Mons. Cesare Nosiglia sulla disabilità

Torino – 6 dicembre 2015 – Di seguito, l’intervento dell’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, al convegno sulla disabilità, di ieri, sabato 5 dicembre, al Centro congressi Santo Voto.

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Intervento dell’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia,

al convegno sulla disabilità

(Torino, Santo Volto, 5 dicembre 2015, pronunciato alle ore 12)

Cari amici, ogni volta che incontro un gruppo di disabili li ringrazio per quello che sono e per la ricchezza immensa di umanità e di doni che esprimono nella loro vita; ringrazio e ammiro la forza e il coraggio dei loro cari, dei volontari e degli operatori che stanno loro accanto e da cui ricevono tanto, ma a cui donano anche tanto, più di quello che ricevono. Perché queste persone valgono agli occhi di Dio e di tutti più di ogni altra cosa al mondo, perché solo accanto a loro possiamo sperimentare cos’è l’amore vero, sincero e ci sentiamo piccoli e poveri. Basta un loro sorriso, una stretta di mano forte, uno sguardo, un movimento anche impercettibile del volto per farci comprendere che si è stabilita con noi una relazione profonda e vera.

Tutto questo però non ci basta e non gli basta. C’è bisogno che all’amore e alla solidarietà si accompagni anche la piena valorizzazione della persona disabile, venendo incontro alle giuste esigenze e richieste della sua condizione e riconoscendone la dignità di persona soggetto di diritti inalienabili e non eludibili da nessuno, tanto meno dalla società e dalle istituzioni. È dunque una questione di giustizia, prima che di carità o di assistenzialismo. La nostra voce di Chiesa e di uomini e donne di buona volontà deve levarsi alta e forte in ogni sede e situazione per rivendicare questi diritti di ogni persona disabile e quelli della loro famiglia. Niente è più importante di questo, che segna la discriminante tra la via del dono di se stessi, che conduce a dare anche la vita per i fratelli, e invece la via egoistica e individualistica, propria di tanti messaggi edulcorati e paternalistici della nostra società, che parlano dei poveri, malati e disabili senza averne mai visto uno in faccia.

C’è poi un aspetto che attiene alla giustizia e che va scemando sempre più nella società. Il progressivo decurtamento delle risorse, anche finanziarie, per tutto il settore del cosiddetto “stato sociale” rischia di aggravare sempre più la già difficile condizione di vita di tante persone in necessità. Non è vero che mancano le risorse: si tratta di saperle orientare e razionalizzare meglio, con minori sprechi e minori dispersioni clientelistiche, per dare le risposte mirate a chi ne ha veramente bisogno.

Occorre dunque lavorare insieme, da parte di quanti credono in questo principio base della solidarietà, e adoperarsi con tutte le nostre risorse per far sì che i problemi dei disabili e di ogni altra persona che si trova in situazioni di difficoltà siano accolti e gestiti come prioritari nell’ambito delle scelte economiche, politiche e sociali che coinvolgono tutta la comunità ecclesiale e civile del nostro territorio. Penso al superamento delle barriere architettoniche da parte delle parrocchie e degli uffici di pubblico servizio, delle scuole e di ogni altra realtà dove le persone si incontrano; al diritto allo studio e al lavoro; a spazi e luoghi per il tempo libero; al diritto all’assistenza domiciliare e all’accoglienza protetta in strutture familiari a misura umana e personalizzate secondo i bisogni di ciascuno; al diritto all’accompagnamento e all’aiuto fattivo alle famiglie; al problema del “dopo di noi”, come si usa dire, che angustia tante di loro; e, non ultimo, al diritto di conoscere e incontrare Dio mediante la catechesi, la preghiera, la celebrazione dei sacramenti nelle parrocchie e gruppi.

Questi e molti altri sono gli ambiti concreti e fattivi di un impegno che coinvolge le istituzioni, i servizi sociali, l’intera società e la comunità ecclesiale. Quando prestavo servizio all’Ufficio catechistico nazionale, avevamo avviato un intenso lavoro di sensibilizzazione nelle parrocchie per favorire la catechesi e gli itinerari pre-sacramentali, oltre alla possibilità di celebrarli in chiesa o anche in casa, qualora fosse necessario, senza troppe remore e condizioni speciali, ma con semplicità, sottolineando che i santi segni sacramentali, sopratutto della Cresima ed Eucaristia, sono un diritto primario anche di questi nostri fratelli e sorelle in qualsiasi condizione di mente e di fisico versino. Mi sorprende che, mentre nelle scuole trovo diversi ragazzi e giovani disabili, nelle parrocchie – al catechismo, ad esempio – o all’oratorio o in chiesa ne trovo pochissimi.

Un obiettivo che dobbiamo perseguire insieme è anche quello di far avvicinare i giovani al mondo dei disabili, come volontari, e far sperimentare loro che qui sta il segreto della vera gioia della vita, quello che forse molti cercano invano nell’abbraccio di illusori paradisi artificiali, ricchi di sensazioni forti, ma che in realtà lasciano poi vuoti, soli, tristi e annoiati, alla continua ricerca di un “di più” di amore e di speranza, che non si troverà mai in queste esperienze… Non sarà il rumore assordante della musica a tutto volume o l’uso delle droghe o del sesso a buon mercato e avulso da ogni norma etica a dare la vera felicità che cercano. Bisogna promuovere occasioni perché i giovani  stiano con altri coetanei o non coetanei disabili, investano il tempo con loro e con chiunque è povero o emarginato, perché allora troveranno il senso vero della vita, sperimenteranno fino in fondo il gusto di sentirsi vivi e utili a qualcuno.

Vorrei ora scendere nel concreto a dire una parola sulle prospettive di impegno che le comunità cristiane possono e debbono assumersi in questo ambito. Guardando la comunità cristiana in rapporto alle famiglie che hanno persone disabili, credo che un primo passo da compiere sia quello di aiutare queste famiglie a superare l’isolamento e la chiusura in se stesse che a volte caratterizza la loro vita. Penso alla liturgia della domenica, ai momenti di incontro e di festa della comunità dove, mi pare, spesso la presenza di persone disabili intellettive o fisiche sia tollerata, più che accolta con gioia e valorizzata. La famiglia sente che attorno a sé non c’è quell’accoglienza veramente umana e fraterna che si aspetterebbe; c’è invece commiserazione e rispetto per la sua situazione, ma non affetto sincero e coinvolgente. Non generalizzo ovviamente, ma credo che questo sia il primo passo da compiere: aprire le nostre comunità ad un’accoglienza meno formale e più sentita e diretta verso queste famiglie ed i loro cari.

Le nostre comunità devono sentire ed accogliere il grido, a volte inespresso, di tante famiglie con figli o membri disabili, che soffrono in silenzio e magari per dignità non chiedono aiuto o sostegno, anche se ne hanno bisogno. Accogliere significa fare spazio nella comunità a queste famiglie e ai loro cari, aiutarle a gestire normalmente, per quanto è possibile, la loro situazione.

Una via è certamente quella di favorire il sorgere di gruppi di famiglie che hanno congiunti disabili – ne trovo diverse di queste esperienze –, ma anche famiglie che sostengano quelle con una persona disabile. Una rete di famiglie che vivano concretamente la loro solidarietà ed esprimano con l’amicizia la loro vicinanza in modo permanente e non solo occasionale. Questo è anche essenziale per il cosiddetto “dopo di noi”, il tempo in  cui il disabile potrà restare solo, privo di quelle persone care, come sono i genitori o congiunti, che lo hanno assistito con amore.

La gente non è insensibile, ma spesso non va oltre la tolleranza. «Se lo tenga a casa quel ragazzo o quel figlio o parente disabile; perché lo porta in  chiesa  a disturbare o al parco giochi?». Così tante famiglie si chiudono nel loro privato quasi vergognandosi della situazione di disagio che un loro congiunto disabile potrebbe arrecare agli altri con i suoi comportamenti. Si tollera la presenza di persone disabili, le si commisera, ma devono stare fuori da una normale convivenza sociale, al loro posto: meno si fanno vedere, meglio è! La vita vera deve continuare a scorrere accanto a loro, non con loro, non rendendoli presenti e protagonisti di una realtà che non li riguarda.

Ogni persona è un dono di per se stessa; ogni disabile, ogni persona sofferente o che vive qualche difficoltà, va considerata in sé come un unicum, un individuo che merita la massima attenzione e disponibilità, per rispondere ai suoi specifici bisogni ed attese. Ogni persona vale più del mondo intero: «Che vale infatti guadagnare tutto il mondo, se perdi anche uno solo dei tuoi fratelli?» (cfr. Mc 8,36).

La preoccupazione, oggi, di tanti genitori riguarda in particolare il mantenimento della qualità dei servizi, che via via vengono a gravare economicamente sempre più sulle famiglie; l’assicurazione di strutture per il “dopo di noi”; la possibilità di organizzare il tempo libero dei figli e quello del fine settimana. Ascoltare, accompagnare, accogliere, tenendo conto dei ritmi di vita e di lavoro delle famiglie che soffrono queste situazioni, significa anche attivare sinergie tra varie realtà, che coinvolgano attivamente gli stessi soggetti interessati e le comunità civili e religiose del territorio. Rinnovo, pertanto, oggi il mio invito affinché si faccia in questo senso uno sforzo unanime tra tutte le componenti interessate della società, a cominciare dalle istituzioni pubbliche e dalle nostre parrocchie, dimodoché le famiglie, che soffrono di queste fatiche, siano alleviate, sostenute e messe in grado di assicurare ai loro cari quell’assistenza e qualità di vita degne della persona umana, in qualsiasi situazione si trovi.

Alle comunità cristiane e alle parrocchie in particolare richiamo l’esigenza di non limitarsi ad un pur importante assistenzialismo caritativo, ma di perseguire vie di vera integrazione ed inserimento dei disabili nella vita della comunità e della società. Chiedo di togliere le barriere architettoniche dove ancora permangono; invito i parroci a rendersi disponibili a preparare e a celebrare i sacramenti dell’iniziazione cristiana dei ragazzi diversamente abili non con cammini separati, ma inserendo nei gruppi di adolescenti e di giovani i disabili della comunità senza remore e rifiuti; chiedo anche che in città di Torino, ma anche in altri grandi centri urbani, ci sia la possibilità che per i sordi si celebrino Sante Messe con la presenza di un interprete, che permetta a questi nostri fratelli e sorelle di ascoltare e seguire la celebrazione, l’omelia e le preghiere della comunità. Infine, chiedo di avviare reti di solidarietà e di vicinanza alle famiglie che soffrono situazioni, anche gravi, a causa di persone disabili o malate presenti in casa. La visita assidua in queste famiglie da parte dei sacerdoti, dei diaconi e dei catechisti rappresenta un concreto segno di condivisione e solidarietà.

L’azione delle comunità cristiane con le famiglie aventi persone diversamente abili va oltre quanto detto, per arrivare ad un coinvolgimento relativo ai loro problemi di giustizia e di salvaguardia e promozione dei diritti di queste persone. Quando parliamo di “stato sociale” non intendiamo solo richiamare l’impegno ad attivare una serie di servizi, quasi si trattasse di una benigna concessione da parte dello Stato verso i cittadini più svantaggiati e bisognosi di cure, ma intendiamo affermare la dignità di ogni persona quale soggetto di diritti fondamentali, come quelli alla salute e alla qualità della vita, all’accoglienza e alla valorizzazione di ogni risorsa personale per il bene comune. Questo bene comune nasce dal bene-agire e dal bene-essere di tutti. Se ci fosse anche solo una persona che non usufruisce di questo bene-essere, allora la società non sarebbe né giusta, né pacifica. Sappiamo bene che su questa terra non ci sarà mai la perfezione, ma è indubbio che grazie all’impegno di tante persone possiamo oggi contare su una rete di sostegno capillare e forte sul nostro territorio. Penso all’ampio e diffuso volontariato, alle numerose case famiglia, alle cooperative sociali, alle associazioni e strutture di accoglienza, ai servizi offerti a tante persone in grave sofferenza o necessità. Si tratta di realtà indispensabili per aiutare le famiglie – spesso promosse dalle famiglie stesse – che si trovano a dover gestire qualche congiunto disabile o in grave sofferenza.

Tale silenzioso esercito di giustizia e di pace rischia oggi di essere indebolito e anche smantellato, a causa di indirizzi economici che accentuano la spinta al consumo individuale e diminuiscono le risorse per una politica sociale più incisiva da parte dei servizi sociali e da parte di tanti organismi, cooperative, associazioni e realtà operanti in modo permanente con le persone e garanti di un sostegno e di un rapporto individualizzato giorno dopo giorno.

Ringrazio sentitamente quanti operano in queste strutture e associazioni di base, chiamate ad aiutare le famiglie, come operatori specializzati e come volontari e mi auguro che non manchi loro un costante ricambio di personale, grazie all’apporto dei giovani, che possono trovare in questo servizio la piena realizzazione di se stessi e della loro sete di felicità e di amore. Stare con i fratelli e sorelle disabili, infatti, e donare loro se stessi nel servizio umano, spirituale e sociale di cui hanno bisogno, non è solo un dare, ma un ricevere molto di più, che arricchisce la propria vita di valori non sperimentabili altrove e fa provare la gioia più vera e profonda del cuore.

Termino con un grazie al gruppo diocesano sulla disabilità, che si è costituito in questi mesi e che mi auguro possa crescere nella sua attiva presenza e servizio nella nostra Diocesi, avviando anche un sistematico rapporto con altri uffici diocesani come quello della salute, della pastorale familiare e giovanile, della catechesi e della scuola. Solo facendo rete sarà possibile fare in modo che la presenza della persona disabile sia rispettata e valorizzata in ogni ambito ordinario della pastorale e non confinata in uno specifico, anche attrezzato ma pur sempre circoscritto e marginale nella comunità.

Grazie e facciamo tesoro di quanto è emerso nell’incontro odierno.

+Cesare Nosiglia
Arcivescovo di Torino

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Fonte: Arcidiocesi di Torino –  Curia Metropolitana

www.diocesi.torino.it

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Scarica la locandina: locandina convegno pastorale disabilita 2015-1

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