Torino, l’omelia dell’arcivescovo al cimitero monumentale

Torino – 2 novembre 2015 – Oggi pomeriggio, alle 15,30, l’Arcivescovo mons. Cesare Nosiglia ha presieduto la messa al cimitero monumentale, in suffragio dei fedeli defunti.

tomba_torinoDi seguito il testo dell’omelia.

«Chi spera nel Signore non resta deluso».

La parola del salmo ci conforta e ci dona in questo giorno in cui commemoriamo i nostri cari tanta consolazione e speranza. “Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse: questi è il Signore in cui abbiamo sperato: rallegriamoci ed esultiamo per la sua salvezza”.

Una salvezza certa e sicura perché il nostro Dio non è il Dio dei morti ma dei viventi, come ci rivela pienamente la risurrezione di Gesù nostro Signore. Egli ci ha amato donando la sua vita per noi e continua ad amarci assicurandoci che dove è lui nella gloria del Padre suo, saremo anche noi suoi amici e discepoli. Questa è la speranza che deve diradare ogni dubbio che pure a volte alberga dentro di noi circa la sorte dei nostri cari dopo la morte. Se Cristo non fosse risorto noi saremo i più illusi di tutti gli uomini e vana sarebbe la nostra preghiera e la nostra fede, e nulla la nostra speranza. Ma se Cristo è risorto, come noi crediamo fermamente, allora anche noi risorgeremo e saremo sempre con lui dove i nostri cari ci hanno preceduto e ci attendono per vivere nella gioia della Comunione con Dio e tra noi per sempre. Questa fede nella risurrezione ci sostiene e nutre la vita anche nel momento della prova e della sofferenza e diventa via di consolazione non virtuale ma concreta, fonte di serenità interiore e di profonda riconoscenza.

Essa è fondata non solo sul desiderio pure forte nel nostro cuore di poter un giorno incontrare i nostri cari, ma nella fede che accoglie come vera e certa la Parola che Gesù ci detto nel Vangelo. Egli verrà nella sua gloria per giudicare tutti gli uomini: “Venite benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il Regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo”. Oppure: “Via lontano da me maledetti nel fuoco eterno preparato per il diavolo e i suoi angeli”.

La discriminante del giudizio tra gli uni e gli altri sta nella fede e nella carità esercitata tra coloro che lo hanno accolto e riconosciuto nei loro fratelli e sorelle più bisognose e sofferenti, nel corpo o nello spirito, in famiglia, come nella società e coloro che non lo hanno accolto perché hanno non amato gli altri ma solo se stessi, ricercando solo i propri tornaconti e interessi, la propria felicità a scapito anche degli altri, i propri beni materiali e una vita dedita a soddisfare ogni passione e desiderio anche perverso e opposto ai comandamenti di Dio. Il Signore è misericordioso e sa che siamo deboli ed è sempre pronto al perdono delle nostre colpe, ma sarà anche a suo tempo giusto perché ciascuno raccolga quanto ha seminato nella sua vita terrena: chi semina il male riceverà male e chi semina il bene riceverà bene. La giornata di oggi ci dà anche modo di vivere con sofferenza, ma con tanta gioia nel cuore, la memoria dei nostri cari e di quanto ci hanno donato. Così come facciamo sempre verso Gesù di cui ricordiamo gesti e parole e soprattutto facciamo memoria della sua morte e risurrezione. Il testamento che Gesù ci ha lasciato come dono, prima di tornare al Padre, è racchiuso nel suo comando: fate questo in memoria di me, con cui la Chiesa sigilla il rito dell’Eucaristia memoriale della passione, morte e risurrezione del Signore.

Facciamo memoria di Gesù non solo perché ne ricordiamo le parole e i gesti, ma perché ne accogliamo nella fede la sua viva presenza di Vivente risorto nell’Eucaristia; e insieme a Lui facciamo memoria anche di Maria, dei santi e dei defunti perché li sappiamo Viventi con Cristo e dunque vicini e nostri intercessori presso Dio. Fare memoria è dunque importante per la nostra fede e lo è anche in riferimento ai defunti. Oggi ricordiamo tutto ciò che essi ci hanno insegnato, custodiamo i loro esempi che diventano un patrimonio prezioso a cui possiamo attingere per orientare i nostri comportamenti e le nostre scelte di vita. Ciò che ci hanno dato infatti deve restare imperituro nel cuore e suscitare riconoscenza verso chi ci ha dato la vita o ha condiviso con noi parte della nostra esistenza terrena. La memoria deve poi tradursi in impegno nel presente per percorrere con gioia e fedeltà la loro stessa strada di fedeltà al vangelo, di servizio ai poveri, di sacrificio nel lavoro, di amore nella famiglia e di impegno nei diversi ambiti del loro vissuto anche familiare e comunitario.

L’evoluzione dei costumi sociali registra un profondo mutamento nel modo di vivere l’esperienza della morte e il ricordo dei nostri cari. Da una parte si muore sempre più soli: lo sbriciolamento dei legami primari di parentela e affetto, unito all’aumento dell’età media della vita, fa sì che si muoia sempre meno in casa, circondati dalle persone care, e sempre più soli, in ospedale o in una casa di riposo. L’indebolimento delle tradizioni, unito ad un approccio tecnico-scientifico alla salute e alla morte, fa sì che si deleghi sempre di più alle istituzioni specializzate (l’ospedale, le agenzie di pompe funebri) compiti e servizi che un tempo facevano parte del modo con cui i familiari accompagnavano la morte dei propri cari. Tale processo di privatizzazione e di rimozione della morte è accentuato nelle grandi città come la nostra, dove si tende ad occultare il più fretta possibile i segni della sepoltura e del lutto. L’affacciarsi di nuove tipologie di pratiche funerarie, come la dispersione delle ceneri e la custodia dell’urna in luoghi privati, favoriscono tale tendenza, che sempre più di rado si confronta con le regole e lo stile della tradizione ecclesiale.

Per contrastare questa deriva individualistica e spesso anche commerciale manteniamo fermi alcune dimensioni fondamentali del trapasso e del ricordo dei defunti che sono: anzitutto la memoria familiare nella propria casa mediante la consegna del ricordo di chi ci ha preceduto, alle nuove generazioni.

Queste sono giornate dunque in cui diventa importante che consegniamo alle nuove generazioni il valore del ricordo di chi ci ha insegnato a camminare su questa via nelle nostre case, perché si consolidi in loro la testimonianza della nostra fede nella risurrezione e il dovere di saper dire grazie, che deve accompagnare la loro crescita e il loro futuro.

In questo modo faremo comprendere ai ragazzi e ai giovani che il mondo e la vita non partono da loro, ma sono doni gratuiti che hanno ricevuto dai loro padri e nonni in una consegna di valore che va trasmessa e rinnovata di generazione in generazione, di cui diventano anche loro depositari e custodi.

Assistiamo oggi alla separatezza tra giovani e adulti; e c’è un crescente divario tra loro che impedisce di operare insieme per il comune futuro di famiglia e di società. Il Papa a Torino ha detto con chiarezza che è necessario promuovere un patto educativo e sociale tra le generazioni per ricuperare la fiducia reciproca e riattivare quella solidarietà che ha rappresentato per tante famiglie il volano di un vero progresso umano ricco di valori umani, religiosi e sociali positivi, che non vanno perduti.

Ai nostri giovani e ragazzi, che amano la vita e che la vedono spesso chiusa alle loro speranze future di lavoro, di famiglia, di riconoscimento delle loro esigenze spirituali e di responsabilità sociali, o devastata da messaggi che li portano a cercare esperienze devianti e prive di valori di onestà, verità e coerenza morale, testimoniati dai loro educatori, diciamo di non temere perché anche i loro padri e nonni hanno passato momenti difficili e addirittura più tragici dei loro e hanno saputo reagire e lottare per quel mondo nuovo che oggi i giovani si ritrovano. I loro esempi di costanza nella prova, di vigore cementato dalla fede e dell’amore alla propria famiglia vanno dunque ricordati e valorizzati per incoraggiarli a lottare per la vita sempre e comunque, ad amare e sperare sempre e comunque, perché l’amore di Dio unito al nostro, alla fine risulterà vittorioso.

Un altro modo per tenere viva la memoria dei nostri cari è quella tradizione così feconda di grazie e di consolazione che è la celebrazione della santa Messa nell’anniversario della loro morte, momento familiare intimo e profondo che esprime la volontà di non dimenticare ma anche di mantenere forte il desiderio e la certezza dell’incontro che avremo con loro nella vita eterna.

Infine la visita al cimitero, luogo della memoria e della comunione dei vivi non solo con i propri defunti ma con tutti quelli che formano, uniti dalla stessa fede la Chiesa pellegrina sulla terra con la Chiesa che vive già la pienezza della gloria nel cielo. La visita al cimitero è invece molto positiva perché ci fa sentire solidali nel dolore ma anche nella speranza con tanti nostri amici e persone che con noi si ritrovano in questo luogo per pregare, ricordare, confermare la fede nella risurrezione e l’ amore verso i propri cari e alimentare così quella speranza che sola può dare senso e forza anche al vivere quotidiano e alle sue fatiche e pene

Il pellegrinaggio al Cimitero ha anche un grande valore per tutta la comunità religiosa e civile: al di là delle differenze infatti che esistono tra le persone, ci scopriamo uniti perché animati dalla stessa speranza e volontà di accogliere il patrimonio di testimonianza e di fede di coloro che ci hanno preceduto e amato.

Queste tre dimensioni sono beni decisivi che cementano la comunione e ci invitano a vivere anche ogni giorno solidali nel condividere lo stesso cammino della vita, le gioie e i dolori gli uni degli altri sapendo che alla fine quello che conta più di tutto è la ricerca di un senso dell’esistenza che per chi crede sta nella fede e nella preghiera, e per tutti è comunque l’amore che sa donarsi e che nemmeno la morte riesce a spezzare.

+Cesare Nosiglia
Arcivescovo di Torino»

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Fonte e immagine: http://www.diocesi.torino.it

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