Torino, conferenza stampa dell’arcivescovo mons.Cesare Nosiglia, per la presentazione della “lettera alla città”

Santena – 21 giugno 2016 – Di seguito l’intervento integrale dell’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, per la presentazione della lettera alla città, “Mio fratello abita qui”, avvenuta stamani, al Circolo della Stampa.

 MioFratelloAbitaQui_cover

 

Mio fratello è qui

Un anno fa – come oggi – Papa Francesco era con noi, sulle strade della nostra città. Per me, per la Chiesa di Torino – ma credo per tutta la città e il suo territorio – quei due giorni rimangono veramente indimenticabili. Sapevamo che Francesco porta con sé la forza di coinvolgere le persone, di trascinarle nel suo abbraccio. Ma quella a Torino era la sua prima visita in una grande città italiana e pensavamo ci fosse da scontare una certa indifferenza… Invece, il risultato l’avete visto, è stato sotto gli occhi di tutto il mondo!

Francesco ci ha lasciato, nella sua visita, non solo momenti di grande intensità, ma anche insegnamenti molto precisi, richiami, inviti ad avere coraggio, a superare la crisi, che non è solo economica. Lungo questo anno io ho voluto che la Chiesa torinese si impegnasse a dare continuità alle parole del Papa, che ci ha incoraggiato, soprattutto, a costruire insieme il cammino di rilancio. Per questo, a un anno dalla visita del Papa, ho deciso di raccogliere nel messaggio alla Città che tradizionalmente il vescovo propone per la festa patronale di San Giovanni Battista, il cuore vivo del messaggio del Papa, il centro del suo invito: cercare di essere, davvero, fratelli. Non solo concittadini, non solo persone impegnate in un progetto comune, ma fratelli.

Fratelli è molto di più, presuppone un legame davvero profondo e gratuito, come cerco di spiegare nella Lettera. Ho voluto, anche, presentare questo testo non alla Facoltà Teologica o in Curia, ma apposta in una sede “laica” e prestigiosa, come è questa del Circolo della Stampa, perché le mie parole si rivolgono a tutti, non solo ai credenti. Ringrazio dunque di cuore i dirigenti del Circolo che hanno acconsentito ad ospitarci per questa occasione.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Essere fratelli significa non accontentarsi dell’uguaglianza dei diritti e dei doveri che abbiamo come cittadini, ma saper riconoscere in ogni persona la dignità che gli è propria e che viene a ciascuno di noi dalla condizione umana, dall’essere vivi qui e ora. Capite allora che, nel riconoscere la dignità di ogni persona, si aprono discorsi impegnativi non solo di rispetto reciproco, ma anche di scelte per la città. Penso, per fare un solo esempio, al discorso sulle periferie, urbanistiche come esistenziali. Si è fatto molto, in questa direzione, ma è doveroso richiamarci alla prospettiva autentica: quando diciamo di “promuovere” le periferie, non possiamo pensare con una mentalità assistenziale, col buonismo della beneficenza. Si tratta invece di essere capaci di riconoscere le potenzialità e i valori che ci sono nelle persone e nei territori anche più lontani dagli scintillii del “centro”. Negli incontri a cui partecipo in tutta la diocesi mi accorgo di quanta forza, di quanto entusiasmo ci siano, tra i giovani e non solo, in ambienti che non arrivano mai agli onori della cronaca. Mi accorgo di quante storie positive di fraternità, di solidarietà, si creano e vengono vissute anche nelle nostre periferie.

È vero, però, che questi processi non si inventano, non crescono come funghi. Ecco perché torno a chiedere, anche in questa lettera, un impegno speciale, delle istituzioni come di tutte le agenzie sociali, per la formazione di giovani e adulti, per il patto fra le generazioni in vista di un nuovo welfare basato non solo sul benessere economico ma, appunto, su una nuova condizione esistenziale.

Per mettere a fuoco con più esattezza questo richiamo alla fraternità abbiamo individuato tre grandi aree in cui intervenire: sono quelle della famiglia, dei giovani, dei poveri. Per ciascuna di queste aree la Lettera non fa una “cronaca dell’emergenza”: ci sono cifre, storie, statistiche che i giornalisti, come gli amministratori pubblici, conoscono benissimo. Ma voglio invece sottolineare il “filo rosso della fraternità” che lega queste realtà di vita. La famiglia è il punto di riferimento naturale di ogni società e di ogni cultura nel nostro territorio; è l’ambito in cui si sviluppa, nella dimensione del gratuito, l’educazione alla fraternità. Eppure, la famiglia non fa mai notizia. Si preferisce guardare a certe situazioni eccezionali piuttosto che aiutarci reciprocamente a riflettere sull’ordinario, sulla vita quotidiana di tantissime famiglie che è fatta, nella nostra Torino di oggi, anche di difficoltà economiche ed educative, di impegno culturale per un’educazione alla socialità che, con i bambini, i ragazzi e i giovani, subisce la fortissima concorrenza della Rete. La famiglia, ancora, è l’ambiente cui vorremmo si riferissero le attenzioni, anche politiche, al mondo degli anziani.

L’attenzione che chiedo alla città circa il mondo giovanile è strettamente collegata. Spesso sentiamo come difficile il rapporto fra giovani e adulti, viviamo immersi in culture che appaiono diverse e distanti. Il grande lavoro svolto con l’Agorà del Sociale, insieme con istituzioni, sindacati, imprese, cooperative ci ha fatto capire, invece, quanto sia importante ricostruire i ponti fra le generazioni, soprattutto in una città come la nostra che oggi è chiamata a disegnare gli anni futuri. È proprio questo sforzo di “fare le cose insieme, di pensare insieme” il fondamento della fraternità che cerchiamo e a cui io invito la città intera.

I poveri, intesi nella loro accezione ampia, vanno dalle famiglie e singoli che hanno perso il lavoro e/o magari sono sotto sfratto incolpevole, ai senza dimora, ai giovani in cerca di una occupazione, agli immigrati e rifugiati, agli anziani malati e disabili… Vengono per ultimi, nel mio discorso, perché sono la dimensione più importante. Lo voglio dire con chiarezza: non illudiamoci del nostro benessere, non culliamoci nelle nostre sicurezze. Se non siamo capaci di tenere nel nostro orizzonte i poveri, di ricordarci delle difficoltà che tanti cittadini, tanti fratelli e sorelle, affrontano ogni giorno, non c’è successo per nessuno, i nostri progetti non potranno riuscire. Don Milani, con i suoi ragazzi di Barbiana, lo diceva così: «Il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne da soli è l’avarizia, sortirne insieme è la politica». Ma prima ancora il Signore Gesù ci ha insegnato che l’attenzione, il servizio che dedichiamo ai poveri, è la misura stessa della riuscita della nostra vita.

Nella Lettera segnalo il rischio, sempre presente, di una città che ingloba territori molto diversi tra di loro, territori che non sono circoscritti alle classiche periferie geografiche, ma che attraversano gli ambienti e le condizioni di vita delle persone e famiglie, che pure vivono accanto nello stesso quartiere e circoscrizione. Pensare a una città omogenea non è mai stato possibile e nemmeno è auspicabile, purché le differenze non si tramutino in indifferenza o, peggio, in estraneità e rifiuto. È dunque necessario reagire e trovare vie di convergenza non solo sul piano delle infrastrutture o di eventi cittadini promossi al centro, ma impegnandosi insieme sulla via della formazione etica e civica di ciascuno con l’apporto corresponsabile di tutte le componenti religiose, sociali, politiche, economiche e culturali di cui è ricca la città. A questo “serve” la fraternità: a cementare insieme quest’unità non solo di intenti, ma di realizzazioni concrete e necessarie, di cui tutti e ciascuno si assume per sua parte la responsabilità. Allora, la risposta torinese alla domanda di Dio: «Dov’è tuo fratello?», sarà sicuramente diversa da quella che diede Caino («Sono forse io il custode di mio fratello Abele?»).

Cesare Nosiglia
Arcivescovo di Torino

**

Audio integrale mons. Cesare Nosiglia:

**

www.rossosantena.it

Twitter @rossosantena