triste; possedeva infatti molte ricchezze.
Mt 19,16-22

Martedì 20 agosto 2013

Molti degli ultimi saranno primi
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In verità io vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». A queste parole i discepoli rimasero molto stupiti e dicevano: «Allora, chi può essere salvato?». Gesù li guardò e disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile». Allora Pietro gli rispose: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna. Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi».
Mt 19,23-30

Mercoledì 21 agosto 2013

Andate anche voi nella vigna
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».
Mt 20,1-16

Giovedì 22 agosto 2013

Hai trovato grazia presso Dio
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
Lc 1,26-38

Venerdì 23 agosto 2013

Amerai il Signore tuo Dio
In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «”Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».
Mt 22,34-40

Sabato 24 agosto 2013

Vieni e vedi
In quel tempo, Filippo trovò Natanaèle e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret». Natanaèle gli disse: «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi». Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!». Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».
Gv 1,45-51