Saluto e intervento dell’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia nel convegno: “Il limite non limita”

Torino – 3 dicembre 2016 – Di seguito l’intervento dell’arcivescovo di Torino cesare Nosiglia al convegno di oggi, a Torino, al Centro congressi Santo Volto.

 

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Di seguito, il saluto e l’intervento dell’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia nel convegno:

“Il limite che non limita”

Torino, Centro Congressi Santo Volto, 3 dicembre 2016,
Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità,

«Cari amici,

1-ogni volta che incontro un gruppo di disabili li ringrazio per quello che sono e per la ricchezza immensa di umanità e di dono che esprimono nella loro vita; ringrazio e ammiro la forza e il coraggio dei loro cari, dei volontari e degli operatori che stanno loro accanto e da cui ricevono tanto, ma a cui donano anche tanto, più di quello che ricevono. Perché queste persone valgono agli occhi di Dio e di tutti, più di ogni altra cosa al mondo, perché solo accanto a loro possiamo sperimentare cos’è l’amore vero, sincero e ci sentiamo piccoli e poveri. Basta un loro sorriso, una stretta di mano forte, uno sguardo, un movimento anche impercettibile del volto per farci comprendere che si è stabilita tra noi una relazione profonda e vera.
Tutto questo però non ci basta e non vi basta. C’è bisogno che all’amore e alla solidarietà si accompagni anche la piena valorizzazione delle persone disabili venendo incontro alle giuste esigenze e richieste della loro condizione e riconoscendone la dignità di persona soggetto di diritti inalienabili e non eludibili da nessuno tanto meno dalla società e dalle istituzioni. È dunque una questione di giustizia prima che di carità o di assistenzialismo. La nostra voce di Chiesa e di uomini e donne di buona volontà deve alzarsi alta e forte in ogni sede e situazione per rivendicare i diritti inalienabili e propri di ogni persona disabile e quelli delle loro famiglie. Niente è più importante di questo che segna la discriminante tra la via del dono di se stessi, che conduce a dare anche la vita per i fratelli, e quella egoistica e individualistica, propria di tanti messaggi edulcorati e paternalistici della nostra società che parlano dei poveri, malati e disabili, senza averne mai visto uno in faccia.

2-Occorre dunque lavorare insieme a quanti credono in questo principio base della solidarietà e adoperarsi con tutte le nostre risorse per far sì che i problemi dei disabili e di ogni altra persona che si trova in situazioni di difficoltà siano accolti e gestiti come prioritari nell’ambito delle scelte economiche, politiche e sociali che coinvolgono tutta la comunità ecclesiale e civile del nostro territorio. Penso al superamento delle barriere architettoniche da parte delle parrocchie e degli uffici di servizi pubblici, delle scuole e di ogni altra realtà dove le persone si incontrano; al diritto allo studio e al lavoro; a spazi e luoghi per il tempo libero; al diritto alla assistenza domiciliare e all’accoglienza protetta in strutture familiari a misura umana e personalizzate secondo i bisogni di ciascuno; al diritto all’accompagnamento e all’aiuto fattivo alle famiglie; al problema del dopo di noi, come si usa dire, che angustia tante di loro; e non da ultimo il diritto alla conoscere e incontrare Dio mediante la catechesi, la preghiera e la celebrazione dei sacramenti nelle nostre parrocchie e gruppi. Questi e molti altri sono gli ambiti concreti e fattivi di un impegno che coinvolge le istituzioni, i servizi sociali, l’intera società e la comunità ecclesiale. Un problema particolarmente urgente è quello dei minori e la scuola, quella statale e quella paritaria. Qualche segnale di maggiore impegno da parte dello Stato in questo ambito si sta notando ma resta ancora molto da fare per garantire a tutti i ragazzi e giovani disabili la concreta possibilità di una poter studiare e comunque avere quella giusta accoglienza nelle scuole di ogni ordine e grado, comprese quella professionali e universitarie, senza troppe restrizioni e secondo la loro specifica situazione.
Il progressivo decurtamento delle risorse, anche finanziarie, per tutto il settore del cosiddetto “stato sociale” rischia di aggravare sempre più la già difficile condizione di vita di tante persone in  necessità. Non è vero che mancano le risorse, si tratta di saperle orientare e razionalizzare meglio con minori sprechi e minori dispersioni clientelistiche per dare le risposte mirate a chi ne ha veramente bisogno. Un obiettivo che dobbiamo perseguire insieme è quello di far avvicinare i giovani al mondo dei disabili, come volontari e far sperimentare loro che qui sta il segreto della vera gioia della vita, quello che forse molti cercano invano nell’abbraccio di illusori paradisi artificiali ricchi di sensazioni forti, ma che in realtà vi lasciano poi vuoti, soli, tristi e annoiati, alla continua ricerca di un di più di amore e di speranza, che non troverete mai in queste esperienze.. Non sarà il rumore assordante della musica a tutto volume o l’uso delle droghe o del sesso a buon mercato e avulso da ogni norma etica a dare la vera felicità che cercano. Bisogna promuovere occasioni perché i giovani stiano con altri coetanei o non disabili, investano il tempo con loro e con chiunque è povero o emarginato perché allora troveranno il senso vero della vita, sperimenteranno fino in fondo il gusto di sentirsi vivi e utili a qualcuno.

3-Vorrei ora scendere nel concreto a dire una parola sulle prospettive di impegno che le comunità cristiane possono e debbono assumersi in questo ambito. Guardando la comunità cristiana in rapporto alle famiglie che hanno persone disabili, credo che un primo passo da compiere sia quello di aiutare queste famiglie a superare l’isolamento e la chiusura in se stesse che a volte caratterizza la loro vita. Penso alla liturgia domenicale, alla catechesi, ai momenti di incontro e di festa della comunità dove, mi pare, spesso la presenza di persone con disabilità intellettive o fisiche sia tollerata più che accolta con gioia e valorizzata. La famiglia sente che attorno a sé non c’è quell’accoglienza veramente umana e fraterna che si aspetterebbe; c’è invece commiserazione e rispetto per la sua situazione, ma non affetto sincero e coinvolgente. Non generalizzo, ovviamente, ma credo che questo sia il primo passo da compiere: aprire le nostre comunità ad una accoglienza meno formale e più sentita e diretta verso queste famiglie ed i loro cari.
Racconta il Vangelo che Gesù cammina verso la casa di un capo della sinagoga di nome Giairo, che lo ha invitato ad andare a guarire la sua figlioletta malata (Mc 5,21-54). C’è tanta folla che si stringe attorno a lui e lo circonda. Una donna, che soffre da tanti anni di una disabilità grave, tenta di avvicinarsi a lui perché pensa: “Se riesco a toccare anche solo il suo mantello, sarò guarita”. E così avviene, Gesù si ferma e rivolto ai discepoli dice: “Chi mi ha toccato il mantello?”. Rispondono loro: “Signore, c’è un fiume di gente che ti tocca, che ti spinge e che ti circonda, come puoi chiederci chi ti ha toccato?”. Ma Gesù riprende: “No, c’è stato qualcuno che mi ha toccato in modo tutto speciale, diverso da tutti gli altri”. Allora la donna, tutta tremante, si getta ai suoi piedi e dice: “Io ti ho toccato, perché volevo guarire dal mio male e sono stata salvata”.
Il gesto di quella donna sa di irrazionalità, di superstizione, diremmo noi oggi, di ingenuità: come si può pensare di guarire toccando il mantello di un’altra persona, fosse pure un profeta? Gesù non la giudica minimamente, non valuta secondo i canoni della razionalità e dell’uomo sensato, diremmo noi, quel gesto. Sa ascoltare il cuore di quella donna, sa accoglierne le attese più profonde e le dice: “Va’ la tua fede ti ha salvata, sii guarita del tuo male”.
Gesù sa sentire il grido inespresso di aiuto di quella donna, si accorge che lei, a differenza dei tanti che lo toccano, lo fa per un motivo diverso. Gesù sa udire una parola e un linguaggio che va oltre quello delle parole e dei gesti di tutti, un metalinguaggio, si direbbe oggi, attraverso cui tante persone, anche oggi, interpellano noi senza che noi ce ne rendiamo conto, chiusi come siamo dentro i nostri schemi concettuali e di normale comunicazione, che ci impediscono di ascoltare veramente il linguaggio del cuore, il grido del bisogno profondo di chi soffre. Per Gesù quella persona diventa la più importante, il resto non conta più. A lei dedica tempo, gesti e parole e ne esalta la fede, più autentica di quella delle altre persone che lo seguono e che si mostrano distratte ed indifferenti.

4. Le nostre comunità devono sentire ed accogliere il grido, a volte inespresso, di tante famiglie che soffrono in silenzio e magari per dignità non chiedono aiuto o sostegno, anche se ne hanno bisogno. Accogliere significa fare spazio nella comunità a queste famiglie e ai loro cari, aiutarle a gestire normalmente, per quanto è possibile, la loro situazione.
Una via è certamente quella di favorire il sorgere di gruppi di famiglie, che sostengano quelle con una persona disabile. Una rete di famiglie che vivano concretamente la loro solidarietà ed esprimano con l’amicizia la loro vicinanza in modo permanente e non solo occasionale. Questo è anche essenziale per il “dopo di noi”, come si usa dire, per il tempo in  cui il disabile potrà restare solo, privo di quelle persone care, come sono i genitori, che lo hanno assistito con amore.
La gente non è insensibile, ma spesso non va oltre la tolleranza. “Se lo tenga a casa quel ragazzo o quel figlio o parente disabile; perché lo porta in chiesa a disturbare o al parco giochi?”. Così tante famiglie si chiudono nel loro privato quasi vergognandosi della situazione di disagio che un loro congiunto disabile potrebbe arrecare agli altri con i suoi comportamenti. Si tollera la presenza di persone disabili, le si commisera, ma devono stare fuori da una normale convivenza sociale, al loro posto: meno si fanno vedere, meglio è! La vita vera deve continuare a scorrere accanto a loro, non con loro, non rendendoli presenti e protagonisti di una realtà, che non li riguarda.
Ogni persona è un dono; ogni disabile, ogni persona sofferente o che vive qualche difficoltà, va considerata in se stessa come un unicum, un individuo che merita la massima attenzione e disponibilità per rispondere ai suoi specifici bisogni ed attese. Ogni persona vale più del mondo intero: “Che vale infatti guadagnare tutto il mondo, se perdi te stesso e se perdi anche uno solo dei tuoi fratelli?”.
La preoccupazione, oggi, di tanti genitori riguarda in particolare il mantenimento della qualità dei servizi, che via, via vengono a gravare economicamente sempre più sulle famiglie; l’assicurazione di strutture per il “dopo di noi”; la possibilità di organizzare il tempo libero dei figli e quello del fine settimana. Resta poi determinante l’assistenza domiciliare nei casi più difficili che per alcune disabilità abbisognano di accompagnamento e sostegno che affianchi il generoso e amorevole impegni della famiglia.
Ascoltare, accompagnare, accogliere, tenendo conto dei ritmi di vita e di lavoro delle famiglie che soffrono queste situazioni, significa anche attivare sinergie tra varie realtà, che coinvolgano attivamente gli stessi soggetti interessati e le comunità civili e religiose del territorio. Rinnovo, pertanto, oggi il mio invito affinché si faccia in questo senso uno sforzo unanime tra tutte le componenti interessate della società, a cominciare dalle Istituzioni pubbliche e dalla stessa Chiesa torinese, affinché le famiglie, che soffrono di queste fatiche, siano alleviate, sostenute e messe in grado di assicurare ai loro cari quell’assistenza e qualità di vita degne della persona umana in qualsiasi situazione si trovi.
Alle comunità cristiane e alle parrocchie in particolare richiamo l’esigenza di non limitarsi ad un pur importante assistenzialismo caritativo, ma di perseguire vie di vera integrazione ed inserimento dei disabili nella vita della comunità e della società. Chiedo di togliere le barriere architettoniche dove ancora permangono; invito i parroci a rendersi disponibili a preparare e a celebrare i sacramenti della iniziazione cristiana dei ragazzi diversamente abili non con cammini separati, ma inserendo nei gruppi di adolescenti e di giovani i disabili della comunità senza remore e rifiuti. Infine, chiedo di avviare reti di solidarietà e di vicinanza delle famiglie verso quelle che soffrono situazioni, anche gravi, a causa di persone disabili o malate presenti in casa. La visita assidua in queste famiglie da parte dei sacerdoti, dei diaconi e dei catechisti rappresenta un concreto segno di condivisione e solidarietà.

4. L’azione delle comunità cristiane con le famiglie aventi persone diversamente abili va oltre quanto detto per arrivare ad un coinvolgimento relativo ai loro problemi di giustizia e di salvaguardia e promozione dei diritti di queste persone. Quando parliamo di stato sociale non intendiamo solo richiamare l’impegno ad attivare una serie di servizi, quasi si trattasse di una benigna concessione da parte dello Stato verso i cittadini più svantaggiati e bisognosi di cure, ma intendiamo affermare la dignità di ogni persona come soggetto di diritti fondamentali, come quelli della salute e della qualità della vita, dell’accoglienza e della valorizzazione di ogni risorsa personale per il bene comune. Questo bene comune nasce dal bene-agire e dal bene-essere di tutti. Se ci fosse anche solo una persona che non usufruisce di questo bene-essere, allora la società non sarebbe né giusta né pacifica.
Sappiamo bene che su questa terra non ci sarà mai la perfezione, ma è indubbio che grazie all’impegno di tante persone possiamo oggi contare su una rete di sostegno capillare e forte nel nostro territorio. Penso al volontariato ampio e capillare, alle numerose case famiglia, alle cooperative sociali, alle associazioni e strutture di accoglienza, ai servizi offerti a tante persone in grave sofferenza o necessità. Si tratta di realtà indispensabili per aiutare le famiglie, spesso promosse dalle famiglie stesse, che si trovano a dover gestire qualche congiunto disabile o in grave sofferenza.
Questo silenzioso esercito di giustizia e di pace rischia oggi di essere indebolito e anche smantellato a causa di indirizzi economici che accentuano la spinta al consumo individuale e diminuiscono le risorse per una politica sociale più incisiva da parte dei servizi sociali e da parte di tanti organismi, cooperative, associazioni e realtà operanti in modo permanente con le persone e garanti di un sostegno e di un rapporto individualizzato giorno dopo giorno. I servizi sociali gestiti dalle istituzioni sono indispensabili sia per l’integrazione scolastica, sia per l’educazione e occupazione diurna, sia per esigenze residenziali e abitative, sia per l’integrazione lavorativa. Tuttavia non possiamo dimenticare il capillare lavoro che svolgono in questo campo le cooperative e le associazioni che assicurano una qualità umana e spirituale del servizio stesso e permettono di attivare attorno a  loro una rete di volontariato, che si affianca e diviene elemento indispensabile per promuovere nell’intera società una costante attenzione e cura verso i poveri e le persone in difficoltà. Una restrizione dei flussi finanziari a favore del disagio sociale e del sostegno dei servizi pubblici e delle altre realtà operanti rischia, oltre a privare i disabili di un sostegno anche personalizzato e ricco di umanità, di rendere sempre più difficoltosa la copertura effettiva dei reali bisogni di tutti i disabili ed aggrava la fatica delle famiglie costrette a supplire in prima persona a situazioni a volte molto pesanti e comunque bisognose di un permanente sostegno.

6-Ringrazio sentitamente quanti operano in queste strutture e associazioni di base, chiamate ad aiutare le famiglie, come operatori specializzati, come volontari e mi auguro che non manchi loro un costante ricambio di personale grazie all’apporto dei giovani, che possono trovare in questo servizio la piena realizzazione di se stessi e della loro sete di felicità e di amore. Stare con i fratelli e sorelle disabili, infatti, e donare loro se stessi nel servizio umano, spirituale e sociale di cui hanno bisogno, non è solo un dare, ma un ricevere molto di più, che arricchisce la propria vita di valori non usufruibili altrove e fa sperimentare la gioia più vera e profonda del cuore.

+Cesare Nosiglia
Arcivescovo di Torino»

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