Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal 1° al 7 settembre 2013

Santena – 1° settembre 2013 – Di seguito, alcune proposte di riflessione, per i giorni dal 1° al 7 settembre 2013, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.

 

Domenica 1 settembre 2013

Quanto più sei grande, tanto più fatti umile

rosso_cristianoFiglio, compi le tue opere con mitezza, e sarai amato più di un uomo generoso. Quanto più sei grande, tanto più fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore. Molti sono gli uomini orgogliosi e superbi, ma ai miti Dio rivela i suoi segreti. Perché grande è la potenza del Signore, e dagli umili egli è glorificato. Per la misera condizione del superbo non c’è rimedio, perché in lui è radicata la pianta del male. Il cuore sapiente medita le parabole, un orecchio attento è quanto desidera il saggio.

Sir 3,19-21. 30-31

Vi siete accostati alla città del Dio vivente

Fratelli, non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la parola. Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova.

Eb 12,18-19. 22-24

Non metterti al primo posto

Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».

Lc 14,1-7.14

La scelta del primo posto riguarda il cuore, non le sedie

“Una mente saggia medita le parabole”, nota il Siracide (3,28). È quanto vogliamo fare anche noi in questa domenica, dopo aver ascoltato appunto le due parabole pronunciate da Gesù. Esse vengono proposte in questa liturgia che vede molti riprendere il ritmo ordinario della vita, dopo le vacanze. È sempre saggio meditare le parabole, soprattutto mentre si riprende il cammino: “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” canta il salmo (Sal 119,105). Il Vangelo presenta Gesù che, invitato a pranzo in casa di un capo dei farisei, osserva gli ospiti precipitarsi a scegliere i primi posti. È una scena che ci è forse familiare anche se, magari per timore o per educazione, non ci ha visti protagonisti sciocchi. Eppure, non siamo tanto lontani dalle abitudini stigmatizzate dal Vangelo. E Gesù, che legge nel profondo dei cuori, oggi forse vede anche noi correre per prendere i primi posti, come quegli invitati di cui parla il Vangelo. Ma non è questione di cercare la poltrona più bella o la prima fila. Si può scegliere il primo posto anche mettendosi nell’ultima fila o nell’ultima sedia. La scelta del primo posto, infatti, riguarda il cuore, non le sedie. Scegliere i primi posti è porre se stessi davanti a tutto; è voler piegare tutto ai propri comodi; è pretendere di essere serviti piuttosto che servire; essere onorati piuttosto che essere disponibili; essere amati prima di amare. Scegliere il primo posto, insomma, vuol dire anteporre se stessi a ogni cosa. Si comprende bene che non è questione di sedie, bensì dello stile della vita.
Gesù stigmatizza questo comportamento. Esso non giova, anzi è dannoso perché ci rende concorrenti e nemici l’uno dell’altro, condannandoci così a una vita fatta di spiate, di spinte, di invidie, di soprusi. Non è questione di galateo o di buone maniere. Gesù va ben oltre; intende cogliere la concezione che ognuno ha di se stesso. E la lezione è chiara: chi crede di essere giusto e pensa di poter stare a testa alta tanto da meritare il primo posto avanti ad altri, costui sentirà dirsi: “Cedigli il posto!” (v. 9), e dovrà arretrare pieno di vergogna. È bene allora vergognarsi della propria superbia e dell’indulgenza che ciascuno ha verso se stesso, già prima di prendere posto. È bene vergognarsi davanti a Dio del proprio peccato, senza che questo comporti depressione, poiché “solo Dio è buono”. La santa liturgia ci suggerisce questo atteggiamento quando all’inizio ci fa invocare per tre volte: “Signore, pietà”. E il Signore viene accanto a ciascuno e ci esorta: “Amico, passa più avanti!”; “amico, vieni, ascolta la mia parola, gusta il mio pane e bevi il mio calice”. Sì! Chi si umilia e chiede perdono, chi china il capo davanti al Signore, costui sarà esaltato. Il Signore non sopporta i superbi e non tollera gli egoisti. Egli è il “Padre degli umili”. “Figlio – esorta il libro del Siracide – nella tua attività sii modesto, sarai amato dall’uomo gradito a Dio. Quanto più sei grande, tanto più umiliati; così troverai grazia davanti al Signore; perché dagli umili egli è glorificato” (Sir 3,17-20). E la prima lettera di Pietro esorta i cristiani a “rivestirsi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili” (5,5). L’umiltà non ha nulla a che vedere con l’umilismo. L’umiltà è riconoscere che solo Dio è grande, solo Dio è buono, solo Dio è misericordioso. Nessuno di noi è buono per carattere o per natura. Al contrario, siamo impastati di egoismo. La bontà è frutto di conversione, dell’ascolto della Parola di Dio, della pratica della carità.
L’umile capisce, sa amare, sa essere fratello e sorella, sa pregare, sa essere umano, sa smuovere le montagne più alte e sa colmare gli abissi più profondi. L’umile realizza l’altra parabola evangelica: “Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli… perché anch’essi non ti invitino… e tu ne abbia il contraccambio. Al contrario… invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti” (vv. 12-13). In un mondo in cui tutto è commercializzato, in cui il do ut des è la legge ferrea che regola ogni comportamento, le parole di Gesù sono davvero una bella notizia, l’annuncio della gratuità, del gesto fatto per amore e con disinteresse. Di qui nasce una nuova, più ampia solidarietà. Noi, umili discepoli, cosa faremo quest’anno? Quale impegno cercheremo di portare avanti? Il compito affidato a noi è quello di apparecchiare e servire il banchetto dell’amore, di voler bene a tutti e particolarmente ai più poveri.

Comunità di Sant’Egidio

La beatitudine insita in questo amore è la totale gratuità

Le letture odierne contengono un messaggio sull’umiltà: umiltà quale attitudine umana gradita a Dio e che rende amabile colui che la vive (I lettura); umiltà quale atteggiamento che riproduce il modo di scegliere e di vivere che fu di Cristo Gesù (vangelo). In effetti, il testo evangelico parla innanzitutto di Gesù. Esso ha una portata cristologica: Cristo è colui che essendo in forma di Dio si è abbassato, fatto uomo, ha assunto la forma di schiavo fino a condividere la condizione mortale dell’uomo, anzi, fino a morire della morte di croce. Gesù è colui che ha scelto l’ultimo posto che nessuno potrà mai sottrargli. Ed è colui che, umiliatosi, è stato esaltato dal Padre (cf. Fil 2,5-11). È Gesù che nella sua vita ha accordato un privilegio a poveri e piccoli, a malati e deboli, a storpi, zoppi e ciechi, narrando l’amore e la vicinanza di Dio innanzitutto a coloro che erano scartati dagli altri. È Gesù che ha vissuto la dimensione di unilateralità dell’amore, amando senza attendere di essere riamato, senza cercare reciprocità. Il testo mette in guardia dal protagonismo e dall’esibizionismo di chi cerca i primi posti nei conviti, rischiando di essere “retrocesso” all’ultimo posto dal padrone di casa se arriva un ospite più ragguardevole di lui. Ovviamente l’umiltà non si oppone solo alla smania di apparire di chi si mette in mostra, di chi “ama i posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe” (Mt 23,6), di chi usa le chiese e il religioso per esibirsi, per “farsi vedere”, ma anche all’atteggiamento del falso umile che si mette in fondo, all’ultimo posto, ma nutrendo in cuor suo la speranza di essere fatto avanzare. Umiltà è stare al posto che il Signore ha assegnato. Umiltà è essere fedeli al compito che il Signore ha affidato e al luogo in cui ci ha collocati. Umiltà è anche la sapienza di chi ha una giusta valutazione di se stesso, di chi non ambisce cose troppo alte, di chi aderisce alla realtà e non la fugge né in alto né in basso. Scrive Paolo: “Non valutatevi più di quanto è conveniente valutarsi, ma valutatevi in maniera da avere di voi una giusta valutazione, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato” (Rm 12,3). Anche parlando di un ricevimento, di un banchetto, Gesù riesce a parlare dell’agire sorprendente di Dio: nel banchetto del Regno sono i poveri ad avere i posti privilegiati, gli ultimi a essere i primi (cf. Lc 14,11). Per noi uomini che cosa di più sensato e quotidiano che invitare a cena a casa propria le persone amiche, quelle a cui siamo legati da vincoli di amicizia e amore, quelle che ci hanno già invitato e ci inviteranno ancora? Ma Gesù sta obbedendo alla logica “strana”, “folle”, “inusuale” di Dio e del Regno. Il discorso di Gesù è mosso da una “logica illogica”, se considerata a partire dal nostro buon senso: quella reciprocità che noi normalmente cerchiamo, Gesù afferma che è estranea all’agire di Dio. E rivela che, per l’uomo, questa logica diviene fonte di beatitudine: “sarai beato perché non hanno da ricambiarti” (Lc 14,14). La beatitudine consiste proprio nella partecipazione alla sorte di Gesù che ha amato unilateralmente gli uomini nel loro peccato e nella loro inimicizia (cf. Rm 5,6 ss.), che si è inchinato anche davanti a Giuda che aveva in animo di tradirlo per lavargli i piedi (cf. Gv 13,1-30), che non ha cercato ricompense terrene e non ha preteso di essere riamato in cambio del suo amore. Gesù dice: “Come io ho amato voi, così voi amatevi gli uni gli altri” (Gv 15,12) e non dice: “Come io vi ho amati, così anche voi amatemi”. La beatitudine insita in questo amore è la totale gratuità, la gioia dell’amare in pura perdita, nella coscienza che l’amore basta all’amore, che amare è ricompensa per chi ama. È la beatitudine di chi è libero dalla paura di perdere qualcosa amando; è la beatitudine di chi spera e attende come unica ricompensa la comunione escatologica con Dio nel Regno (cf. Lc 14,14b); è la beatitudine di chi trova nel dono la propria gioia; è la beatitudine di chi non agisce in vista di un contraccambio, ma donandosi interamente in ciò che vive e che compie.

Comunità di Bose

 

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Lunedì 2 settembre 2013

Gli occhi di tutti erano fissi su di lui

In quel tempo, Gesù venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi a proclamare l’anno di grazia del Signore». Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Lc 4,16-30

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Martedì 3 settembre 2013

Erano stupiti del suo insegnamento perché la sua parola aveva autorità

In quel tempo, Gesù scese a Cafàrnao, città della Galilea, e in giorno di sabato insegnava alla gente. Erano stupiti del suo insegnamento perché la sua parola aveva autorità. Nella sinagoga c’era un uomo che era posseduto da un demonio impuro; cominciò a gridare forte: «Basta! Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E il demonio lo gettò a terra in mezzo alla gente e uscì da lui, senza fargli alcun male. Tutti furono presi da timore e si dicevano l’un l’altro: «Che parola è mai questa, che comanda con autorità e potenza agli spiriti impuri ed essi se ne vanno?». E la sua fama si diffondeva in ogni luogo della regione circostante.

Lc 4,31-37

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Mercoledì 4 settembre 2013

È necessario che io annunci la buona notizia

In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei. Si chinò su di lei, comandò alla febbre e la febbre la lasciò. E subito si alzò in piedi e li serviva. Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi affetti da varie malattie li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva. Da molti uscivano anche demòni, gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era lui il Cristo. Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e tentarono di trattenerlo perché non se ne andasse via. Egli però disse loro: «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato». E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea.

Lc 4,38-44

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Giovedì 5 settembre 2013

Sulla tua parola getterò le reti

In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».

E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

Lc 5,1-11

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Venerdì 6 settembre 2013

Quando lo sposo sarà loro tolto digiuneranno

In quel tempo, i farisei e i loro scribi dissero a Gesù: «I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!».

Gesù rispose loro: «Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni digiuneranno». Diceva loro anche una parabola: «Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio; altrimenti il nuovo lo strappa e al vecchio non si adatta il pezzo preso dal nuovo. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno perduti. Il vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi. Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: “Il vecchio è gradevole!”».

Lc 5,33-39

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Sabato 7 settembre 2013

Il Figlio dell’uomo è signore del sabato

Un sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli coglievano e mangiavano le spighe, sfregandole con le mani. Alcuni farisei dissero: «Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito?». Gesù rispose loro: «Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Come entrò nella casa di Dio, prese i pani dell’offerta, ne mangiò e ne diede ai suoi compagni, sebbene non sia lecito mangiarli se non ai soli sacerdoti?». E diceva loro: «Il Figlio dell’uomo è signore del sabato».

Lc 6,1-5

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