Torino, mons. Nosiglia al Cenone del digiuno del Sermig e alla Marcia per la pace

Torino – 1° gennaio 2014 – Martedì 31 dicembre, l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, in serata ha partecipato, assieme ai giovani del Sermig e ad Ernesto Olivero, alla Veglia e al Cenone del digiuno. Alle 23 ha partecipato alla Marcia per la pace diretta al Duomo (ore 23) e ha presieduto la Celebrazione Eucaristica (ore 24). Di seguito, il testo dell’omelia.

 

OMELIA DELL’ARCIVESCOVO DI TORINO, MONS. CESARE NOSIGLIA,
ALLA S. MESSA D’INIZIO ANNO 2014

 

(Torino, Cattedrale, 31 dicembre 2013 – 1° gennaio 2014)

La benedizione di Aronne sui figli di Israele richiama il dono e compito della pace che oggi celebriamo come giornata mondiale confermata da Papa Francesco, che ci ha dato anche un messaggio attorno al tema: «Fraternità, fondamento e via della pace».

Gesù è la nostra pace e quella di ogni uomo e popolo del mondo, perché lui ha portato la salvezza che libera dal peccato dell’egoismo e apre all’amore fraterno e amicale. La fede in Lui apre il nostro cuore e la vita alla pace fondata sulla condivisione, il dialogo e la riconciliazione. E questo è certamente il valore cristiano e umano e sociale di cui oggi sentiamo maggiormente il bisogno, unitamente a relazioni più ricche di dialogo e incontro tra le generazioni. I giovani vedono  un mondo adulto che non dialoga veramente e lo sentono estraneo: hanno ragione!

SINDONE: 300 MALATI IN PREGHIERA DAVANTI AL TELOQuale speranza può provenire dal prevalere di atteggiamenti individualisti e autoreferenziali?  Operiamo dunque tutti, ciascuno nel proprio ambito di vita e di lavoro, per sostenere un’etica della fraternità che si apra all’incontro e alla collaborazione fattiva, nella giustizia e nella verità, con ogni altra persona anche diversa da se stessi per cultura, nazionalità e religione, ma riconosciuta e accolta come un fratello o una sorella della stessa casa.

Non è un traguardo facile, ma possibile, anche se vedo il rischio e desidero denunciarlo con chiarezza, di una società sempre più chiusa e rassegnata, in cui viene meno da parte di tanti l’impegno ad essere attenti e disponibili verso gli altri, sia con scelte politiche, economiche e sociali che si fanno carico dei reali problemi di ogni persona, sia nei comportamenti concreti della vita quotidiana. Cresce perciò la solitudine, che può giungere anche alla disperazione con conseguenze devastanti per la persona e la propria famiglia.

Finiamola dunque di parlare di poveri, di senza dimora, di emarginati, di immigrati, di disabili, di cassaintegrati e sforziamoci di chiamare per nome le persone, stabilendo con ognuno un rapporto concreto e sincero di dialogo e di accoglienza e di vera fraternità. Ridiamo dignità e calore alla parola “amore”, guardando ogni persona negli occhi, senza timore e con rispetto.

Convinciamoci che amare significa ricevere più di quanto doniamo, arricchirsi più di quanto spendiamo in tempo e risorse verso gli altri. Occorre impegnarsi a partire dal proprio ambiente a promuovere una comunità ecclesiale e civile sempre più fraterna, dove lo stile di vita, di prossimità solidale si espanda dai gruppi, dalle realtà di servizio e dai volontari alle relazioni interfamiliari e di vicinato, aiutando ogni persona a sentirsi nella città come in una “casa” amica e sicura.

Per raggiungere questo traguardo è necessario che torniamo a mettere l’etica a fondamento delle regole che guidano la nostra vita personale, familiare e sociale. Il Papa ammonisce a non disattendere questo discorso anche nell’affrontare i temi del lavoro e, prima ancora, dell’economia e della finanza, dove la prima scelta etica è proprio quella di salvaguardare la centralità della persona, i suoi diritti e le sue concrete esigenze personali e familiari. E dove tale scelta si alimenta e produce frutti di benessere umano, spirituale e sociale nella misura in cui diventa impegno a fare squadra – come si dice –, fare comunione fraterna e amicale.

È infatti sotto gli occhi di tutti, ogni giorno, che dove prevale solo la logica del mercato globalizzato e del profitto reso fine assoluto di ogni scelta economica, ignorando la ben che minima regola morale, prima o poi il sistema stesso si ritorce contro di sé e conduce alla rovina di se stesso.

Vi confesso che ciò che mi preoccupa di più è il venir meno, da parte di tanti, dell’impegno ad essere attenti e disponibili verso gli altri nel feriale della vita, accorgendosi di coloro che affrontano situazioni molto faticose sul piano umano, familiare e sociale. Si stanno creando sempre più dei circoli chiusi entro cui ognuno tende a vivere come se fosse quello tutto il mondo, non aprendosi quindi all’incontro e al coinvolgimento con altri mondi, che pure gli vivono accanto. Così avviene in politica, nel campo della finanza e dell’economia, della cultura e della comunicazione e perfino dello stesso “sociale”, tra famiglie, parrocchie e gruppi anche ecclesiali.

Ognuno vuole difendere i suoi spazi e i suoi privilegi e ha quasi timore di doversi contaminare con gli altri e se lo fa è solo per trarne eventuali vantaggi. Prevale la logica dei propri interessi che produce divisioni a volte insanabili. Così si creano barriere di indifferenza ed estraneità che portano a non vedere chi sta peggio o chi sta affrontando problemi gravi, di vera sopravvivenza, carichi di timore per il futuro personale e dei propri cari.

Il divino Bambino di Betlemme è venuto per abbattere i muri e per dirci che solo nell’incontro e nelle relazioni sincere di fraternità condivisa si crea un mondo di pace e di giustizia per tutti. Solo se ogni “mondo” personale o di realtà familiare o sociale si apre all’altro e si fa carico dell’altro, realizza anche il profitto più grande per se stesso. Ma ricordiamoci che Gesù ha posto a fondamento di tutto ciò non solo la buona volontà e l’impegno di ciascuno, ma prima ancora il saper riconoscere che abbiamo tutti uno stesso Padre che ci ama e ci chiede di lottare sempre perché ci sia pace e perdono tra noi.

Sta qui uno dei punti di forza che, se viene a mancare, diventa invece un principio di debolezza: quello di comprendere che, senza il riferimento a quel Padre che Gesù ci ha rivelato e donato, diventa impossibile vivere come fratelli e sorelle. È la paternità di Dio infatti che genera la fraternità, perché l’amore di Dio, se accolto, diventa la forza formidabile che porta ad amare gli altri come se stessi e addirittura più di se stessi, se è necessario, come ci mostra Gesù. Il mio augurio è che ci sforziamo di vivere con gratuità i rapporti con gli altri, assumendoli come propri in spirito di vera comunione fraterna.

A voi carissimi giovani, in particolare, rivolgo il mio augurio di amico. Conosco le vostre tristezze e i sogni che avete nel cuore, il desiderio di sperimentare con gioia e amore un’intensa relazione con i vostri cari in casa e un’accoglienza e valorizzazione non paternalistica e accattivante ma concreta e responsabile, ricca di umanità, di dialogo e di relazioni meno superficiali da parte del mondo degli adulti, di quello del lavoro in particolare. La difficoltà per molti di trovare un lavoro tarpa infatti le ali della speranza, rende scoraggiati e delusi della stessa vita, oltre che impediti di vedere anche segnali positivi, seppur deboli, ma reali, che si aprono magari davanti a sé. Soprattutto ne vanno di mezzo la dignità della persona e la fiducia nella società. Ma non dovete scoraggiarvi e continuare a concretizzare fino in fondo il vostro impegno di studio o di ricerca di un’occupazione, aprendovi altresì al servizio dei più piccoli negli oratori e nelle associazioni e realtà ecclesiali e dei più poveri, ammalati, anziani e disabili. Il servizio è l’anima della fraternità e dunque della vera pace del cuore che ci sostiene nei momenti difficili, perché donando riceviamo e offrendo investiamo il meglio di noi stessi per una vita piena di gioia interiore e di speranza.

Questo è un Capodanno diverso dagli altri, è un Capodanno difficile, ma pur sempre un dono di Dio, che deve aprirci il cuore alla speranza, perché il Figlio di Dio ha santificato il nostro tempo che passa, gli ha dato un orientamento e l’ha rivestito di valori positivi di amore per tutti.

Sì, facendoci gli auguri di buon anno nuovo, noi crediamo che, malgrado tutto ciò che ci abbatte e le prove che dobbiamo affrontare, l’aiuto che ci viene dal Signore è certo, perché lui è con noi ogni giorno, ci ama, ci protegge e ci assicura la sua forza per guardare al futuro con speranza.

**

Fonte:

http://www.diocesi.torino.it/diocesi_di_torino/in_primo_piano/00046164_Mons._Nosiglia_al_Cenone_del_digiuno_del_Sermig_e_alla_Marcia_per_la_pace.html