Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dall’8 al 14 settembre 2013

Santena – 8 settembre 2013 – Di seguito, alcune proposte di riflessione, per i giorni dall’8 al 14 settembre 2013, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.

Domenica 8 settembre 2013

Quale uomo può conoscere il volere di Dio?

nubi pecorelleQuale uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il Signore? I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni, perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima e la tenda d’argilla opprime una mente piena di preoccupazioni. A stento immaginiamo le cose della terra, scopriamo con fatica quelle a portata di mano; ma chi ha investigato le cose del cielo? Chi avrebbe conosciuto il tuo volere, se tu non gli avessi dato la sapienza e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito? Così vennero raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra; gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito e furono salvati per mezzo della sapienza.

Sap 9,13-18

Il bene che fai non sia forzato, ma volontario

Carissimo, ti esorto, io, Paolo, così come sono, vecchio, e ora anche prigioniero di Cristo Gesù. Ti prego per Onèsimo, figlio mio, che ho generato nelle catene. Te lo rimando, lui che mi sta tanto a cuore. Avrei voluto tenerlo con me perché mi assistesse al posto tuo, ora che sono in catene per il Vangelo. Ma non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario. Per questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo, in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore. Se dunque tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso.

Fm 1,9-10.12-17

Chi di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

Lc 14,25-33

La radicalità della scelta per il Signore

Tutti i pellegrini in Terra Santa sanno bene che leggere il Vangelo in quei luoghi facilita la comprensione di molte sue pagine a motivo dei contorni più precisi che esse assumono. Il Vangelo di questa domenica rientra tra queste. L’evangelista Luca ci presenta il viaggio di Gesù verso Gerusalemme, e possiamo immaginare le strade polverose e assolate, talora in mezzo a un deserto sassoso come quello di Giuda, che salgono verso il monte Sion, agognata meta per ogni pio ebreo. Gesù era appena uscito dalla casa di uno dei capi dei farisei, ove aveva partecipato a un banchetto, durante il quale non erano mancate parole decise e taglienti. Riprendeva il cammino seguito da molta folla. Accorgendosi che tanti lo seguivano, Gesù “si voltò” per guardarli. Non è una semplice notazione di cronaca. In quel “voltarsi” c’è tutta la passione di Gesù per la gente. Quante volte ha ripetuto a coloro che lo seguivano che non era venuto per se stesso, ma per loro! Da allora Gesù non cessa di “voltarsi” verso le folle stanche e sfinite di questo mondo. Le folle di ieri e quelle di oggi. E tra esse, anche noi.
Ogni volta, infatti, che ci viene annunciato il Vangelo, particolarmente nella liturgia eucaristica domenicale, si attua nuovamente questo “voltarsi” di Gesù. La sua parola è detta per noi; è proclamata per raggiungere e commuovere il nostro cuore. Il “voltarsi” di Gesù è un voltarsi serio, come serio è il suo amore. Egli si è assunto a tal punto la nostra causa da dare la sua stessa vita per noi. Ma pretende da noi altrettanta serietà nel seguirlo: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la propria vita, non può essere mio discepolo” (v. 26). Sono le condizioni per seguire Gesù. In nessun altro punto del Vangelo si parla con tanta serietà della sequela. A differenza del brano analogo di Matteo (10,37), Luca enumera dettagliatamente i vari rapporti di parentela, sembra non volerne escludere nessuno; e tutti sottostanno all’urtante verbo “odiare”. Per essere miei discepoli, dice Gesù, non basta venire dietro a me fisicamente e affrontare anche qualche sacrificio; è necessario troncare con un taglio netto tutti i legami col passato, sino ad “odiare” padre, madre, moglie, figli, fratelli, sorelle e persino se stessi! Non c’è dubbio che si tratta di parole a prima vista durissime, tanto da sembrare impossibile che siano uscite dalla bocca di Gesù. Eppure sono lì, chiare e inequivocabili.
È certamente vero che si tratta di espressioni da collocare nel contesto linguistico semitico che manca del comparativo relativo, per cui l’essenza della frase “amare meno” diventa, quasi automaticamente, “odiare”. Questa è l’interpretazione comune di questo brano. Tuttavia, l’espressione “odiare” non va neutralizzata con troppa facilità. La pretesa di Gesù è e resta estremamente dura in se stessa. Una interpretazione semplicemente etica della parola (rifiuto del comandamento dell’amore, oppure critica nei confronti del quarto comandamento del decalogo) non coglie l’essenza della richiesta evangelica. Gesù e il regno di Dio esigono l’annullamento di tutti gli ordinamenti di vita valevoli fino a quel momento, per crearne di nuovi. È a partire dalla scelta radicale per Gesù che debbono rinascere i rapporti, anche quelli familiari. Chi volesse amare Gesù alla pari di altri affetti, non amerà in modo serio nessuno dei due. La radicalità della scelta per il Signore è quindi la sostanza di questo brano evangelico. Il versetto seguente lo chiarisce: “Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo” (v. 27). Gesù pronuncia questa frase mentre cammina verso Gerusalemme, ove lo attende, appunto, la croce.
Ebbene, “andare dietro a Gesù” vuoi dire partecipare al suo destino, essere una cosa sola con lui. Non è cosa facile e a poco prezzo. Nell’intraprendere questa strada è necessario riflettere con cura e valutare le proprie scelte. Gesù chiarisce questo concetto con due esempi tratti dalla vita quotidiana. L’uomo che vuole costruire un fabbricato calcola con cura se le sue disponibilità finanziarie sono sufficienti per realizzare l’impresa; così pure un re, prima di fare una guerra, valuta se con le sue forze potrà sconfiggere il nemico, altrimenti negozia le condizioni di pace prima che sia troppo tardi. Non si tratta qui di calcoli da fare quasi ci fosse un’alternativa nel seguire il Signore. Tutt’altro. Gesù chiude affermando: “Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo” (v. 33). Sembra che l’unico calcolo da fare sia, appunto, rinunciare a tutto per scegliere Gesù ed essere suoi discepoli. E questo non è un fatto banale; è la cosa più tremendamente seria della nostra vita.

Comunità di Sant’Egidio

La sapienza per poter abitare la distanza tra uomo e Dio

La sapienza come coscienza della alterità del volere di Dio rispetto al volere umano per poter abitare la distanza tra uomo e Dio (I lettura) e rendere praticabile l’“impossibile sequela” del Cristo (vangelo): questa può essere colta come tematica unificante le letture odierne. La sapienza evangelica consiste nel calcolare ciò che non è calcolabile e predisporsi con libertà e amore alla rinuncia radicale che sola consente la sequela Christi. “Poiché molte folle andavano con lui, Gesù voltatosi, disse loro: …” (Lc 14,25 ss.). La quantità, il numero, non incanta Gesù, anzi lo preoccupa. Gesù non esita a mettere in guardia i tanti che lo seguono ponendoli di fronte alle esigenze dure della sequela e quasi scoraggiandoli. Dovrebbe preoccuparci il fatto che questa preoccupazione di Gesù non sia la nostra e che noi ci preoccupiamo proprio del contrario, del numero basso, della scarsità dei praticanti. A costo di perdere aderenti, Gesù non esita a proclamare con vigore la durezza delle esigenze della sequela. L’esigenza non va edulcorata illudendo circa la facilità della sequela. Seguire Gesù forse è semplice, ma certamente non è facile. Anzi, Gesù per tre volte parla di una impossibilità: “non può essere mio discepolo” (Lc 14,26.27.33). Vi sono condizioni da ottemperare, pena il fallimento della sequela, la sua impraticabilità. Anzi, in fondo non vi è che una esigenza imprescindibile che si situa sul piano della relazione con Gesù, il Signore (“viene a me”, “mio discepolo”, “viene dietro a me”…) e non sul piano delle prestazioni. La sequela richiede, come istanza basilare, di rivolgere al Signore tutto il cuore: essa è un evento nell’ordine dell’amore, e l’amore è un lavoro, una fatica, un’ascesi. Evento di amore, la sequela è, simultaneamente, evento di libertà. Le esigenze della sequela che Gesù pone al discepolo sono la necessaria pedagogia verso la libertà e l’amore. I legami famigliari (v. 26), il possesso di beni (v. 33), l’attaccamento stesso alla “propria vita” (v. 26) sono chiamati a vedere regnare il Signore su di essi. Si tratta di amare il Signore con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze. E se l’amore è questione di spazio interiore, di far spazio all’altro, allora esso si nutre della preziosità del vuoto, della ricchezza della mancanza, della grazia della carenza. Al contrario, il possesso, colmandoci, ci ottura interiormente, ci sazia, ci chiude in noi stessi, ci rende preoccupati di noi stessi, impedendoci di riconoscere la povertà profonda che è lo spazio aperto all’accoglienza dell’amore. Il carattere esigente della sequela di Gesù è connesso alla difficoltà di apprendere l’arte di amare ed è connesso al nostro preferire la facilità del possedere cose alla fatica della libertà e dell’amore. Gesù chiede ai suoi seguaci di porre al cuore delle relazioni con le persone a loro care la relazione con lui. Ma questo significa porre al cuore del nostro cuore la relazione con il Signore. Insomma, le esigenze della sequela sono le esigenze dell’amore. La sequela è esigente perché il discepolo è chiamato non solo a iniziare, ma anche a portare a compimento (vv. 28.30). Come per costruire una torre o affrontare una battaglia vi è un indispensabile, così anche per la sequela. Ma l’indispensabile per la sequela è la disponibilità a perdere tutto, non solo i beni, ma anche “la propria vita” (v. 26). Il bene da possedere è la rinuncia ai beni e l’arte da imparare è l’arte di perdere, di diminuire, di non cadere nelle maglie del possesso, della logica dell’avere. Gesù “svuotò se stesso” (Fil 2,7); “Dio è Dio perché non ha niente” (Barsanufio). Occorre libertà e leggerezza per condurre a termine il lungo cammino della vita percorso come sequela di Cristo. L’amore è chiamato a divenire responsabilità e la libertà perseveranza: lì si situa la necessaria rinuncia, purificazione, spogliazione. Le esigenze della sequela hanno dunque a che fare con il tutto della persona (il suo cuore) e con il tutto del suo tempo, con la durata della sua vita. E ci mettono in guardia dal rischio di lasciare a metà l’opera intrapresa.

Comunità di Bose

**

Lunedì 9 settembre 2013

Gesù conosceva i loro pensieri

Un sabato Gesù entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. C’era là un uomo che aveva la mano destra paralizzata. Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato, per trovare di che accusarlo. Ma Gesù conosceva i loro pensieri e disse all’uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati e mettiti qui in mezzo!». Si alzò e si mise in mezzo. Poi Gesù disse loro: «Domando a voi: in giorno di sabato, è lecito fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla?». E guardandoli tutti intorno, disse all’uomo: «Tendi la tua mano!». Egli lo fece e la sua mano fu guarita. Ma essi, fuori di sé dalla collera, si misero a discutere tra loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù.

Lc 6,6-11

**

Martedì 10 settembre 2013

Da lui usciva una forza che guariva tutti

In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone, detto Zelota; Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il traditore. Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti.

Lc 6,12-19

**

Mercoledì 11 settembre 2013

Guai a voi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione

In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».

Lc 6,20-26

**

Giovedì 12 settembre 2013

Fate del bene a quelli che vi odiano

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».

Lc 6,27-38

**

Venerdì 13 settembre 2013

Togli prima la trave dal tuo occhio

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».

Lc 6,39-42

**

Sabato 14 settembre 2013

Ha mandato il Figlio nel mondo perché il mondo sia salvato

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

Gv 3,13-17

**