Messa di Natale per mondo del lavoro con l’Arcivescovo di Torino mons. Cesare Nosiglia

Torino – 12 dicembre 2013 – Questa sera, con inizio alle ore 21, alla parrocchia Santo Volto in via Val della Torre 3, a Torino, l’Ufficio Pastorale Sociale e del Lavoro ha organizzato la Santa Messa di Natale per il mondo del lavoro e la formazione professionale. Ha presieduto la celebrazione mons. Cesare Nosiglia, Arcivescovo di Torino. Di seguito il testo integrale dell’omelia.

OMELIA DELL’ARCIVESCOVO DI TORINO, MONS. CESARE NOSIGLIA,
ALLA MESSA DI NATALE PER IL MONDO DEL LAVORO

(Torino, S. Volto, 12 dicembre 2013, ore 21)

«I miseri e i poveri cercano acqua ma non ce n’è, la loro lingua è riarsa per la sete: io, il Signore, non li abbandonerò» (Is 41,17): il Natale ci fa guardare con occhi di fede e di gioia la nascita del Signore come fonte di salvezza. Dio viene a stare con noi e sappiamo che su di lui possiamo contare, anche se a volte le prove e le difficoltà della nostra vita ci abbattono e ci scoraggiano. Quanti oggi si apprestano a vivere il Natale con profonda preoccupazione nel cuore e vivono una prova dura! Per questo siamo qui, questa sera, a pregare insieme, perché il Dio difensore dei deboli e dei dimenticati li aiuti a superarla e a gestirla con serenità, solidarietà e fiducia.
È su questa fiducia, che deriva dalla fede, che vogliamo camminare, ricercando nel prossimo, nonostante tutto, vie di amore e di pace in famiglia e verso chi sta peggio di noi. Non lasciamoci espropriare del Natale, di una festa che appartiene alla più importante e forte tradizione delle nostre famiglie e che, anche se celebrata in un momento carico di incognite, va comunque accolta come motivo di speranza e vissuta con gioia insieme con i nostri ragazzi, anziani, amici e tutta la comunità.

Nosiglia3La nostra fede è certa e ci dice che il Signore viene veramente ed è questa la notizia più bella che nessuno potrà mai toglierci, che infonde coraggio nella prova e nella sofferenza ed aiuta ad andare avanti senza timore sulla via della vita. Solo se abbiamo fede, questa fede in lui, possiamo trovare un po’ di serenità e di pace ed accoglierlo nel Natale come il Dio con noi e il Dio per noi.
Anche a Gesù e alla sua famiglia non è stato risparmiato niente e le prove dure le hanno sopportate e affrontate con la forza della fede fino alla fine della loro vita terrena. Non abbiamo, dunque, un Dio lontano, che non ci capisce e non ci comprende nelle nostre necessità, perché le ha vissute in prima persona. Per questo crediamo fermamente che la nostra preghiera sia la forza di cambiamento più efficace e potente, anche nelle situazioni che stiamo vivendo e che giudichiamo impossibili. Di Dio possiamo fidarci e a lui affidiamo questa sera la nostra vita e i nostri problemi con la confidenza di chi sa che egli ascolta ed infonde nel cuore la sua grazia, che è fonte di salvezza da ogni male che ci opprime.

I “Santi sociali” hanno ben compreso questa dinamica, creando delle “opere” che costituissero un esempio, un modello concreto per favorire il cambiamento. Una di queste opere straordinarie che vede il nostro Piemonte all’avanguardia nel nostro Paese, è il sistema della formazione professionale. Esso non deve essere inteso come “l’ultima spiaggia” per chi fa più difficoltà: al contrario, è la risorsa che possediamo per avvicinare i giovani al mondo del lavoro in modo concreto, con un sistema di orientamento all’altezza dei loro bisogni, come oggi viene operato in tanti centri di formazione professionale. Aiutare i giovani ad orientarsi, sostenendo così la famiglia in questa difficile azione educativa, è una delle carità più grandi! Per questi e altri motivi è necessario stimare e sostenere chi opera in questi enti, come anche è importante che dal punto di vista economico siano riconosciuti come un asse portante del sistema educativo.

Il tempo di “trasformazione” sfida tutti i sistemi educativi perché interessa direttamente la visione di uomo che possediamo. 
Per comprendere la trasformazione sociale che stiamo vivendo è necessario andarne alle radici e parlare di “crisi antropologica”. Una delle conseguenze più nefaste di questa crisi è il lento declino del sistema educativo, che si finisce di trattare non come un investimento della collettività sulle giovani generazioni e sulle persone che arrivano da altri paesi, ma come un costo.
La trasformazione che interessa anche la Chiesa va vissuta talvolta con atti profetici e coraggiosi capaci di scuotere le coscienze. L’Agorà del sociale che ho promosso durante quest’anno pastorale vuole essere un percorso che gradualmente, sia a livello interno alla Chiesa che esterno, sollecita la coscienza di ciascuno a ricercare la verità che è il presupposto della giustizia, affrontando la contingenza con responsabilità per realizzare un futuro migliore per le nuove generazioni.
Diventa importante riconoscere la propria debolezza di fronte alla complessità, ma nel contempo anche la forza della nostra tradizione, della cultura del nostro territorio che ha nel lavoro un asse portante.

Oggi non possiamo più permetterci di pensare a compartimenti stagni (scuola – università – formazione – lavoro), ma dobbiamo aprirci a una mentalità fortemente sinergica. È per questo che continuiamo come Chiesa a occuparci di questi tre ambiti manifestando tutta la nostra stima e l’incoraggiamento per coloro che vi operano all’interno, nei diversi i settori: istituti scolastici, Università, Politecnico, enti di formazione professionale, associazioni di categoria, imprese…
Certamente in queste istituzioni vi sono dei limiti: siamo esseri umani, siamo caratterizzati dal limite creaturale, ma abbiamo un’intelligenza capace di trovare in maniera innovativa strade nuove nei momenti più difficili. Dobbiamo riscoprire insieme le dimensioni del rischio e del coraggio, ben fondati su valori umani condivisi da tutte le confessioni religiose e anche da chi non è credente e che intorno al lavoro, alla formazione continua e a tutte le dimensioni che vi gravitano intorno, trovano importanti punti di congiunzione, per rendere la nostra società sempre più civile e aperta al futuro per i nostri giovani.

Quello di cui il nostro “sistema-Paese” ha bisogno è che i singoli comparti dialoghino e trovino il modo di pensare un sistema integrato: il dialogo è la chiave! Un nuovo sistema di welfare integrato è stato uno degli ambiti su cui la Settimana sociale dei cattolici italiani dello scorso mese di settembre, vissuta qui ha , ha maggiormente riflettuto, proprio perché è su questo ambito che si gioca il futuro dei giovani e delle famiglie.
Del sistema di welfare fa parte anche il mercato del lavoro, ma questo da solo non può risolvere i problemi: è necessaria una sinergia fra tutti i comparti e un ruolo della politica capace di rinnovarsi per rispondere ad esigenze complesse che vanno la di là dei personalismi e degli interessi di parte. Il dialogo è la carità più grande che possiamo fare oggi, unitamente ad un ascolto vero. I giovani vedono un mondo adulto che non dialoga veramente e lo sentono estraneo: hanno ragione! Quale speranza può provenire da un atteggiamento individualista e autoreferenziale?

Come comunità cristiana continuiamo a dire forte che l’uomo non è per il lavoro, ma il lavoro è per l’uomo! L’uomo è al centro della creazione e quindi di ogni nuova trasformazione sociale: senza questo presupposto le riforme prese in se stesse hanno il fiato corto. Rimettere al centro l’uomo nella sua verità è il primo atto di giustizia. Non è solo la disoccupazione in senso stretto ad essere vulnerante per la dignità della persona, lo è anche il cattivo lavoro, precario, mal retribuito, insicuro, non adeguato alle competenze e alle conoscenze acquisite, non adeguato per il sostegno della propria famiglia.
È necessario che torniamo a mettere l’etica a fondamento delle regole che guidano il mondo del lavoro e, prima ancora, dell’economia e della finanza.

La prima scelta etica è proprio quella di salvaguardare la centralità della persona che lavora, i suoi diritti e le sue concrete esigenze personali e familiari. È infatti sotto gli occhi di tutti, ogni giorno, che dove prevalgono solo la logica del mercato globalizzato e del profitto reso fine assoluto di ogni scelta economica, ignorando la ben che minima regola morale, prima o poi il sistema stesso si ritorce contro l’uomo e lo conduce alla rovina di se stesso.
Credo che a questo richiamo opportuno e forte si debba aggiungere la necessità di un’etica della comunione, che si apra al dialogo, all’incontro e alla collaborazione fattiva tra tutte le componenti del mondo del lavoro.

Vi confesso che ciò che mi preoccupa di più è il venir meno, da parte di tanti, dell’impegno ad essere attenti e disponibili agli altri nel feriale della vita, accorgendosi di coloro che affrontano situazioni molto faticose sul piano umano, familiare e sociale. Si stanno creando sempre più dei circoli chiusi entro cui ognuno tende a vivere come se fosse quello tutto il mondo, non aprendosi quindi all’incontro e al coinvolgimento con altri mondi, che pure gli vivono accanto. Così avviene in politica, nel campo della finanza e dell’economia, della cultura e della comunicazione. Ognuno vuole difendere i suoi spazi ed i suoi privilegi e ha quasi timore di doversi contaminare con gli altri; se lo fa è solo per trarne eventuali vantaggi. Prevale la logica dell’individualismo, che riafferma gli interessi di parte e produce divisioni a volte insanabili. Così si creano barriere di indifferenza ed estraneità che portano a non vedere chi sta peggio o chi sta affrontando problemi gravi, di vera sopravvivenza, carichi di timore per il futuro personale e dei propri cari.
Il divino Bambino di Betlemme è venuto per abbattere i muri e per dirci che solo nell’incontro solidale si crea un mondo di pace e di giustizia per tutti.

Solo se ogni “mondo” personale o di realtà familiare o sociale si apre all’altro e si fa carico dell’altro, realizza anche il profitto più grande per se stesso. Il mio augurio è che non ci assuefacciamo alle continue notizie di aziende che chiudono o di imprenditori che si tolgono la vita e di lavoratori che entrano nel tunnel della cassa integrazione, anticamera per tanti di mobilità e licenziamento. Non lasciamo sole queste persone e famiglie e promuoviamo una rete di solidarietà, di maggior impegno comune per la giustizia e per quella gratuità che aiuta a vivere i problemi altrui come propri, in spirito di vera comunione e fraternità.
Sono sotto gli occhi di tutti le percentuali molto preoccupanti della disoccupazione: il sistema è malato. Come anche è importante ricordare la fatica e il dolore per il fallimento di tante imprese. Dobbiamo far sentire la nostra vicinanza anche al mondo imprenditoriale, non in modo generico, ma singolarmente ad ogni persona che lotta per mantenere il lavoro nella propria azienda.

È importante che, come uomini e donne cristiani, sappiamo ringraziare Dio; ma è altrettanto importante saper ringraziare coloro che il lavoro lo creano e rischiano ogni giorno, sia come aziende di dimensioni globali che come piccole e medie che sul territorio hanno creduto e continuano a investire. 
Come comunità ecclesiale sentiamo la responsabilità di dare testimonianza di solidarietà, ma anche di coraggio, nelle scelte sia individuali e familiari (stili di vita), sia in quelle che ci rendono parte della società civile. Una delle cose da fare certamente e che emerge come esigenza in ogni ambito di vita, è far conoscere le buone pratiche già presenti anche nell’ambito del lavoro e della formazione. In particolare negli ambiti dell’accompagnamento nella creazione di lavoro, nella creazione di luoghi dove possa essere sperimentata la sinergia fra aziende diverse (co-working), specialmente guidate da giovani, nella creazione di nuovi legami tra scuola, università e mondo del lavoro…

Ai ragazzi e ai giovani, in particolare, rivolgo il mio augurio di amico. Essi sono il dono più bello e gioioso di una famiglia e, in questo Natale, hanno bisogno di sperimentare con gioia e amore un’intensa relazione con i propri cari, in casa, per vivere insieme giorni sereni e ricchi di umanità, di dialogo e di amore. La difficoltà per molti giovani di trovare un lavoro tarpa le ali della speranza, rende  scoraggiati e delusi della stessa vita, oltre che impediti di vedere anche segnali positivi, seppur deboli, ma reali, che si aprono magari davanti a sé. Soprattutto, ne va di mezzo la stessa dignità della persona e la fiducia nella società stessa. Da qui, l’esigenza ormai inderogabile di favorire il sorgere di centri di orientamento al lavoro, sia manuale che professionale, presenti capillarmente sul territorio, oltre che di favorire anche quell’imprenditoria giovanile che è molto appetita dai giovani stessi, ma privata – da parte delle istituzioni, del credito e delle imprese – del volano che permetta di dare concretezza alla loro creatività e alle loro aspirazioni.
Quello che stiamo per celebrare è un Natale diverso dagli altri, è un Natale difficile, ma pur sempre un Natale ricco di speranza, perché il Figlio di Dio è con noi e la sua venuta non è scontata, ma sempre nuova e portatrice di salvezza per ogni uomo di buona volontà. «Non temere, io ti vengo in aiuto» (Is 41,13): sì, crediamo che, malgrado tutto ciò che ci abbatte e le prove che dobbiamo affrontare, l’aiuto che ci viene dal Signore è certo, perché lui è con noi, ci ama, ci protegge e ci assicura la sua forza per guardare al futuro con speranza.

+ Cesare Nosiglia
Arcivescovo di Torino

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Fonte: www.diocesi.torino.it