Asparago a Torino. Puntata 113

SANTENA – 17 marzo 2018 – L’Asparago di Santena protagonista al Bocuse di Torino, in attesa della 85° Sagra di maggio. Un menù di festa di Casa Cavour. Torino: attenzione alle chiusure.  I Sindaci a Carmagnola concordano sul Distretto del Cibo, ma gli ostacoli sono tanti. Fare una lobby degli orticoltori professionisti e amatoriali per ricongiungere città e campagna.  W TERRA MADRE.

 

1) 10 aprile, l’Asparago al Bocuse d’Or Europe OFF 2018. Era ora. E’ giusto così. E’ il suo posto. Il Bocuse è un prestigioso cimento mondiale di cucina in cui l’Asparago di Camillo Cavour entra a pieno titolo. Il 10 aprile, al Circolo dei Lettori di Torino, si apre ufficialmente la Campagna 2018 a cura dell’Associazione Produttori Asparago di Santena e delle Terre del Pianalto, in collaborazione con l’Associazione Ristoratori Santenesi, la Pro-Loco Santena, l’Associazione Amici della Fondazione Camillo Cavour e la Città di Santena. Ai partecipanti sarà offerta la degustazione dei primi teneri germogli della stagione, preparati secondo le ricette tradizionali e innovative della cucina santenese. Il tutto dedicato alla due icone scomparse della novella cucina francese e italiana: Paul Bocuse e Gualtiero Marchesi.

2) Bollettino asparagi n° 1. Per ora bisogna pazientare. Aria fredda e pioggia tengono fermi sottoterra i germogli. In tutta l’area di produzione, in campo, non si segnalano avvistamenti. Alle casalinghe e ai casalinghi si consigliano calma e nervi saldi. A chi proprio non è capace di resistere consigliamo di prestare massima attenzione ai prezzi e soprattutto alla qualità e alla freschezza del prodotto. Nell’attesa dei primi asparagi, non può mancare il richiamo agli estimatori e intenditori affinché collaborino e vigilino per prevenire e smascherare tentativi di contraffazione. Vere e proprie odiose truffe e frodi che danneggiano i compratori, i produttori, i ristoratori e il sistema socio-economico.

 

3) Domenica, 24 maggio 1840. Castello Cavour di Santena. Siamo in piena stagione di asparagi. Cavour con i suoi amici è corso a Santena per un pranzo con un menù degno del Bocuse d’Or e Off. “ Soupe à la tortue; pieds de cochon à la Dute; petits patés à la russe; truite mateIotte normande; cotelettes à la Soubise; riz au Karcille; chapons au gros sel; paté de cailles à la financière; dindonneau au cresson, asper­ges, petits pois, plombière aux fraises, gelée au marasquin”. Da notare che mancano i vini. Probabilmente perché alla tavola di casa era normale ci fossero Nebbiolo di Grinzane Cavour, Freisa di Chieri e Barbera. (dai Diari di Camillo Cavour, a cura di Augusto Bogge)

 4) Fanta-geopolitica. La Città Metropolitana Torinese deve stare attenta agli interessi di Torino, ma anche a quelli della provincia rurale che la circonda. Provincia dinamica, laboriosa, indispensabile al capoluogo, dove la ripresa nel Chierese-Carmagnolese crea investimenti, lavoro e sviluppo in quello che è un vero e proprio Distretto del Cibo. Distretto che però ha bisogno del placet della Regione Piemonte in quanto ente competente. Torino deve stare in campana. A livello politico e istituzionale, sotto la spinta di interessi concreti, si profilano idee e iniziative che puntano a dar vita a nuove dimensioni territoriali e comunitarie che potrebbero mutilarla. C’è chi pensa di fare una nuova provincia formata da Alba, Bra e Carmagnola. Chi a una mitica provincia Alba-Asti, cui qualcuno aggiungerebbe anche il Chierese. Altri alla provincia Vercelli- Biella-Casale-Chivasso. Un’azione a tenaglia che porterebbe all’erosione, da quella che fu la mitica Provincia di Torino, di essenziali componenti territoriali, agricole e sociali. Uno tsunami che indebolirebbe il Torinese, rinchiudendolo in una dimensione asfittica, caratterizzata dalla deindustrializzazione, dalla mercantilizzazione e dalle loro conseguenze. Un terremoto che potrebbe portare a cascata anche al ridimensionamento della provincia di Cuneo e alla nascita di nuove province.

5) Santena, Orto di Torino. Santena è sempre stata terra aperta al mondo. Fin dai primi insediamenti etrusco-romani e poi al tempo della grande Chieri medievale e rinascimentale. La posizione geografica e logistica, fin dalla preistoria, ha fatto si che ci fossero immigrazione e emigrazione. Per questo Santena ha molte identità che la arricchiscono, rendendola terra di accoglienza. Una buona occasione per dimostrare l’interesse all’ospitalità è data da TERRA MADRE Salone del Gusto 2018. La specializzazione nella produzione di ortaggi di qualità ben si inserisce nel contesto della manifestazione più prestigiosa per la Città Metropolitana e per l’intero Piemonte.

 

6) Santena città di TERRA MADRE. Ospitare un delegato della rete di TERRA MADRE è un’occasione da non perdere. Una fonte di arricchimento culturale per la famiglia. Aprire le porte di casa al mondo offre la possibilità di conoscere persone, visioni ed esperienze che vengono da altrove, da altre terre. TERRA MADRE è la rete delle comunità del cibo che promuove, in tutto il mondo, una nuova agricoltura e una nuova gastronomia, fondate sulla tutela della biodiversità, il rispetto dell’ambiente e delle culture locali. Migliaia di delegati, provenienti da 160 Paesi, per cinque giorni, dal 20 al 24 settembre, daranno vita a Torino a un incontro mondiale unico nel suo genere. Aprire la casa all’ospitalità, sarà un’esperienza indimenticabile, un ricordo delle antiche tradizioni dei nostri antenati. (Per informazioni rivolgersi alla consigliera comunale Alessia Perrone <a.perrone@cert.comune.santena.to.it>.

7) La nuova aristocrazia contadina e nobiliare. Dopo Asti 1797 sappiamo perché i Morra si nascosero. Non sapremo mai, forse, a chi era rivolta la lettera che Andrea doveva lasciare nel confessionale della ex chiesa parrocchiale di San Martino. Di sicuro doveva passare per le mani di un sacerdote che la pensava come molti altri in quel periodo. Non sappiamo se era indirizzata a lui. O se lui era solo un tramite. Nel clero c’erano molti reazionari e conservatori, però tanti parteggiavano per progressisti e innovatori. Altri erano indifferenti. La Chiesa era in subbuglio, stretta tra il crescente nazionalismo e l’emersione dei diritti della persona. Idee forti provenienti dall’Europa e dall’America mettevano in crisi il tradizionalismo gerarchico. Sono tanti i preti che aderirono alla rivoluzione del Risorgimento italiano. Più di quanto si possa sospettare. Lo stesso succedeva tra i laici della nuova aristocrazia contadina, borghese e nobile.

I Morra ricompaiono nel fatidico 1819, l’anno in cui Camillino Cavour, dal Castello di Bellangero, vicino ad Asti,  scrive la lettera al papà. Da Cherasco, l’11 novembre, data di scadenza e rinnovo dei contratti agrari, la famiglia fa Sanmartino, cioè, trasloca, a La Morra. Quello era un periodo tranquillo per chi aveva tanto da lavorare. Il Re Vittorio Emanuele I, subentrato nel 1802 al fratello Carlo Emanuele IV, era rientrato a Torino. L’ambasciatore del Re di Francia, Luigi XVIII, risiedeva a Palazzo Alfieri di Sostegno in via Bogino, presso il quale si rifugiava spesso il Principe ereditario Carlo Alberto. L’Europa scaturita dal Congresso di Vienna manifestava i suoi tormenti post-napoleonici sospinti dalle nuove tecnologie e dalle scoperte scientifiche e da idee repubblicane.

A novembre, durante l’estate di Sanmartino, i lavori di campagna rallentavano. Il grano era seminato, la vendemmia era terminata, ci si dedicava agli altri molteplici lavori dei contadini e delle contadine.  L’11 novembre, la mattina presto, chi si trasferiva, caricava le masserizie sul carro, suo o preso in prestito, trainato dal cavallo, più spesso dalla mucca. I Morra stavano facendo un salto di qualità. Dalla schiavenza passavano alla mezzadria nella Cascina Manescotto, dell’Annunziata di La Morra. Una masseria splendida, sulla collina di fronte al Castello di Grinzane Cavour, affacciata sulla valle Talloria. A mezzadria significava dividere a metà, tra il proprietario e un coltivatore capofamiglia. Quest’ultimo era responsabile e garante del lavoro di tutti i suoi famigliari e degli eventuali giornalieri o stagionali. Un contratto le cui origini risalgono al basso medioevo, che ha finito di essere operativo solo nel 1974. Nella mezzadria la presenza di numerosa prole, in particolare di maschi, era fattore di vantaggio. I mezzadri, in determinate situazioni stavano meglio dei piccoli o medi proprietari, i particolari. In altre stavano peggio, molto dipendeva dalla fertilità della terra, dalla produttività dell’azienda, dalla fortuna, dalle avversità atmosferiche, dal mercato, dalle malattie, dai matrimoni,  dall’armonia famigliare, dalle relazioni con i proprietari, dagli animali da lavoro e da allevamento.

I Morra tra i mezzadri erano in posizione fortunata, perché i loro padroni facevano parte di una casta d’avanguardia. Naturale che anche i loro contadini facessero parte di un’elite infracategoriale. Elite nella quale al termine dei contratti si poteva restare oppure uscire. Lasciando Cherasco possedevano poco, Una mucca comprata a Carmagnola, da un tal Bosco, fattore dei Benso di Cavour di Santena. I Benso avevano fama di essere esperti in bestiame che allevavano nella cascina Nuova, adiacente al loro Castello. Oltre al atte e al letame la mucca serviva per tirare un carro con le masserizie. Quello con sopra la carrera del vino, la botte da 26 ettolitri, 52 brente da 50 litri  era tirato da un cavallo preso a prestito. Matteo allora era un gran brindor, scaricatore di vino, capace di non perdere una sola goccia. Il cantinaggio, gli aratri, i carretti, le carriole, le mucche, i due buoi, i due maiali erano dei nuovi padroni. Con loro portarono le zappe,  rastrelli, pale, due badili, falcetti, quattro ranze, martelli, pialle, coltelli, i piatti, le posate, i materassi, il comò degli sposi, le sedie, due catini di zinco, tre secchi e poca altra roba. In una gabbia chiusero 18 galline, In un’altra otto coniglie da stalla. Ai tacchini legarono le gambe. Tutto il caricamento avvenne sotto gli occhi vigili del vecchio proprietario.

Del trasloco erano ben contenti. La forza della mezzadria stava in questo emigrare da una proprietà all’altra. Una mobilità che favoriva l’assimilazione, lo scambio di conoscenze, la creazione di nuove relazioni sociali che spesso si traduceva in maggiori possibilità di successo. Per queste ragioni tra i mezzadri si trovavano spesso veri e propri innovatori che esportavano e importavano idee, pratiche, merci, attrezzi, prodotti innovativi nelle zone in cui si trasferivano. Questo esempio vale per le Langhe, il Monferrato e il Roero, per Santena e per buona parte della Pianura Padana. Il fenomeno nella cittadina del Pianalto è ben descritto ne “L’eredità immateriale” di Giovanni Levi, editrice Einaudi, 1985.

I proprietari del Manescotto erano Tancredi e Giulia di Barolo. Due santi, a pieno titolo inseriti tra i santi sociali piemontesi, il cui capostipite è San Giovanni Bosco. I Barolo erano i proprietari terrieri più ricchi del Piemonte. Lei francese della Vandea, lui torinese. Si erano conosciuti  a Parigi alla corte di Napoleone I. Dopo la sua caduta rientrarono a Torino, riallacciando solide relazioni con i Savoia, la loro corte e in particolare con il Principe ereditario Carlo Alberto. Nelle Langhe possedevano il castello di Barolo e tante terre circostanti. Terre di vigneti di Nebbiolo e di Barbera. I Barolo erano due innovatori. Dalle loro cantine prese avvio, insieme a Camillo Cavour e a Carlo Alberto e con gli enologi Francesco Staglieno, genovese e generale, e il francese Louis Oudard, il processo  culminato con la nascita del Barolo, l’oro nero della Langhe. Matteo, il primogenito figlio di Andrea e di Domenica, aveva ormai 19 anni, lavorava in casa e se c’era tempo andava a fare il giornaliero di nascosto, oggi diremmo in nero. La mezzadria obbligava tutti i famigliari a lavorare solo nella cascina. Dava una mano a Giovan Battista Aschiero, un piccolo particolare. L’occasione fece l’uomo ladro. Matteo nel 1821, sposò Maria, figlia di Giovan Battista. Erano giovani ma così era il costume tra i contadini che dovevano mettere su famiglia. Dal matrimonio nasceranno sette figli, quattro maschi e tre femmine. Non sappiamo se altri morirono bambini, anche se è molto probabile vista l’alta mortalità infantile di quei tempi.  ll primogenito maschio prenderà il nome del nonno paterno, il secondo quello del nonno materno. Giovanni diventerà il prosecutore della storia. Il 1821 da notare è l’anno della rivoluzione che vide Carlo Alberto protagonista di una scena vergognosa. Anche in quel caso ci furono morti ed esiliati. Tancredi di Barolo fu uno dei firmatari della Costituzione concessa da Carlo Alberto e precipitosamente ritirata, per le note vicende. Forse perché impegnati nel matrimonio stavolta i mezzadri non furono coinvolti nella avventura, tranne che per alcuni marginali risvolti.

Gino Anchisi
da Santena, la città di Camillo Cavour, 17 marzo 2018.

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