Santena, il pianeta giovani, visto da don Martino Ferraris

Santena – 24 gennaio 2015 – Un contributo di don Martino Ferraris, viceparroco a Cambiano e Santena, sul pianeta giovani.

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Don Martino Ferraris, dal tuo osservatorio, la parrocchia di Cambiano e quella di Santena, come vedi il mondo giovanile?

«Provo a descriverlo con una serie di immagini. La prima è sicuramente un campo di germogli. Penso a questi ragazzi, partendo dai più piccoli. Li immagino con delle potenzialità, proprio come sono i germogli in un campo. Un campo senza germogli è terra arida. Una società che non pensa ai suoi ragazzi e non li vede con questi occhi è già morta in principio. Io guardo ai giovani con questa carica di positivo. La seconda immagine è quella della fatica. Secondo me il modo di crescere dei giovani oggi è un pochino disordinato; si può dire che sono poco coltivati. Questo significa che, sin da piccoli, rischiano di prendere pieghe strane. Mi chiedo anche come noi cristiani, così come le varie figure di educatori, stiamo coltivando questo campo. La mia sensazione è che mettiamo in gioco poche forze. Non usiamo tutte le nostre potenzialità. C’è anche un altro problema di fondo che non permette ai giovani di svilupparsi: non c’è una rete educativa comune. Oltre tutto un problema di fondo che non permette ai giovani di svilupparsi bene è che non c’è une rete educativa comune. Un parroco, un animatore, non potranno mai cambiare la situazione dei giovani. Da soli i professori, alcuni genitori o un gruppo di famiglia non riusciranno mai a cambiare nulla della situazione dei giovani. Servirebbe un’azione di squadra, che oggi manca. Intendo dire che la soluzione per la crescita positiva dei giovani non è riposta in un prete né in un animatore, neppure in una famiglia, ma in un gruppo che si prende a cuore questo campo. Ho anche la percezione che quello dei giovani non sia uno dei problemi che stiamo affrontando con decisione. Servirebbe fermarsi tutti per chiedersi che cosa sta succedendo. La prima cosa da fare è prendere coscienza che è un problema forte che va affrontato in modo adeguato».

In questa situazione anche i giovani fanno comunque fatica.

«Sicuramente una fatica dei giovani è quella di non trovare qualcosa che li interessi profondamente e che li stimoli a fare delle cose. Quando ero a Torino seguivo dei ragazzi “mannari”, nel senso di giovani problematici. Alcuni di questi sono maturati solo nel momento che hanno trovato un lavoro. Probabilmente anche l’ozio porta danni. Penso che la società intera dovrebbe interrogarsi sulle proposte che oggi vengono fatte al mondo giovanile. Una volta che i giovani prendono una brutta piega, sono poi difficili da raddrizzare. Così nascono elementi che sono in grado di danneggiare interi gruppi. Spesso il gruppo di giovani condiziona e imprigiona, senza lasciare scampo».

Don Martino, come sacerdote, come vieni percepito dai ragazzi e dai giovani?

don_Martino_Ferraris_2015gen4«Personalmente non ho mai vissuto l’esperienza di essere trattato male dai ragazzi. Anche i giovani più “selvatici” non si rivelano maleducati, comunque ti salutano e non sono scortesi. Il primo approccio è positivo. Più problematico è il secondo approccio: quello con cui si tenta di entrare nella loro vita e provi a mettere qualche paletto. Lì allora si irrigidiscono subito, non tanto perché sei un sacerdote, ma perché sei uno che gli chiede di “raddrizzarsi”. Un problema di fondo è che loro non percepiscono affatto o l’hanno molto sotterraneo il bisogno di raddrizzarsi. E comunque loro non ti diranno mai “Mi dai una mano a raddrizzarmi”. Sono nel disagio ma non lo riconoscono. Che dire, qualcuno a forze di stare “nella cacca” ha anche imparato ad apprezzarne l’odore. Si sono abituati. E questo è un problema anche spirituale perché, spesso, si è arrivati a intaccare anche la coscienza, sino ad arrivare alle conseguenze fisiche. Noi la malattia spirituale non la vediamo, mentre le conseguenze si percepiscono benissimo. Vorrei anche dire che i ragazzi più ribelli spesso sono disponibili a compiere lavori pratici anche in oratorio, mentre rispondono picche a fronte di un impegno programmato e duraturo. Portare avanti con loro progetti con un orizzonte ampio non è possibile. Non solo. Spesso ogni giorno i giovani sembrano ripartire da capo: tutto quello che si è imparato il giorno prima sembra esser svanito nel nulla».

Dietro a molte situazioni di disagio giovanile che responsabilità ha la famiglia?

«Sicuramente il fatto che la famiglia non sia più un collante per i ragazzi è un problema. Spesso i ragazzi sono lasciato soli e girovagano per il mondo, senza avere raggiunto la necessaria maturità. Un altro problema è che, anche nelle famiglie cosiddette “normali” c’è sempre meno tempo per stare insieme. Non ci si incontra più. Non ci si parla più. Il rischio è di diventare estranei l’uno per l’altro anche all’interno della famiglia. Dopo averli generati i genitori perdono di vista i figli e non hanno più la percezione di cosa stanno diventando. Negli anni indietro mi sembra di poter dire che c’era anche più sintonia sul modo di educare come famiglia. Oggi tutto comincia e finisce nel ristretto orizzonte delle mura di casa. Ognuno è diventato metro di se stesso. I modelli universali sembrano tramontati. Manca completamente un’azione corale. Spesso tante famiglie non sono un coro a voce unica con un direttore che li guida; spesso si tratta di voci singole. Ognuno canta una canzone diversa: il minimo è che ne nasca una grande confusione. E anche i ragazzi, quando ascoltano restano confusi e poi seguono la voce che più considerano conveniente».

In un simile contesto, quali sono le indicazioni che possono essere seguite nell’ambito della pastorale giovanile?

don_Martino_Ferraris_2015gen1«La pastorale giovanile lavora a partire dai germogli buoni, che pur ci sono. Sono anche gli unici giovani che si lasciano coinvolgere in modo più profondo. Va anche detto che io in parrocchia non mi sento quello che riesce a costruire chissà che cosa, ma come uno che cerca almeno di non distruggere quello che c’è. Si opera sperando di poter lavorare con chi accetta di mettersi in gioco e che questi possano diventare uno stimolo anche per gli altri giovani. Sappiamo che potremo comunque lavorare sempre e solo con una minoranza dei giovani. Rispetto ai cosiddetti “lontani” non possiamo che farci prossimi. Siamo anche coscienti che l’oratorio in sé non risolverà mai nulla e che non è solo un problema di strutture. Il nodo non è neanche la mancanza di animatori. Servirebbe un’azione corale dei tanti soggetti che hanno contatti con i giovani che prenda di petto la situazione dei giovani. Per ora non mi sembra che si abbia sentore che questo vada fatto come priorità».

La crisi economica e occupazione come pesa sulla condizioni dei giovani?

«Io non sono molto preparato su questo. Certo mi faccio delle domande. Vedo anche che se pur in tempo di crisi i ragazzi cono pieni di cose inutili quanto costose. Credo anche che oltre alla crisi economica per i ragazzi bisognerebbe tenere in conto la crisi che sta coinvolgendo i loro cervelli. Ragazzi giovani non sembrano in grado di capire quali sono le cose importanti della vita: e questo mi sembra la crisi peggiore di tutte. Aggiungo anche che i nostri vecchi hanno vissuto crisi ben peggiori di quella che stiamo vivendo oggi. Un grande problema che la nostra società sta vivendo è la crisi della vita da vivere, mentre spesso noi ci fermiamo a riflettere solo sulle cose che ci mantengono vivi. Per il futuro dei giovani sarebbe importante riuscire a metter insieme tutte le agenzie educative che entrano in contatto con i giovani: famiglia, scuola, oratorio, lavoro ecc. Dobbiamo lavorare tutti insieme, in sintonia. Ragazzi e giovani vanno visti come risorse. Sono loro i “germogli” della nostra società».

Con i ragazzi più problematici come si è attrezzato l’oratorio?

don_Martino_Ferraris_2015gen3«A fronte di comportamenti non propriamente urbani come oratorio abbiamo cercato di spiegare ai ragazzi e ai giovani più “selvatici” che ci sono regole che vanno rispettate e non possono essere ignorate. Per scongiurare alcuni comportamenti devianti a Santena sono state posizionate anche delle telecamere di sorveglianza. Certo, alcuni problemi non si sono affatto risolti: a volte i giovani hanno solo cambiato sede di ritrovo. Rispetto a certi problemi sappiamo che la soluzione non è mettere un animatore o un prete in più. Alcuni punti fermi vanno però ribaditi: certe situazioni non possono essere tollerate. Noi siamo chiamati a valorizzare il buono e a correggere quello che possiamo definire “marcio”. I ragazzi e i giovani che non stanno alle regole sono automaticamente fuori dall’oratorio. Su questo non si discute. Occorre anche dire che non dobbiamo guardare questi soggetti con incarognimento. Siamo chiamati a operare come san Francesco di Sales: con saggezza e con dolcezza. La saggezza ci consente di cogliere le cose che non vanno nel loro comportamento. La dolcezza ci porta a guardarli come risorse. Poi bisogna provare anche un po’ di sofferenza per questa situazione; questo vuol dire che in qualche modo ci tocca. Aggiungo anche altro: la Chiesa non è la crocerossina della società che mette supposte e flebo in giro. Non è questo il compito. La Chiesa, e anche noi preti, siamo niente da soli. Tutti si è niente da soli. Secondo me è venuto il momento di costituire una sorta di consorzio, dove più realtà si mettono insieme. Per arrivare a questo bisogna avere ben chiaro quelli che sono i propri limiti. Sarebbe già bello fermarci oggi e chiedersi: ma in che mani passano oggi i giovani? Famiglia, scuola, giardinetti, bar ecc. Tutto questo per poi avviare un’azione comune con il maggior numero possibile di agenzie educative che hanno contatti con giovani e ragazzi. Un lavoro lungo che spesso porta risultati piccoli, piccoli. Chiudo con un esempio: quando ero in parrocchia a Torino, per tre anni, tutti i sabati sera li ho passati con un gruppo di giovani un po’ problematici. Sono entrato in contatto con loro. Mi hanno anche voluto bene, ma hanno comunque continuato a dare fuoco alle cose incontrare sulla strada. I risultati? Micro, micro, micro».

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