Santena, 25 aprile, Festa della Liberazione, l’intervento di Nerio Nesi

Santena – 27 aprile 2014 –  Il 25 aprile scorso, durante la celebrazione della Festa della Liberazione, Nerio Nesi, presidente della Fondazione Camillo Cavour, è intervenuto in piazza Martiri della Libertà.

Santena_25aprile2014_NerioNesi01Nerio Nesi, presidente della Fondazione Camillo Cavour, ha iniziato così il suo intervento: «Signor sindaco, signor parroco, associazioni d’arma, cittadini. Sono passati molti anni da quando i partigiani scesero dalle montagne e liberarono Torino. Un momento molto alto della storia d’Italia; forse è il momento più alto. Non c’erano fra di loro 40mila giovani: è questo il numero che si calcola di caduti partigiani. Leggendo le storie dei giovani partigiani e soprattutto quella raccolta memorabile delle lettere alle madri dei condannati a morte, dai fascisti e dai tedeschi, mi sono chiesto spesso cosa ha spinto questi giovani, volontariamente, a immolare la loro vita. Io credo di poter dire e dare alcune ragioni. La libertà. Innanzitutto. Il senso della libertà ritrovato. Il senso del dover fare qualcosa affinché uno dei più grandi Paese storicamente europei, come l’Italia, si liberasse dall’oppressione. E’ molto bello che ci siano qui tanti ragazzi: bisogna che spieghiamo loro che la libertà non è nell’aria. La libertà si può anche perdere. E, se si perde, è duro riconquistarla, poi dopo. E questa è la prima ragione. Seconda ragione: il senso della dignità della Patria;  il senso dell’orgoglio di sentirsi cittadini italiani; il senso del dovere fare qualcosa. Il terzo: la giustizia sociale».

Santena_25aprile2014_NerioNesi03«Ecco, allora – ha aggiunto Nerio Nesi –,  io credo che di queste tre ragioni, due sono state raggiunte. Il senso della libertà che noi abbiamo, lo sentiamo. Il senso di poter dire quello che si pensa, senza paure che quello che diciamo si ritorca contro di noi. Durante il fascismo non era così. Non era così. Ecco, quello che non abbiamo ancora raggiunto – dobbiamo dirlo, qui, in queste occasioni, sempre – è la giustizia sociale. Non l’abbiamo ancora raggiunto. Io ascolto, con commozione, quando il più grande assertore della giustizia sociale è diventato il Papa, Papa Francesco. E’ impressionante. Non era mai successo nella storia della Chiesa o era successo solo raramente. Papa Francesco si è eretto come un rivoluzionario; lo ha detto lui stesso. La giustizia sociale non l’abbiamo ancora raggiunta».

«Dopo il 1945 accade – ha aggiunto Nerio Nesi – quello che, in tutto il mondo, viene storicamente chiamato il miracolo italiano. I più giovani non se lo ricordano, ma la mia generazione si ricorda l’Italia totalmente distrutta: senza strade, senza case, senza fabbriche. Ci fu, in quel momento, un senso di orgoglio e la fiducia nell’avvenire, che produsse quello che gli storici di tutto il mondo ormai chiamano il miracolo. Ci fu un miracolo. Come ha potuto l’Italia risollevarsi dal 1945 in dieci anni e ricorstruire le proprie strade, case e fabbriche? Quali sacrifici ha comportato? Eppure lo facemmo. Lo facemmo perché avevamo fiducia nell’avvenire. Avevamo fiducia che i nostri figli sarebbero stati meglio di come eravamo stati noi. I ragazzi avrebbero avuto più possibilità di andare avanti».

Santena_25aprile2014_NerioNesi02Nerio Nesi ha proseguito: «Ecco, cari amici, cari concittadini – dico così perché mi sento oramai cittadino di Santena – questo non lo abbiamo ancora raggiunto. Fornisco solo un dato: il 10 per cento della popolazione italiana controlla il resto del Paese e in termini di reddito e in termini di proprietà personale. C’è ancora in questo una profonda ingiustizia. Una profonda ingiustizia anche in senso territoriale. Con la profonda differenza che c’è fra il Nord e il Sud  Italia. E io voglio dire questo anche in una città come Santena in cui ci sono tanti calabresi: io amo la Calabria. Io sono emiliano, quindi del Nord: ho visto i calabresi arrivare a Torino con il famoso treno del sole, con le loro valigie di cartone e le corde che le tenevano. Arrivare a Torino per andare a lavorare alla Fiat. Questo è stato uno dei grandi miracoli. Non c’è un altro Paese al mondo in cui la migrazione verso l’estero e verso l’interno sia stata così forte. Mi ricordo, quando andai ad accompagnare il presidente Sandro Pertini in Argentina, fu accolto nella capitale Buenos Aires con grandi ed enormi cartelli che dicevano “Benvenuto in patria”, perché la metà dell’Argentina è italiana. Dall’Unità d’Italia a oggi si calcola che circa 30milioni di italiani siano emigrati. E’ impressionante. E’ la metà di quello che oggi è l’Italia. Questo è stata l’immigrazione. Terribile. I prezzi che hanno pagato i nostri emigranti non li conosce nessuno. Li conosciamo attraverso i libri: gli italiani sono emigrati in tutti i Paesi del mondo, ma soprattutto in America Latina, Argentina, Stati Uniti, Francia, Germania. Nessun altro Paese europeo ha pagato un prezzo così caro alla miseria: perché sono emigrati per la miseria. E così anche per l’emigrazione interna, dal Sud al Nord.  Soprattutto verso questa grande città, verso Torino. Oggi questo si è incrinato. Voglio solo dare un dato, impressionante: in vent’anni Torino ha perso 100mila operai. Vale a dire una grande città. La Fiat è scomparsa. Quello che era il simbolo dell’industria italiana non c’è più: siamo diventati una Provincia di un grande impero. Speriamo di rimanere una Provincia importante. Questo speriamo, ma non sappiamo se sarà così.  Si è creato qualcosa di peggiore, c’è stato uno squilibrio crescente. Anche in quest’anno, anche nel 2013, i dati statistici economici più seri ci dicono che è aumentata la miseria nel Paese. Il numero delle famiglie che sono considerate ufficialmente povere è aumentato. E questo non è accettabile, non in nome di ideologie diverse, ma in nome della civiltà. Un Paese non può essere grande se c’è una così profonda differenza di condizioni sociale».

Santena_25aprile2014_NerioNesi04Nerio Nesi si è domandato: «Che cosa fare? Io credo che dobbiamo dare degli esempi. Chiunque di noi abbia la possibilità di farlo deve dare degli esempi. Di attaccamento. Intanto di fiducia, nel proprio Paese. Credo che questa che attraversa oggi l’Italia sia la crisi più dura e difficile dalla Liberazione, dal 25 aprile 1945 in poi. Sappiamo che per molti è difficile arrivare alla fine del mese. Sappiamo anche però che c’è un ristretto numero di cittadini italiani che ha troppe ricchezze. Faccia ciascuno di noi il proprio dovere; lo diceva anche ultimamente il Papa. Facendo il nostro dovere facciamo il bene di tutti, ma lo facciano soprattutto quelli che hanno la possibilità di farlo. In Italia c’è un’evasione fiscale che è, di gran lunga, la più alta di qualsiasi Paese d’Europa.  E anche questo, non è possibile. Bisogna che chi può pagare le tasse le deve pagare. Nelle banche in Svizzera vi sono, è un dato ufficiale, 250miliardi di euro di proprietà italiana. E i governi che si succedono non sanno come fare a trovare un miliardo. In Svizzera ve ne sono 250 miliardi, fuori dell’Italia, solo dell’Italia: devono rientrare perché questo è il loro dovere. Questo dobbiamo dire».

«Io non voglio farvi perdere tanto tempo  – ha aggiunto Nerio Nesi –. Ringrazio il sindaco che mi ha invitato a fare questo discorso. Noi facciamo il nostro dovere fino in fondo. Io lo faccio personalmente: scusate se mi permetto di dirlo, perché ho ricevuto molto dal mio Paese. Il mio paese mi ha dato molto. Io vengo da una famiglia operaia. Mio padre era un operaio metalmeccanico specializzato. Io sono arrivato ai più alti gradi della gerarchia italiana: presidente della più grande banca italiana e ministro dello Stato italiano.  Ho il dovere di restituire qualcosa al mio Paese. E’ quello che faccio gratuitamente, giorno e notte. Mi sono promesso di dare a Santena il suo castello. Come ho detto di recente detto al Presidente della Repubblica nel 2016 restituiremo al Capo dello Stato tutto il complesso cavouriano nuovo, rifatto. Questo è l’obiettivo che mi sono proposto. E, lo farò, con l’aiuto di tutti, con l’aiuto dell’amministrazione comunale di Santena, che ringrazio, sindaco in testa. Ecco così facendo, solo in questo modo noi saremo degni di ricordare quei 40mila ragazzi morti nella resistenza la media era di 23 anni. Solo in questo modo saremo degni di ricordare, seriamente, quei 40mila morti. Grazie».

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Audio integrale dell’intervento di Nerio Nesi, con breve presentazione del sindaco Ugo Baldi: 

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