Cambiano, don Beppe nuovo parroco, don Riccardo vice, l’omelia dell’arcivescovo Cesare Nosiglia

Cambiano – 11 ottobre 2015 – Ieri pomeriggio, don Giuseppe Zorzan ha fatto il suo ingresso come parroco di Cambiano, con lui don Riccardo Florio, nuovo viceparroco. La messa è stata celebrata da mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino. Di seguito la sua omelia.

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Mons. Cesare Nosiglia, rivolgendosi al gruppo di ragazzi sistemati a ridosso della balaustra, l’omelia l’ha iniziata così: «Ragazzi, conoscete i 10 comandamenti? Li conoscete? Il ragazzo del Vangelo letto oggi conosceva e metteva in pratica i 10 comandamenti. Era un ragazzo giovane e buono. Gesù lo guarda con amore, perché gli dice “Tu conosci i comandamenti: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare… “Io li ho sempre osservati, fin dalla mia giovinezza”, dice questo ragazzo. Fin da quando era piccolo e andava a catechismo, potremmo dire noi oggi. Ma Gesù vede nel suo cuore che c’era un desiderio. “Che cosa devo fare – dice il ragazzo – per avere la vita per sempre, la vita eterna?”. Gesù ha detto a questo giovane che era in grado di puntare più in alto che osservare i comandamenti. Gli ha proposto un traguardo che può sembrare impossibile “Devi vendere tutto quello che hai. Devi rinunciare alle tue sicurezze, per lui erano i soldi. Anche noi abbiamo tante sicurezze. Occorre rinunciare alle tante sicurezze che ci sono nei nostri cuori e nella nostra vita. C’è una alternativa forte: occorre mettere al centro il Signore, lui solo. Gesù nel Vangelo dice al giovane “Va’, vendi tutto e poi vieni e seguimi”. E il giovane se ne va triste perché non ha voluto rinunciare a queste sicurezze che gli davano una certa tranquillità. Pensava che seguire Gesù volesse dire andare allo sbando. Gli stessi apostoli avevano detto a Gesù “Noi abbiamo lasciato tutte le nostre sicurezze. Abbiamo lasciato il padre, la madre, i fratelli, le sorelle, i campi…, tutto. E Gesù dice loro “Riceverete molto di più. Riceverete cento volte tanto. Cosa vuol dire con questo?».

L’arcivescovo di Torino ha aggiunto: «Significa che chi segue il Signore non si deve accontentare dei traguardi che ha raggiunto. Ma noi, se noi osservassimo i dieci comandamenti saremmo già perfetti. Cosa c’è di più che osservarli? E no. Il Signore dice che c’è qualcosa di più. C’è un amore più grande che siamo chiamati a gustare e a cui tendere, con tutte le nostre forze. E’ l’amore di Dio e del prossimo, vissuto non da soli però, ma in una comunità. Quando Gesù dice avrai una casa nuova, dei fratelli nuovi, una casa nuova, si riferisce alla comunità cristiana che lui ha voluto come una grande famiglia. Gli apostoli dicevano abbiamo rinunciato alla nostra famiglia e non ne abbiamo più. Gesù dice ve ne do un’altra, molto più forte: quella della comunità che io voglio costituire come segno della salvezza e dell’amore di Dio verso tutti gli uomini. E così è nata la comunità cristiana, con la forza dello Spirito Santo. Una casa per tutti. Una comunità aperta, come dice oggi papa Francesco». Mons. Cesare Nosiglia ha detto: «Una comunità che non si chiude in se stessa. Una comunità che esce, che porta a tutti il bene che ha ricevuto dal Signore. Una comunità che non è autoreferenziale, che non guarda solo al suo orticello, ma invece si apre a una dimensione di rete, verso tutte le altre comunità del territorio. Che si apre verso tutte le persone, anche a quelle che non frequentano la Chiesa, ma che hanno necessità di ricevere un aiuto, un sostegno, una misericordia, una accoglienza. Pensiamo alle famiglie in modo particolare, in questo momento abbiamo il sinodo sulla famiglia. Quanto papa Francesco è venuto a Torino ha detto che la comunità cristiana che vive nel territorio deve avere una tenerezza particolare verso le famiglie. Deve essere per ogni famiglia come una carezza di Dio. Anche per quelle che sono in difficoltà morale e spirituale. Ogni famiglia deve poter trovare nella Chiesa la sua casa, con misericordia, con accoglienza, con spirito profondo di amore».

Cambiano_CesareNosiglia2015ott10aAncora l’arcivescovo ha aggiunto una serie di indicazioni per le comunità cristiane: «Cioè questo vuol dire che le nostre parrocchie devono superare una certa visione così chiusa dentro cerchi ristretti di consenso, ma devono diventare invece famiglie aperte, per tutti. Parrocchie che devono aiutare ogni famiglia a diventare Chiesa. Perché ogni famiglia che diventa Chiesa in cui si celebra il sacrificio del Signore nell’amore dei coniugi e dei figli diventa a sua volta capace di aiutare la Chiesa a diventare famiglia. Perché finché la Chiesa non diventa una famiglia resta solo una agenzia di servizi religiosi. E poi allora ci lamentiamo se non abbiamo i servizi religiosi: ma se non c’è una famiglia cosa sono i servizi religiosi? Deve essere una famiglia che ti dà i servizi religiosi, come è la famiglia che ti dà le cose di cui hai bisogno. Una famiglia in cui si è cementati dall’amore, dalla fraternità, dall’incontro di comunione vicendevole. Le famiglie sono quindi una realtà delle più importanti che devono essere non sono viste come oggetto di cura, ma devono diventare i soggetti che aiutano la parrocchia, la comunità cristiana, a diventare appunto una famiglia aperta, verso tutti, e soprattutto verso i poveri e i sofferenti. Perché quando in famiglia c’è una persona che sta male, tutti i membri si danno da fare per sostenere questa persona, anziano o giovane. Si fa questo perché si ha un senso profondo di condivisione. Così deve essere nella parrocchia per i bambini, i ragazzi, nuove generazioni, come per gli anziani che sono soli. Così deve essere anche per quelli che sono in difficoltà: i poveri, che devono essere privilegiati nella pastorale parrocchiale».

L’arcivescovo ha continuato: «E chi è allora che in parrocchia porta avanti tutto questo, se non tutti coloro che ne fanno parte? Certo c’è il pastore. Ecco, oggi c’è il nuovo pastore, don Giuseppe, che ha una esperienza molto bella e molto forte, ed è anche giovane. E poi abbiamo il viceparroco, don Riccardo. Una settimana fa non era neanche prete. Adesso è prete, da una settimana, giovane ed entusiasta. A inizio del ministero, io mi ricordo, si è molto entusiasti, carichi di grande impegno e determinazione. Qui a Cambiano avremo anche un diacono. Un diacono è importante, riceve il sacramento dell’ordine, può certamente mettersi a disposizione della comunità per tanti aspetti. E poi nella comunità ci siete voi laici. E’ la comunità che deve diventare soggetto fondamentale dell’azione missionaria e pastorale cui ci richiama papa Francesco. Una comunità dove nessuno è passivo. Dobbiamo realizzare un progetto grande: la comunità popolo di Dio».

Cambiano_CesareNosiglia2015ott10fMons. Cesare Nosiglia ha aggiunto: «La comunità è popolo di Dio. E nel popolo di Dio ciascun battezzato deve assumere le sue responsabilità. Non possiamo parlare solo di partecipazione e collaborazione. Certo, c’è chi partecipa alla vita della comunità e chi sta ai margini – e questi ultimi vanno cointeressati. C’è chi partecipa alla messa, ai sacramenti, alle tante attività che la parrocchia fa. E’ una cosa bella, è importante, ma non è sufficiente. Non è neanche sufficiente dire “Io collaboro, canto nel coro, faccio il catechismo, faccio la Caritas… Benissimo, importantissimo che ci siano tante persone che fanno questi servizi nella comunità cristiana. Però bisogna diventare corresponsabili. Questa è la parola chiave. La comunità, tutti i membri della comunità sono chiamati a sentirsi corresponsabili. Non possiamo più pensare alla parrocchia solo pensando al parroco. Dove il parroco fa tutto e tutti devono ruotare attorno al parroco. In futuro avremo sempre meno preti. In comunità tutti devono sentirsi partecipi. Tutti possono e devono dare qualcosa e non solo ricevere. Quando io nella visita pastorale vado a trovare i malati, a casa, dico sempre loro “Ma voi siete protagonisti attivi nella vita della nostra parrocchia”. Loro dicono che non possono più venire in chiesa o che vedono la messa in televisione. Mi dicono che pregano. Se uno prega tutto il giorno è una persona che dà un contributo essenziale alla vita della propria comunità. Lo dà in modo preciso perché Gesù ci ha salvato non quando abbracciava i bambini o quando predicava. Ci ha salvato quando aveva le mani inchiodate sulla croce e non poteva neanche salutare. Quando era in piena sofferenza, nel compimento del suo ministero di amore. Così anche gli anziani che nella comunità sono decisivi e fondamentali perché portano, nella loro perseveranza, nei loro valori, nella loro preghiera, nella loro testimonianza, un contributo decisivo per mantenere solida la tradizione e la storia di questa comunità».

«Certamente voi famiglie siete l’ossatura portante della comunità e guai se venite meno – ha detto l’arcivescovo di Torino –. La parrocchia farà tante cose, ma senza questo clima famigliare la parrocchia diventa solo una agenzia di servizi religiosi. Voi giovani siete in prima fila. Io sono contento per i giovani: don Beppe ha un amore tutto particolare, un’attenzione veramente grande per voi giovani. Io mi auguro che qui troverai tanti giovani. Io mi auguro che possa veramente dare una scossa salutare a voi giovani. Non importa essere tanti. L’importante è sentirsi partecipi e corresponsabili nella vita della comunità. Voi giovani dovere darci speranza. Dovete farci guardare il futuro con rinnovato spirito di grande determinazione. E invece noi, tante volte, stiamo a cincischiare in tante cose che a volte sembrano così decisive per la vita della Chiesa, quando non lo sono affatto. Voi giovani potete dare un colpo d’ala per la vostra comunità, insieme al vostro parroco, al vostro viceparroco. Insieme a tutti coloro che credono nel futuro della Chiesa. Mettetevi in gioco, fortemente. Voi avete gli occhi rivolti verso il futuro. E io vorrei vedere il futuro di questa comunità nei vostri occhi, nei vostri cuori, nei vostri impegni, nella vostra responsabilità». L’arcivescovo ha aggiunto: «E voi ragazzi, volete solo ricevere? Ma no: voi ragazzi siete i prediletti di Gesù. E allora dovete sentirvi anche voi attivi. In che modo i ragazzi e i bambini possono essere attivi in una comunità e non solo ricevere, ma dare? In che modo i ragazzi e i bambini possono essere attivi? Ad esempio frequentando bene il catechismo, la messa, crescendo in oratorio, essendo amici tra di voi, portando gioia e speranza nelle vostre famiglie, tra i genitori e i nonni. I bambini – disse Gesù – sono coloro che ci insegnano a vivere la vita cristiana. Impariamo dai bambini la semplicità della vita cristiana. Noi adulti abbiamo tanti problemi che ci costruiamo, tanto che diventiamo fortezze, quasi inespugnabili. Invece i bambini sono schietti e immediati. E Gesù ci dice “Se non vi farete come bambini non entrerete nel regno dei cieli”. Se ci faremo come bambini allora la comunità crescerà. Crescerà immediatamente, in maniera grande e forte. In maniera precisa».

Cambiano_CesareNosiglia2015ott10cAncora dall’arcivescovo di Torino è arrivato questo messaggio chiaro: «Non possiamo seguire la regola “Si è sempre fatto così”. Questa è una regola che uccide la vita cristiana. Uccide il futuro della Chiesa. Non è più possibile nella società di oggi avere una regola del genere. Dobbiamo cambiare. C’è qualcosa di più dei comandamenti. Ci sono traguardi maggiori da raggiungere. Ma, da soli, non ce la faremo mai. Dobbiamo camminare tutti insieme. Occorre unire le forze. Abbiamo un mondo che cerca di parcellizzare tutto, in cui tutti cercano il proprio tornaconto, il proprio io. Occorre anche seguire un noi. Non è corretto fare in modo che la nostra parrocchia, il nostro gruppo, diventi il tutto della Chiesa. Occorre invece guardare alla Chiesa nella sua universalità. Occorre aprirci agli altri, portare avanti un discorso sul territorio che sia incisivo sulla missionarietà e non solo sulla conservazione dell’esistente. Come dice papa Francesco occorre “Uscire fuori”. Papa Giovanni Paolo II quando andava in visita nelle parrocchie di Roma diceva loro: “Parrocchia trova te stessa uscendo fuori da te stessa”. Diceva loro di non concentrarsi solo dentro se stesse perché altrimenti muoiono la fede, la forza e la speranza cristiana. Se non si esce la luce che il Signore ci ha dato diventa sempre più debole e flebile. E la prima uscita da fare è collegarsi con le parrocchie vicine. Da sola la parrocchia non può più camminare. Un’altra cosa da fare sono le iniziative rivolte anche alle persone che stanno ai margini delle nostre parrocchie. E poi occorre avere questa grande forza che viene dallo Spirito. E’ lo Spirito che guida la Chiesa: non siamo noi vescovi, né voi fedeli. Dobbiamo essere certi che sotto l’azione potente dello Spirito niente potrà mai distruggere il nostro impegno di costruire una Chiesa viva. Perché lo Spirito è il protagonista della vita della Chiesa. Lo Spirito è il soffio che ci indica la via della speranza. Non dobbiamo mai abbatterci di fronte alle difficoltà. Occorre cercare di avere coraggio e di prendere il più possibile dalle nostre forze, ma sapendo che lo Spirito scrive in grande quello che noi scriviamo in piccolo. Questa è la consegna e la speranza che sento nel cuore per tutti voi. Mi auguro che questo sacerdote e il viceparroco, non da soli, insieme a tutti voi laici, possano fare tantissimo. Così la comunità crescerà e diventerà una parrocchia di speranza per tutto il paese».

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Audio integrale dell’omelia:

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