Omelia dell’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, alla santa messa del giorno di Pasqua 2018

TORINO – 1° aprile 2018 – Di seguito, l’omelia dell’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, alla santa messa del giorno di Pasqua, a Torino, in cattedrale, il 1° aprile 2018, inizio ore 10,30.

Immagine di archivio

«Non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risuscitare dai morti» (Gv 20,9). La Pasqua del Signore segna la storia del compimento delle antiche profezie, che avevano preannunciato gli eventi della Passione, morte e risurrezione di Cristo quale sigillo di verità e di speranza per tutta l’umanità peccatrice. Più volte nei racconti pasquali delle apparizioni di Gesù, egli svolge una catechesi sulla Bibbia, per svelare ai suoi apostoli, stupiti ed increduli, che quanto è accaduto era scritto e che in Lui si attua il “sì” di Dio a tutte le promesse ed attese del suo popolo e dell’umanità intera.
La Pasqua è l’annuncio di questo “sì” di Dio a quanto ogni uomo porta dentro il cuore: la ricerca di un senso della vita, che vada oltre le miserie e le sofferenze che affliggono l’esistenza di tanti e si apra alla fede in Colui che ha detto: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, non morirà in eterno» (Gv 11,25-26). Perciò, niente di ciò che è veramente umano è al di fuori di questa nuova umanità, che nasce dalla Pasqua e rivela il grande “sì” di Dio per ogni uomo e per ogni realtà della sua vita: la famiglia, il lavoro, la sofferenza, la società.
Una speranza umana profondissima, che la Pasqua accoglie e rilancia con forza, è quella di poter sperimentare l’amore nella sua pienezza di gioia e di relazione profonda con Dio e con le persone con cui ci si sente uniti da vincoli strettissimi di amicizia o di un progetto comune di vita, come accade per il Matrimonio nella famiglia e per la vocazione al presbiterato e alla vita consacrata. Cristo risorto ha vinto la morte con la forza dell’amore, che lo ha sorretto sino alla fine; un amore di perdono, di dono di sé e di gratuità. La speranza in lui è fonte perenne di questo amore, che egli ci offre e che, malgrado le difficoltà e carenze proprie della nostra debolezza umana, possiamo gustare e costruire giorno per giorno nelle nostre case. E anche quando sperimentiamo divisioni, incomprensioni, rotture che sembrano
insanabili, la Pasqua del Signore ci assicura che tutto può
ricominciare, perché nessun obiettivo è impossibile per chi crede in Cristo risorto.
Il lavoro, in questi tempi difficili, rappresenta un’altra forte speranza nella vita di tante persone e famiglie. Anche questo fa parte delle attese che la Pasqua aiuta a realizzare. Cristo, che ha lavorato con mani di uomo e ha sperimentato la fatica e la precarietà del LAVORO, saprà accogliere ed accompagnare con la forza della sua risurrezione il cammino per uscire dal tunnel in cui molti lavoratori oggi si trovano a vivere. Anche qui il “sì” di Dio all’uomo, mediante il suo Figlio, si fa vicino e dà vigore alla fiducia di superare le presenti difficoltà e di ritrovare coraggio ed intraprendenza grazie all’impegno personale e all’azione solidale degli altri.
Penso anche alle speranze che animano tanti GIOVANI, da un lato, e ANZIANI, dall’altro: due generazioni che oggi sono divaricate da valori, stili di vita, MODELLI DI RIFERIMENTO e spesso luoghi e momenti di incontro estranei gli uni agli altri. Questa è una delle più gravi iatture della nostra società. Come ben ci descrive il Vangelo di oggi, Giovanni, il giovane discepolo del Signore, corre veloce verso il sepolcro; Pietro, più avanti negli anni, va adagio. Ma entrambi guardano alla stessa meta, vedono il sepolcro vuoto e credono, perché sono uniti nella stessa esperienza del risorto. È questa la speranza della comunità cristiana del nostro tempo: quella di poter contare su giovani, adulti e anziani che camminano insieme verso il Signore: i giovani, con il loro entusiasmo, tracciano la strada del futuro e gli adulti e anziani confermano la fede in Cristo risorto, con la coerenza e perseveranza della loro vita, e diventano testimoni di speranza anche per la società divisa, collaborando insieme al suo vero progresso fondato sull’amore.
Infine, resta determinante nell’animo di ogni uomo la speranza di un mondo di giustizia e di pace per tutti; di rispetto e promozione della dignità di ogni persona, soprattutto dei PIU’ DEBOLI, ammalati e sofferenti, indifesi, discriminati ed emarginati. La Passione e risurrezione del Signore confermano che Dio è dalla parte di chi soffre e dona a tutti la certezza di poter contare sul suo aiuto, sulla forza del suo amore che giudica il male e lo vince, perché esso non è più forte del bene. La Pasqua del Signore ci rivela che l’ultima parola definitiva per l’uomo non è pronunciata dalla violenza, dal sopruso, dall’ingiustizia, dalla morte dell’innocente, ma dall’amore, dalla libertà e dalla vita.
Questa vittoria non è utopia o sogno irrealizzabile, ma concreta possibilità, fondata sulla fede: di essa, ogni cristiano e uomo di buona volontà è chiamato a farsi carico. L’impegno quotidiano per testimoniare il “sì” di Dio in Gesù Cristo risorto può dare il via ad un’umanità diversa, meno egoista e meno protesa al solo proprio tornaconto, sia personale che sociale, ma più solidale ed ospitale verso ogni persona. È la certezza che anima l’apostolo Paolo, quando afferma: «Tutto posso in colui che mi dà la forza» (Fil 4,13). Noi sappiamo bene che, senza Cristo, le speranze umane, pure belle ed importanti, si infrangono contro gli scogli del peccato e dell’egoismo e, da ultimo, su quello definitivo della morte.
Purtroppo, nel nostro mondo si diffonde sempre più una CULTURA DOMINANTE CHE ILLUDE L’UOMO, ASSICURANDOGLI di avere ormai in mano le chiavi del paradiso su questa terra: un futuro di benessere e di felicità, garantito dal progresso della SCIENZA, della tecnica, della medicina, della libertà assoluta del proprio io, non più condizionato da regole estrinseche; di un costante ed irreversibile sviluppo economico e sociale. Così, l’uomo contemporaneo coltiva l’illusione che il regno dell’uomo possa scalzare quello di Dio, considerato troppo lontano ed utopistico, da apparire irreale. In realtà, ogni giorno ci si rende conto che nessun regno terreno dura a lungo e si regge, senza Dio, e che ogni progresso dell’umanità, ogni speranza, se sono privi di riferimento a lui, conducono alla morte dell’uomo e a nuove, più pesanti schiavitù. Solo la grande speranza, quella veramente affidabile e definitiva, non soltanto per se stessi, ma per tutti, non soltanto per oggi o domani, ma per sempre, può rompere il cerchio dell’assolutezza, che regola le speranze umane e, di fatto, le vanifica. È la speranza che nasce dalla Pasqua del Signore e che si radica nel cuore e nella vita di coloro che credono in lui.
Dio è il fondamento di tale speranza. Non però un dio qualunque, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ama, in Gesù suo Figlio, ogni uomo e tutta l’umanità. Il suo regno non è immaginario e lontano, posto in un futuro che non arriverà mai, ma è certo, perché assicurato dalla presenza del suo Figlio risorto da morte, vincitore dell’ultimo nemico dell’uomo, il più invincibile: è il suo amore che ha vinto la morte ed è per ogni uomo la garanzia di poter essere vincitore insieme con lui; è la sua vita, che dà la pienezza della vita eterna; è la sua azione misteriosa, ma reale nel tempo e nelle vicende della storia, che la conduce verso la sua realizzazione, secondo il progetto di Dio.
Di questa speranza affidabile, noi credenti siamo testimoni ed annunciatori, chiamati a farcene carico nel tessuto concreto del vissuto di ogni giorno.
Cari fratelli e sorelle, a tutti confessiamo con le labbra, mentre crediamo con il cuore e testimoniamo con la carità, la bella preghiera della sequenza pasquale: «Cristo, mia speranza, è risorto. Sì, ne siamo certi, Cristo è davvero risorto. Tu, Re vittorioso, portaci la tua salvezza».

+ Cesare Nosiglia, Arcivescovo di Torino
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Fonte: Ufficio Comunicazioni Sociali Arcidiocesi di Torino

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