Santena, 153° anniversario della morte di Camillo Cavour, la prolusione di Gian Antonio Stella

Santena – 11 giugno 2014 – Di seguito, la prolusione di Gian Antonio Stella, alla cerimonia ufficiale per il 153° anniversario della morte di Camillo Benso di Cavour, svolta il 6 giugno scorso, al castello Cavour, di Santena.

Santena6giu2014_gianAntonioStella_0Gian Antonio Stella ha iniziato così: «Per me è davvero un grande onore essere stato invitato oggi perché anche in momenti in cui non era di gran moda parlare di Risorgimento io giravo facendo delle conferenze sulle due grandi epopee dimenticate di questo Paese. Questo Paese ha avuto due grandi epopee: che sono state il Risorgimento e l’emigrazione. L’emigrazione ha toccato 27 milioni di persone, l’esatto equivalente di quanti abitavano negli attuali confini italiani al momento dell’Unità d’Italia, quindi è stata una cosa epocale. Ed è stata rimossa da questo paese che dimentica in fretta. Così come ha dimenticato l’epopea straordinaria del Risorgimento. Quando penso alla Patria, che ho sentito nominare più volte qua, mi vengono in mente i sorrisetti che si sono visti, che ancora talvolta si vedono a sentir la parola Patria. Invece la Patria è una cosa nella quale un Paese deve credere. Un Paese ha bisogno di riconoscersi in persone, questo è il nodo. Da altre parti, in altri Paesi han capito».

OLYMPUS DIGITAL CAMERA«Noi abbiam delle figure straordinarie nella nostra storia – ha detto Gian Antonio Stella –. Abbiamo ad esempio Leopoldo Pila, che era l’astro nascente della sua materia, che insegnava all’Università di Pisa, acclamato in tutte le università del mondo, invitato a tutte le università del mondo e parte coi suoi ragazzi per andare sui campi di Lombardia, cantando quella canzone stupenda che è “Addio mia bella addio” e muore a Curtatone. Muore secondo me in modo assolutamente meraviglioso, cioè lui, un intellettuale, non aveva mai sparato un colpo in vita sua, non sapeva neanche cosa fosse una pistola, non ne aveva idea, muore portando le munizioni ai suoi studenti che sono in trincea e sparano. La morte di Leopoldo Pila, così tragica e così struggente, è una cosa che mi ha sempre colpito molto. Poi figure come Pier Fortunato Calvi, completamente rimosso dai ricordi degli italiani. Questo ragazzo, figlio di un poliziotto astroungarico, certo, italiano, però, di Noale, vicino a Venezia, che riesce a raccogliere ottomila volontari che vanno con gli schioppi, con i forconi, con le vanghe, con le asce, a Rivalgo, che è la stretta della valle che viene giù da Cortina, a fermare l’esercito astroungarico che in quel momento è l’esercito più potente del mondo o uno dei più potenti del mondo. Provateci voi, voglio dire, a raccogliere ottomila volontari e andare a fermare l’esercito più potente del mondo. Lui lo fece. Ci riuscì e fermò a Rivalgo l’avanzata dell’esercito astroungarico, buttando giù massi dalle pareti, bloccando la strada ai cannoni che venivano trascinati. Un’epopea fantastica, liquidata dai “Quaderni padani” qualche anno fa, come una cretinata fatta dai traditori dell’Austria Ungheria. Una cosa davvero umiliante per chi conosce un pochino la storia. L’ultima lettera di Pier Fortunato Calvi è una lettera che vorrei rileggervi, perché, prima di finire davanti a chi l’avrebbe ucciso, Pier Fortunato Calvi scrisse una lettera che vale la pena di leggere perché è straordinaria. Ovviamente vi leggo soltanto una sintesi. Dice: “Piuttosto di rinnegare i santi principi su cui riposa la causa della libertà e dell’indipendenza in Italia, vado lieto incontro a questa morte, onde tutti sappiano che Pietro Fortunato Calvi, piuttosto che tradire la sua patria offre il suo cadavere”. E mi ha sempre colpito quest’ultima frase, perché non dice “Offre la sua vita”, no. La vita continua, continua nel nome degli ideali, nel nome delle cose in cui si crede, nel nome della propria patria, della terra dei propri padri, della terra madre. La vita continua. No, c’è il disprezzo, qua, dice: tienti il mio cadavere. E sono parole formidabili anche a rileggerle oggi a distanza di un secolo e mezzo. Allora tu pensi, Pier Fortunato Calvi, Leopoldo Pila, i fratelli Bandiera… tutti questi ragazzi che sono morti sui campi di Lombardia o in giro per l’Italia e ti domandi cosa direbbero dell’Italia di oggi».

Santena6giu2014_gianAntonioStella_2Gian Antonio Stella ha aggiunto: «Cosa direbbero questi ragazzi nel vedere il degrado della cittadella di Alessandria che è stato il primo luogo fisico in cui ha sventolato il tricolore, il luogo fisico in cui è nato il Risorgimento militare nel 1821 con l’ammutinamento della guarnigione. Cosa direbbero a vedere un’Italia in macerie dal punto di vista architettonico, edilizio e anche per molti aspetti dal punto di vista morale, a leggere i giornali di questi giorni. Io credo che sia importante oggi ricordare Cavour partendo proprio da una cosa che lui dice nell’anno in cui muore Pier Fortunato Calvi, il 1853, dopo la Repubblica di Venezia, dopo l’eroica difesa di quella che è stata la Repubblica Veneziana di Daniele Manin. Lui il 21 aprile 1853 in Parlamento tiene un discorso in cui dice: “Io credo che il miglior modo di provare l’amore della Patria sia nel sapere all’uopo proclamare certe verità che sebbene siano dure e dolorose è utile che vengano dette”. Spiegando la necessità, sia pure dolorosa, di una legge che inasprisca le pene perché, riprendo Cavour: “Si è che alcuni di questi fatti sono evidentemente prodotti dalla corruzione del senso morale di certe parti delle nostre popolazioni, corruzione che trasforma talvolta le persone fornite dalla natura di pregevoli doti, che avrebbero potuto divenir distinte e capaci di magnanime azioni in essere immorali, malintenzionati, colpevoli di atroci misfatti. Noi abbiamo visti di questi casi, di questi fatti, ed abbiamo avuto il coraggio di rivelarli”. Questo è il punto: non si nascondono i problemi, si affrontano i problemi. Continua il Cavour in qualche modo un secolo dopo nelle parole di Curzio Malaparte. Quasi esattamente un secolo dopo, e cioè il 21 giugno 1956, Curzio Malaparte scrive su “Il Tempo Illustrato”: “La peggior forma di patriottismo è quella di chiudere gli occhi davanti alla realtà, di spalancare la bocca in inni e ipocriti elogi che a null’altro servono se non a nascondere a sé e agli altri i mali vivi e reali. Né vale la scusa che i panni sporchi si lavano in famiglia. Vilissima scusa. Un popolo sano e libero, se ama la pulizia, i panni sporchi se li lava in piazza. Ed è cosa inutile e ipocrita invocare la carità di Patria. La carità di Patria fa comodo soltanto ai responsabili delle nostre miserie e vergogne e ai loro complici e servi. Fa comodo a chi ci opprime, ci umilia, ci deruba, ci corrompe”. Sono parole fantastiche, fantastiche e rappresentano davvero, Cavour nel 1853, Malaparte nel 1956, un’idea di Patria che è fuori dalla retorica, dalla Patria muscolare fascista, dalla Patria savoiarda intesa male, in cui Cavour ha un certo tipo di prospettiva, ma Vittorio Emanuele II no. Tanto è vero che, come sottolinea Mario Isnenghi, non cambia neppure il nome. È stato uno dei grandi errori nel Risorgimento. Lui doveva essere Vittorio Emanuele II di Sardegna e diventava Vittorio Emanuele I Re d’Italia. L’aver tenuto quel nome voleva dire “L’Italia è un prolungamento del Piemonte, è un allargamento del Piemonte” e dio sa quanto sia stato sbagliato questo ragionamento, quanto sia stata sbagliata questa scelta».

Santena6giu2014_gianAntonioStella_3Gian Antonio Stella ha proseguito: «Certo, Cavour non era un giustizialista. Anzi, non lo era proprio per niente. Basti rileggere il suo intervento il 9 novembre 1849, ancora in Parlamento, contro la relazione d’inchiesta fatta sull’elezione del Marchese del Carretto, che era un deputato di Albenga imputato per corruzione. A leggere adesso le accuse a Del Carretto vien da ridere. Il Marchese del Carretto era accusato di aver pagato il trasporto a un po’ di elettori. Gli aveva mandato a prendere a casa una carrozza perché andassero a votare. Una cosa che oggi fa sorridere. In più, era accusato di aver pagato un pranzo, una cena a 25 elettori. Se noi pensiamo agli scandali usciti negli ultimi anni, ricordo un pranzo a tredicimila euro nel ristorante del proprio figlio fatto da un parlamentare calabrese, se noi ricordiamo episodi come questi, pranzi e cene da ventimila euro, pranzi di nozze del proprio figlio, pagati coi soldi pubblici, eccetera, c’è da sorridere. Fatto sta che a un certo momento cosa dice il Cavour? Ironizza sul fatto che un pranzo simile era stato fatto con analoga accusa di corruzione a Sospello dove invece che spendere una lira per ogni pranzo ne erano state spese due e allora, dice, vuol dire che il voto di quelli di Sospello ha prezzo doppio rispetto a questi altri. Ma dopo aver ironizzato su questo, a un certo momento, viste le reazioni che ci sono in Parlamento, lui dice: “Io non vorrei che la Camera credesse che io intenda fare l’apologia del sistema della corruzione”, perché lui difendeva queste cose dicendo che erano cose piccole, da poco, “quale venne praticato qualche tempo in Francia e quale anche ora ha luogo in Inghilterra. Io ho detto che fra un po’ di tolleranza e un’eccessiva severità io preferirei il primo sistema, poiché io considero un minore inconveniente una qualche irregolarità che quella totale indifferenza che vizia il nostro sistema elettorale”. Cos’è che spiega, dopo? Spiega una cosa che oggi potrebbe essere usata, con parole certamente diverse, perché è passato un secolo e mezzo, è cambiato il linguaggio. Però spiega una cosa che anche oggi tanti politici potrebbero usare contro il qualunquismo, contro la demagogia, contro… Beppe Grillo, al limite, faccio per dire, o comunque quel tipo di cose. Dice, attenzione ad essere contemporaneamente durissimi nel colpire la corruzione, però senza farne un’accusa generica al sistema, perché poi, sentite che parole usa: “Si rischia quel sintomo pericoloso di una dannosissima indifferenza e apatia le quali in seguito a queste ripetute annullazioni di elezioni non possono che crescere ed allargarsi. Io dunque non ho già fatto l’elogio della corruzione e anzi contro di essa protesto e son pronto a combatterla in ogni tempo e in ogni occasione, bensì intesi porre la Camera in avvertenza degli inconvenienti che si incontrano se un eccessivo rigore si adoperi”. Ora, questa opinione di Cavour è interessante perché lui ha un’idea generale di un equilibrio che dev’esserci nella società. Un qualche equilibrio senza avere un eccesso di fanatismo su alcune cose che potrebbe essere controproducente. Non già perché non consideri la corruzione un male, ma perché, dice, occorre tener presente l’insieme».

Santena6giu2014_gianAntonioStella_4Gian Antonio Stella ha proseguito così: «Certo è che, come scrive Christoper Duggan, uno storico inglese che ha scritto un libro straordinario che è “La forza del destino”, lui era preoccupatissimo soprattutto per il Mezzogiorno. Scrive Duggan che era del resto sommerso di segnalazioni da far accapponare la pelle, “osservazioni sulla barbarie, l’ignoranza, l’immoralità, la superstizione, l’oziosità, la codardia dei meridionali sono frequentissime nei rapporti inviati a Cavour in quel periodo e non sorprende che lo stesso Cavour giungesse alla conclusione che il Mezzogiorno era corrotto fino al midollo osseo”. E scrive Duggan che “dietro molte di queste osservazioni al limite dell’isterismo stava una miscela di tornaconto e di paura. Tornaconto perché dipingendo il Mezzogiorno come una terra di arretratezza e di corruzione i piemontesi creavano un clima morale nel quale l’imposizione al resto del Paese della loro costituzione, delle loro leggi, del loro sistema amministrativo, per tacer dei loro uomini appariva pienamente giustificata e paura perché l’Italia una e indivisibile rischiava di trovarsi improvvisamente sopraffatta dal contagio dilagante attraverso la penisola come una malattia in un corpo. E invero in questo periodo le immagini tratte dalla medicina abbondavano nei rapporti, nei discorsi e nella corrispondenza per cui, ad esempio, voi ricorderete che Massimo d’Azeglio pensava che l’unificazione con Napoli fosse come mettersi a letto con un vaioloso, da che risulta che era contrario all’idea stessa dell’annessione. Mentre secondo Farini, sebbene a Napoli non fosse possibile in un giorno tagliar corto e profondo sulla piaga, occorreva fare ogni sforzo per assicurarsi che il sud non diventasse la cancrena che infettasse poi lo stato”».

Santena6giu2014_gianAntonioStella_5«Questo nodo è interessantissimo perché in realtà come abbiamo visto Cavour si sbagliava su questo – ha detto Gian Antonio Stella –. O, meglio, è fuori discussione che c’è stato anche un concorso della corruzione meridionale purtroppo a “infettare” questo paese, ma la storia ci dice che non è colpa dei meridionali se questo paese non ha mai fatto fino in fondo i conti con la corruzione. Questo ci dice la storia. Cavour muore nel 1861. Saremmo curiosi tutti [di sapere come si porrebbe Cavour di fronte agli scandali politici]. Cavour muore e l’anno dopo scoppia il primo scandalo, quello delle strade ferrate meridionali. Ma non è una questione meridionale. C’entra invece Piero Bastogi, un livornese, che fino a poco prima era Ministro delle Finanze e da Ministro delle Finanze predispone la grande commessa, come diremmo con linguaggio di oggi, di costruire le strade ferrate meridionali, dopodiché si dimette da ministro, passa dall’altra parte del tavolo e diventa l’imprenditore Bastogi che prende la commessa, con un conflitto di interessi pazzesco, pazzesco, e prende questa commessa enorme, mettendo insieme un consiglio di amministrazione allucinante perché alla prima riunione del CdA – e siamo al 1862, un anno dopo l’Unità d’Italia – su 22 componenti del Consiglio di Amministrazione delle Strade ferrate meridionali, 14 sono parlamentari. In un Paese normale arrivano i Carabinieri e i Finanzieri e metton le manette a tutti. Perché non esiste in un paese normale che un Consiglio di Amministrazione sia composto in maggioranza da Parlamentari che han votato quella legge di cui poi diventano beneficiari. Non esiste. E siamo un anno dopo la morte di Cavour».

OLYMPUS DIGITAL CAMERAStella ha continuato: «E poi vorrei vedere cosa avrebbe fatto il Cavour, per esempio, successivamente, 1868, nel caso di due decisioni prese dal Parlamento, anzi, dal Governo e in particolare da Federico Menabrea che era un piemontese testa dura, ma tanto testa dura. Basti pensare che cercò di comperare dall’Argentina un pezzo di Patagonia per portarci i meridionali che gli davan fastidio. E l’Argentina ha detto, scusate ma è un problema vostro, risolvetevelo. Allora ha chiesto di comperare un pezzo del Borneo. Non so se avete presente dov’è il Borneo, è al di là dell’Asia. Anche lì gli han detto, no, è problema vostro, risolvetevelo voi. Immaginatevi le navi andare avanti e indietro a portare nel Borneo i meridionali che davano fastidio al professor Federico Menabrea. Allora, nel 1868 cosa fa Menabrea col suo Ministro delle Finanze? Si inventa la tassa del macinato, che come dice giustamente Crispi, era una tassa sulla miseria, e poi si inventa la porcheria della Regia Tabacchi, cioè dà in concessione il monopolio tabacchi per vent’anni a una società anonima di privati in cambio di un’anticipazione di cassa. Cioè tu mi dai dei soldi anticipati, 180 milioni, e io ti do per vent’anni il monopolio dei tabacchi. Una porcheria pazzesca sulla quale garantiva lo Stato. Cioè, chi comprava delle azioni, lo Stato metteva lui la garanzia. I privati pigliavano i soldi, se poi fallivano lo Stato andava a tappare il buco. Esattamente lo stesso ignobile giochetto fatto tante volte anche in questi anni. Cosa avrebbe detto Cavour? Avrebbe taciuto o si sarebbe ribellato come due grandi piemontesi, Giovanni Lanza – ne avessimo avuti di Giovanni Lanza. Questo Paese sarebbe diverso se avessimo avuto tanti Giovanni Lanza – o come Quintino Sella, che pur essendo di destra si misero di traverso e Cavour probabilmente sarebbe stato con loro e questa porcheria non sarebbe passata».

Santena6giu2014_gianAntonioStella_7Gian Antonio Stella ha continuato così: «E poi Cavour, morto così giovane, avesse vissuto come un italiano di oggi avrebbe potuto probabilmente mettersi di traverso anche allo scandalo della Banca Romana, successivo alla presa di Roma. Voi ricorderete: entrano i bersaglieri a Porta Pia, a Roma parte una speculazione immobiliare enorme, costruiscono case e case e case, condomìni e condomìni e condomìni e poi è successo come in America nel 2007, è scoppiata la bolla immobiliare e la Banca Romana si è trovata in braghe di tela. A quel punto, il governatore, che era un certo Bernardo Tallongo, el sor Tallongo, che era entrato come fattorino esattamente come Roberto Calvi al Banco Ambrosiano, ed era salito fino in cima ai vertici, comincia a stampare in proprio, a battere moneta e si stampa l’equivalente di 61 milioni di lire, che era una cifra immensa. Dopodiché viene processato e al momento di condannarlo spariscono le carte che lo incastravano. Evaporano le carte che lo incastravano. E ti ritrovi nessun condannato per le Ferrovie meridionali, nessun condannato per la Regia Tabacchi, nessun condannato per la Banca Romana. E poi andiamo avanti, le corazzate di burro, col ministro Bettiolo che affida alle acciaierie di Terni una commessa immensa per far le corazzate con l’acciaio di 12 centimetri e le acciaierie di Terni fanno le corazzate con l’acciaio di 4 centimetri e mettono in tasca il resto. E poi ancora tutto lo scandalo intorno alla costruzione dell’Altare della Patria. E poi ancora gli scandali successivi, sotto il fascismo. Questa storia straordinaria per cui col fascismo invece le cose sì andavano bene, è una delle tante sciocchezze che si son raccontate su questo Paese. In realtà sotto il fascismo ne son successe di cotte e di crude. Vi leggo soltanto questa meravigliosa, assolutamente meravigliosa, lettera. Prima questa direttiva di Mussolini ai prefetti nel 1927: “Un regime come quello fascista deve porre la massima diligenza e lo scrupolo fino all’estremo per quanto concerne l’amministrazione del pubblico denaro. Il denaro del popolo è sacro. Tutti coloro che amministrano pubblico denaro devono essere di specchiatissima probità”. L’anno dopo Roberto Farinacci – che era uno dei collaboratori principali di Mussolini, che era così somaro, scrisse “Il Giornale dell’Asino”, che scriveva “cocomero” con la q – Farinacci scrive una lettera a Mussolini accusando il podestà di Milano Ernesto Belloni e gli scrive: “Non escludo che a Milano vi siano dei parassiti, della gente che, pezzente come me nell’ottobre 1922, oggi trovasi in condizioni economiche meravigliose. Se mi affidi pieni poteri per indagare, Duce, mi riprometto di rendere un servizio a te e al regime”. E il Duce, che conosceva i suoi polli, gli risponde: “Ricevo la tua lettera vaga quanto le tue affermazioni. Quanto alla pezzenteria e alle fortune, io non contesto che tu fossi un pezzente nel 1922, ma nego nella maniera più recisa che tu sia rimasto un pezzente nell’anno di grazia 1928”. Cioè gli ha detto, scusa, prima di scagliare la prima pietra, pensaci sopra».

OLYMPUS DIGITAL CAMERANella sua prolusione Stella ha continuato: «E poi ci troviamo ancora nel dopoguerra, altre cose, lo scandalo dei tabacchi, il banchiere di Rio, Giovan Battista Giuffrè, e poi giù giù fino ai giorni nostri. E allora davanti anche a queste ultime cose, l’affare Corrado Clini, l’Expo 2015 a Milano, oggi Venezia. Venezia che è particolarmente offensiva per ogni italiano perché questi qua trattavano Venezia come, senza togliere niente a Latina, però per loro Venezia era come fare una porcheria su Latina, su Battipaglia, con tutto il rispetto per Battipaglia. Non so se mi spiego. Venezia. Totale disinteresse per il patrimonio più grande che ha l’Italia in nome dei soldi. Ecco, davanti a tutte queste cose uno si chiede davvero che cosa avrebbe detto Cavour. E la risposta è proprio in questo passo che leggevo all’inizio. Questa idea che la corruzione è una nemica. Se tu hai un’idea dello Stato come ce l’aveva Cavour, la corruzione è davvero alto tradimento, come dice Renzi. Dopodiché Renzi secondo me sbaglia quando dice che è una questione di uomini e non di regole. Per me è questione di regole. Dentro le regole poi gli uomini si mettono in riga. Però su questo ha ragione. Forse Cavour avrebbe avuto un’idea simile, cioè che la corruzione è un alto tradimento nei confronti dello Stato, un alto tradimento nei confronti della collettività, un alto tradimento nei confronti dei cittadini. Ed è per questo che io credo che questa cerimonia che ha questo straordinario fascino un po’ demodè, di andare a ricordare il padre di questa nostra Patria che troppo spesso quotidianamente si dimentica, è bellissima proprio per questo, perché tante persone si trovano insieme unite in un’idea dello stare insieme, del vivere comune, della comunità che in questo nostro Paese troppo spesso si dimentica e invece è l’unico punto da cui noi possiamo ripartire. Grazie».

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Trascrizione a cura di Francesca Druetti

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Audio della prolusione di Gian Antonio Stella:

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