una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal 29 dicembre 2013 al 4 gennaio 2014

Santena – 29 dicembre 2013 – Alcune proposte di riflessione per i giorni dal 29 dicembre 2013 al 4 gennaio 2014, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.


Domenica 29 dicembre 2013

Chi onora sua madre è come chi accumula tesori

madre della quotidianitàIl Signore ha glorificato il padre al di sopra dei figli e ha stabilito il diritto della madre sulla prole. Chi onora il padre espìa i peccati e li eviterà e la sua preghiera quotidiana sarà esaudita. Chi onora sua madre è come chi accumula tesori. Chi onora il padre avrà gioia dai propri figli e sarà esaudito nel giorno della sua preghiera. Chi glorifica il padre vivrà a lungo, chi obbedisce al Signore darà consolazione alla madre. Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia, non contristarlo durante la sua vita. Sii indulgente, anche se perde il senno, e non disprezzarlo, mentre tu sei nel pieno vigore. L’opera buona verso il padre non sarà dimenticata, otterrà il perdono dei peccati, rinnoverà la tua casa.
Sir 3,3-7.14-17

Rivestitevi di sentimenti di tenerezza

Fratelli, scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie! La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori. E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre. Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come conviene nel Signore. Voi, mariti, amate le vostre mogli e non trattatele con durezza. Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore. Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino.
Col 3,12-21

Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre

I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio». Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».
Mt 2,13-15. 19-23

La famiglia richiede un amore che genera

In questa domenica che segue immediatamente il Natale, l’angelo, senza porre in mezzo troppo tempo, dice anche a noi come a Giuseppe: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre!”. Sì! Dobbiamo prendere subito con noi il Bambino, accoglierlo nel nostro cuore, nella nostra vita, nei nostri pensieri. Natale, del resto, è tutto qui: prendere con noi il Bambino. Non è una esortazione morale, come a dire: a Natale tutti dobbiamo volerci un po’ più bene. Ovviamente non c’è dubbio che questo debba avvenire. Ma il Natale è ancor più. E riguarda anche la famiglia. Oggi la Liturgia ci presenta la Santa Famiglia di Nazareth. Molte sono le riflessioni che suggerisce la Parola di Dio nel contesto della famiglia di Nazareth. Ci fermiamo su due di esse. La prima è che i bambini hanno bisogno di un padre e di una madre, appunto come fu anche per Gesù. È una dimensione che talora viene dimenticata, magari per soddisfare propri desideri senza tener conto del bisogno che i piccoli hanno, appunto di un padre e di una madre. Senza una famiglia come quella di Nazareth i piccoli non potranno crescere nella salute del corpo e in quella del cuore. Si può anche dire che la famiglia a volte non basta. È vero, soprattutto quando manca l’amore materno e paterno. Il Natale torna per dire a tutti, a tutte le famiglie, di accogliere Gesù, di accogliere i figli. Il Vangelo del Natale è come l’angelo che torna e chiede ai genitori di prendere con loro il bambino. È un invito rivolto anche a noi. Sì! Dobbiamo prendere con noi il bambino, accoglierlo nel nostro cuore, nella nostra vita, nei nostri pensieri. La Liturgia della Chiesa vuole che noi in questo giorno contempliamo Maria e Giuseppe con Gesù. È la famiglia di Nazareth. Il Vangelo di Matteo ci dice che la famiglia è stata necessaria anche per Gesù; sì, anche lui ha avuto bisogno di una famiglia, come del resto ne hanno bisogno tutti i bambini.
Ma, nello stesso tempo, si deve anche dire che Maria e Giuseppe hanno avuto bisogno di Gesù. Senza di lui questa famiglia neppure sarebbe iniziata; si sarebbe rotta sul nascere. È a dire che non basta l’amore tra due persone chiuse in sè. La famiglia richiede un amore che genera, un amore che accetta la sfida dei figli. Gesù (e con lui, ogni figlio) è il vero tesoro della famiglia di Nazareth, la ragione della vita di Maria e di Giuseppe. In questo senso sono ambedue esemplari per le famiglie cristiane. I genitori sono chiamati a imitare l’obbedienza di Maria e di Giuseppe alla parola dell’angelo, ossia alla Parola di Dio, per essere padri e madri secondo il Vangelo; devono avere la loro stessa preoccupazione di seguire Gesù, di non perderlo e comunque di cercarlo sempre. E i figli, a loro volta, debbono imitare l’amore che Gesù aveva per Giuseppe e Maria. Come non ricordare le parole di Gesù sulla croce quando affida l’anziana madre al giovane discepolo? Gesù resta il centro della famiglia e il maestro dell’amore. Senza Gesù, ossia senza quell’amore che non si chiude ma che è fatto di donazione, la famiglia di Nazareth si sarebbe rotta sul nascere. Giuseppe obbedì all’angelo e prese con sé Maria e il bambino e divenne partecipe del grande disegno di Dio.
Prendiamo Gesù con noi e sapremo vivere assieme, in famiglia e con gli altri. Ascoltiamo la parola dell’Angelo e sapremo percorrere le vie della vita, sapremo evitare i pericoli e comunque trovare il nostro Egitto, il nostro rifugio, anche se ci costa sacrifici e dolori. Se guarderemo quel bambino debole e lo prendiamo con noi, sapremo -come scrive il Siracide- onorare il padre e la madre anziani e anche se perderanno il senno li compatiremo e non li disprezzeremo. Il bambino di Betlemme ci insegna a guardare e amare i bambini, i nostri e quelli degli altri; anche i genitori saranno più capaci di volersi bene. Chi prende con sé Gesù impara ad amare; al contrario, chi prende con sé solo se stesso, resta chiuso nel suo egocentrismo e si incattivisce. Il Vangelo del Natale torna perché nelle nostre famiglie abitino i sentimenti di Gesù. L’apostolo Paolo ce lo ricorda: “Rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità; sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri”. Mentre ci avviamo al termine di quest’anno e stiamo per iniziarne un altro, vogliamo che le nostre famiglie comprendano quanto è decisivo l’amore vicendevole, quell’amore che fa uscire da se stessi e che spinge a guardare prima gli altri. La famiglia di Nazareth resti l’icona a cui guardare per rendere le nostre famiglie più salde nell’amore e più forti nell’edificare un mondo di giustizia e di pace.
Comunità di Sant’Egidio

Gesù, Giuseppe e Maria

La gloria dei genitori

La prima lettura può forse urtare la nostra sensibilità per il richiamo a tematiche che sembrano appartenere ad una mentalità patriarcale e arcaica. Parlare dell’autorità dei genitori rispetto ai figli sembra oggi fuori luogo e fuori tempo. In realtà l’elemento qualificante della lettura, nell’ottica della liturgia odierna, non è l’autoritarismo, ma l’educazione ad un senso di responsabilità profonda, che conduce ad una reciprocità di rapporti. Un aspetto a prima vista nascosto, che emerge prepotentemente con tutti i richiami all’attualità, è la solidarietà delle generazioni. Il testo biblico afferma che i genitori hanno autorità sui figli, ma proprio qui sta il fondamento della loro responsabilità, a cui non possono sottrarsi. Nell’illusione di combattere la mentalità patriarcale, si è in molti casi educata una generazione di genitori deboli, non solo privi di autorevolezza, ma anche di una reale capacità di dono. Le giovani generazioni oggi hanno prospettive molto depotenziate di futuro e di crescita: perché la generazione dei loro padri e delle loro madri, sentendosi sganciata da doveri arcaici, si è anche sentita completamente deresponsabilizzata, autorizzata a dilapidare il capitale, materiale e spirituale, che era stato loro consegnato dalle generazioni precedenti. Nel testo poi si procede con un’inversione: toccherà un giorno al figlio prendersi cura dei genitori, anche se anziani, anche se debilitati nelle loro capacità. Ma già ora si comincia ad intravvedere quale futuro potrà esserci per le generazioni anziane, in un mondo che ha smarrito il senso di solidarietà. Quale affetto, quale reale cura delle precedenti generazioni potrà esserci da parte dei giovani? L’incontro e lo scontro con il testo biblico fa emergere le grandi contraddizioni della nostra epoca. Si tratta di questioni enormi, che coinvolgono complessi rapporti sociali. Sembra una lotta assolutamente impari. Come può reagire la comunità cristiana?

Superare le difficoltà

Il brano evangelico ci mostra le vicende difficili della Santa Famiglia, minacciata nella sua stessa esistenza dal dispotismo di un sovrano assoluto. Ritroviamo molti punti di contatto con la nostra attuale situazione: una famiglia credente che risulta debole e disarmata, di fronte a difficoltà che sembrano sproporzionate rispetto alle sue forze. Siamo così portati a correggere la tentazione di rimpiangere un passato felice e solido per la famiglia, lamentandoci della negatività del presente: la parola di Dio ci attesta che in ogni epoca della storia realizzare una famiglia credente è stato difficile e problematico, segnato da pesanti ipoteche sociali. Ieri era il patriarcato, oggi la deresponsabilizzazione; oggi è la rottura del patto di solidarietà tra generazioni, ieri era un patto generazionale fin troppo costrittivo. Tuttavia ieri e oggi, al di là delle difficoltà provenienti dall’ambiente sociale, resta sempre possibile trovare esempi di famiglie che hanno assunto nella loro vita il riferimento sicuro della Parola di Dio, superando le fatiche che di volta in volta si presentavano, irradiando carità e solidarietà intorno a loro. Decisivo dunque non è fare l’inventario degli ostacoli (cosa che di per sé indurrebbe a gettare la spugna e lasciare il campo); è attingere dalla grazia l’impulso per superarli.

Dall’ideale al modello

Molti conservano nel cuore un ideale di armonia familiare, che resta tale, arrendendosi di fronte alle imprevedibili svolte della vita. Più che un ideale però, sarebbe importante avere di fronte dei modelli; considerando non il risultato finale, ma i passaggi che hanno portato ad esso. La liturgia ci presenta la famiglia di Nazaret come modello di felicità e beatitudine; ma non nasconde che il percorso passa attraverso la persecuzione e la croce, fin dall’inizio. In tal modo essa coglie il senso più profondo dei racconti evangelici, che rileggono in chiave pasquale i pochi dati che la tradizione ha consegnato sull’infanzia di Gesù. Il vangelo di Matteo ci presenta il più drammatico: quando la vita stessa di Gesù è minacciata da Erode. Sarebbe utile riproporre la stessa domanda a molte famiglie: sotto quale aspetto si è presentata la croce, con quali risorse è stata abbracciata, come è diventata forza di risurrezione.

Erode, l’antifamiglia, e Giuseppe, il custode

Erode ha paura di perdere potere; perciò è disposto ad eliminare il futuro, a togliere di mezzo un’intera generazione. Qualcosa del genere sta avvenendo nella nostra storia attuale: sono soprattutto i giovani a risentire delle drammatiche conseguenze della crisi. Chi non guarda al futuro non ha neppure rispetto per la vita, non ha interesse alla crescita della vita, perché l’unica crescita che lo preoccupa è quella politico-economica-tecnologica. Ma in una visione simile la persona umana non è più al centro. Si tratta peraltro di processi che hanno dimensioni mostruose, che sfuggono addirittura ai nostri mezzi più potenti di analisi e comprensione. Giuseppe ci mostra la possibilità di sottrarsi. Giuseppe è colui che accetta la precarietà della sua condizione: tutore, non vero padre, sposo e custode di Maria, rinuncia al suo presente per salvaguardare il futuro del popolo di Dio. Ma donando la sua vita, egli la perde, secondo il detto evangelico. La sua grandezza sta proprio nell’essersi preso cura di quel bambino, con la stessa tenerezza di Dio.

Dall’Egitto ho chiamato mio figlio

Accanto al nome di Erode, emerge l’immagine dell’Egitto: altra potente figurazione di un potere oppressivo, che è disposto a distruggere il futuro di un popolo, pur di conservare il potere. La profezia che viene ricordata acquista così una valenza potente: il mistero pasquale della liberazione dall’Egitto diventa storia delle nostre famiglie, anch’esse minacciate da strutture di male, anch’esse chiamate a sfuggirvi, non con la violenza, ma lasciandosi guidare dalla carità divina. Nel nascondimento avvengono quotidianamente miracoli di carità: madri che continuamente stanno come presenza positiva accanto ai figli, padri responsabili, figli capaci di dedizione, comunità familiari che resistono alla disoccupazione, alla tensione di ritrovarsi sull’orlo della povertà; amici che intervengono e che aiutano. Sono tanti piccoli focolari di carità, che non possono aver riscontro nei mezzi di comunicazione (troppo impegnati a seguire lo strepito di una piccola percentuale di fatti di cronaca nera), ma stanno al centro del cuore di Dio.

Una famiglia con problemi

La famiglia di Nazaret, se ci è consentito dirlo, si può definire una famiglia con problemi: anche se è la famiglia del Figlio di Dio. La perfezione della carità non evita la malvagità di Erode, non toglie la fragilità di essere disarmati, non sottrae alla fatica del lavoro e della quotidianità. Il primo compito dell’animatore di pastorale familiare è dunque aiutare le famiglie a superare i problemi, senza sostituirsi ad esse, senza illuderle di poter fuggire. A volte è addirittura controproducente presentare esempi positivi di vita familiare, se in essi appare solo il risultato finale. Ciò che va annunciato non è l’ideale, non ce n’è bisogno: ogni coppia di fidanzati, ogni coppia di sposi all’inizio della sua esperienza, ma anche chi è coinvolto in una nuova unione dopo il fallimento del primo matrimonio, tutti costoro hanno attese e ideali altissimi sulla vita di coppia. Non si va in sofferenza perché mancano ideali, il più delle volte la coppia entra in fibrillazione perché non si riesce a riconoscere i problemi, non si sa affrontarli, o si viene logorati.

Aiutare nei cambiamenti, a vivere la fedeltà immutata

La liturgia della Santa famiglia ci offre una felice suggestione: l’angelo che di volta in volta appare in sogno a Giuseppe, aiutandolo nella fatica del discernimento. Esso non va inteso come una presenza magica: è il segno della presenza amorevole di Dio, che suscita e consolida la responsabilità di Giuseppe. Prima e dopo il sogno rivelatore, la fatica della ricerca e il peso dell’esecuzione ricadono sulle sue spalle; la sua responsabilità non è tolta, anche se continuamente cerca di conformarsi al volere di Dio. Gli animatori della pastorale familiare, soprattutto le coppie, potrebbero configurarsi come “angeli”, capaci di affiancarsi alle famiglie nei momenti più difficili del discernimento e delle trasformazioni. La precarietà che affligge molte persone oggi si riverbera negativamente sulla famiglia, e chiede persone che aiutino a restare saldi, a non perdere la speranza, a rendersi conto dei valori fondamentali.

Aiutare, come l’Apostolo, a vivere positivamente la reciproca sottomissione

La seconda lettura offre un concreto esempio di come nella prima Chiesa l’autorità apostolica interviene nella vita delle famiglie. Si intrecciano consigli pratici, dettati dalla particolare situazione dell’epoca, con i valori fondamentali della coppia cristiana, che costituiscono un’ispirazione di fondo ancora oggi valida. La nostra mentalità moderna è urtata dal vocabolario della “sottomissione” che però è qui usato in senso cristologico, non solo culturale: il marito, la moglie, i figli trovano in Gesù il loro riferimento, lui che si è fatto servo, che si è fatto ultimo, che si è fatto dono per tutti. Modellarsi su Gesù significa dunque essere reciprocamente disponibili a sacrificarsi gli uni per gli altri, in una circolarità senza intoppi. Non ci può essere un approfittatore dentro la famiglia. Anche questo accordo fondamentale ha bisogno di essere educato, di trovare persone non solo capaci di viverlo e testimoniarlo, ma anche capaci di renderne ragione: la mentalità individualista dominante tende a ricondurre tutto al piacere e all’interesse del singolo, per cui anche la famiglia diventa uno strumento a disposizione della propria felicità.
Dal sussidio della Cei per il tempo di Avvento Natale 2013 “è ormai tempo di svegliarvi dal sonno”

 

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Lunedì 30 dicembre 2013

La grazia di Dio era su di lui

[Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore.] C’era una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
Lc 2,36-40

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Martedì 31 dicembre 2013

Avete ricevuto l’unzione dal Santo

Figlioli, è giunta l’ultima ora. Come avete sentito dire che l’anticristo deve venire, di fatto molti anticristi sono già venuti. Da questo conosciamo che è l’ultima ora. Sono usciti da noi, ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; sono usciti perché fosse manifesto che non tutti sono dei nostri. Ora voi avete ricevuto l’unzione dal Santo, e tutti avete la conoscenza. Non vi ho scritto perché non conoscete la verità, ma perché la conoscete e perché nessuna menzogna viene dalla verità.
1 Gv 2,18-21

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Mercoledì 1 gennaio 2014

Solennità di Maria Madre di Dio

Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace

Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro: Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”. Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò».
Nm 6,22-27

Non sei più schiavo, ma figlio

Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio.
Gal 4,4-7

Maria custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore

In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.
Lc 2,16-21

Benedizione e maternità

La prima lettura si apre con le parole della benedizione per l’intero popolo di Israele. Il tema della benedizione è strettamente legato a quello della maternità: nella mentalità dell’Antico Testamento benedire non è una semplice azione verbale, non è solo “parlar bene” di qualcosa, non va neppure confuso con la semplice lode o il ringraziamento. Benedire significa conferire forza vitale, fecondità, successo. Il più grande segno della benedizione divina è dunque la possibilità di dare la vita ad una nuova creatura. La maternità di Maria è il massimo segno di benedizione, come riconosce Elisabetta: “Benedetta tu tra le donne!” (Lc 1,42). La donna-madre partecipa in maniera peculiare della forza creativa di Dio; non solo però in senso biologico, e non in maniera ristretta al nucleo familiare. Il brano del libro dei Numeri ci mostra infatti come l’invocazione della benedizione riguardi tutto il popolo, visto come un’unica grande comunità. Ogni Israelita è chiamato a vivere nella benedizione di Dio, accogliendo da lui il dono della pace.

Prefigurazione: le donne della storia della salvezza

La maternità di Maria è prefigurata nelle donne dell’Antico Testamento: depositarie del dono della vita non solo in senso fisico, ma anche dal punto di vista di una maternità integrale, che implica cura, protezione, senso di responsabilità. Le donne citate nella genealogia di Gesù nel vangelo secondo Matteo (Mt 1) hanno tutte un ruolo notevole per la loro attiva presa di responsabilità nei confronti dell’intero clan familiare: esse intervengono in momenti critici in cui la sopravvivenza della stirpe – o di tutto il popolo – risulta minacciata.

Maternità e salvezza

Con Maria si arriva al massimo grado della maternità salvifica: non secondo la linea dinastica, ma per l’intervento eccedente di Dio. Anche Maria, come le grandi figure femminili dell’Antico Testamento, opera con tutta se stessa a favore del popolo. Ella è madre non solo per la generazione, ma perché continua a prendersi cura e allarga continuamente la sua responsabilità personale. Appena dopo la nascita, in cui sembra finalmente conclusa la sua attesa e il suo impegno, tutto ricomincia, nel momento in cui “custodisce” tutti i fatti che accadono “meditandoli nel suo cuore” (Lc 2,19). La gestazione del figlio è conclusa, la gestazione della Parola continua nell’intimo di Maria, producendo frutti di discernimento e disponibilità. Il bimbo nato è offerto e donato all’adorazione dei pastori e dei magi; è consacrato a Dio nel Tempio, reso partecipe delle antiche promesse; ma quel figlio dice che dovrà compiere “la volontà del Padre” suo (Lc 2,49). Anche Maria dovrà comprendere che cosa significa “compiere la volontà del Padre”, prima diventando, in un certo senso, “discepola” del Figlio, e poi seguendolo fino ai piedi della croce. La Madre è espropriata del Figlio, in favore di tutta l’umanità, e trova nel discepolo amato un nuovo figlio: entra così in relazione con tutta la Chiesa, stando al cuore della primitiva comunità di Gerusalemme.

Anche noi figli per la forza dello Spirito

Recuperiamo dunque dal brano evangelico i due gesti fondamentali della maternità di Maria: l’accoglienza della parola nell’intimo, e il donare il Figlio all’adorazione altrui. Essi sono possibili anche per noi: chiamati a custodire la Parola, chiamati a ripresentare il Figlio al mondo, perché possa essere segno di speranza e di pace per tutti. Agire così è comportarsi da Figli di Dio; ma non è il risultato di una risoluta decisione volontaristica, di uno sforzo personale: occorre diventare partecipi della vitalità dello Spirito. Soprattutto la partecipazione alla liturgia rende possibile l’assimilazione riconoscente del dono dello Spirito di Dio. All’inizio di un nuovo anno, mentre altri moltiplicano buone intenzioni e buoni propositi, siamo invitati con forza a renderci conto di ciò che riceviamo, della benedizione di Dio, la vera risorsa che i credenti hanno da offrire all’umanità. Mentre si celebra la Giornata mondiale della pace, che rischia ogni anno di essere occasione di sterili ripensamenti e buoni pensieri irrealizzabili, i credenti sono chiamati a riprendere contatto con la promessa di Dio, che abita in noi e si incarna in noi, in un modo simile, anche se inferiore e imperfetto, a ciò che è accaduto in Maria.

Alle radici della vita di fede

Chi educa è chiamato a vivere sia la dimensione paterna, sia quella materna. Il recupero degli aspetti che potremmo definire più propriamente materni è certamente di grande interesse per ogni credente impegnato nella formazione: sia per i presbiteri, sia per i laici, per gli uomini come per le donne. Ma la festa della Madre di Dio ci invita ad andare anche oltre, alle radici teologiche della crescita di fede: che non è solo un fatto di educazione, di formazione, di organizzazione di corsi e iniziative, ma è soprattutto un fatto di generazione.

Custodire il dono

Con forza lo ricorda la lettera ai Galati: lo Spirito è la prova che siamo figli, rigenerati, “riscattati” tramite il Figlio di Dio, nato da donna. Lo stesso Spirito che con la sua potenza ha permesso la maternità di Maria, abita in noi e prega in noi: “Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà, Padre!” (Gal 4,6). Chi si propone di formare autenticamente alla fede è chiamato a ripartire costantemente dal dono ricevuto, dalla forza rigenerante dello Spirito di Cristo.

Il dono di un anno, dono del tempo

All’inizio del nuovo anno, ci viene ricordato anche il dono del tempo prezioso che ciascuno ha a disposizione per entrare ad esser parte del Regno di Dio. Ci viene ricordato che la benedizione e la grazia ci raggiungono nel tempo, secondo un dinamismo di incarnazione. Tuttavia in noi si scontrano differenti modi di stare nel tempo: la tentazione ricorrente di inseguire divertimento e felicità nella fuga dalla storia, la tentazione opposta e complementare di misurare, scandire, rendere produttivo ogni istante dell’esistenza; e la proposta di Cristo: imparare a riconoscere il kairos, il momento favorevole in cui Dio ci offre la possibilità di entrare nel Regno. I santi hanno mostrato che cosa accade quando si accoglie l’irruzione di Dio nella storia, la sua forza di novità. Anche all’inizio dell’Avvento l’epistola della prima domenica invitava ad essere “consapevoli del momento”. Vivere il kairos significa vivere ogni passaggio della nostra vita come benedizione: e chi vive in tal modo, diventa anche capace di educare e trasmettere agli altri la stessa visione, o perlomeno a farne intuire la bellezza. La benedizione di Dio diviene il punto di partenza di ogni attività, anche quella formativa, e il fondamento di ogni riuscita. L’educatore credente ricorda continuamente che “se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori”, e supera in tal modo la tentazione di porre un fondamento diverso (per il proprio interesse, o per le proprie utopie), e la tentazione di vivere la propria missione riconducendola a un qualunque lavoro produttivo, a una dinamica aziendale. Generare alla fede è opera di Dio, anche se, come l’apostolo Paolo, possiamo giustamente sentirla come opera nostra.

Come Maria

Come Maria dunque siamo invitati a generare alla fede. Ciò significa educare a partire dall’essere, non soltanto dal fare (anche se poi si arriverà certamente a fare, a faticare, a produrre molto); educare a partire dal radicamento in Dio (anche se poi fioriranno frutti abbondanti di umanità e solidarietà); educare donando Gesù, non producendo azioni ed eventi che mirano unicamente ad una nostra soddisfazione personale. Ci è dato un nuovo anno, un tempo favorevole, una serie di momenti favorevoli: non stanchiamoci di contribuire alla generazione nella fede dei figli di Dio.

Dal sussidio della Cei per il tempo di Avvento Natale 2013

“è ormai tempo di svegliarvi dal sonno”

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Giovedì 2 gennaio 2014

Rendete diritta la via del Signore

Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora; «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa». Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

Gv 1,19-28

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Venerdì 3 gennaio 2014

Ho contemplato lo Spirito discendere e rimanere su di lui

In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».

Gv 1,29-34

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Sabato 4 gennaio 2014

Che cosa cercate?

In quel tempo, Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro -, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.

Gv  1,35-42

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