Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal 12 al 18 settembre 2010

Santena – 12 settembre 2010 – Alcune proposte di riflessione, per i giorni dal 12 al 18 settembre 2010, tratte dalla liturgia del giorno con commento tratto dall’omelia domenicale della comunità di Sant’Egidio.

Domenica 12 settembre 2010

Rallegratevi con me

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte». Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Lc 15,1-32

Tutti vengano e saranno accolti

Nel Vangelo di questa domenica appare prima un pastore che chiama i suoi amici e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta” (v. 6); poi una donna di casa che va dalle sue amiche e le invita: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto” (v. 9). E, infine, un padre che chiama i servi e dice loro: “Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita” (vv. 23-24). Sono tre modi per esprimere lo stesso stato d’animo: la gioia di Dio quando ritrova i suoi figli che si erano smarriti. Vorrei immaginare la gioia di Dio che esplode in ogni santa liturgia della domenica. Sì! Ogni domenica Dio ci ritrova e fa festa. E possiamo paragonare il Signore a quel padre della parabola che dall’alto della casa guarda verso le nostre strade e appena ci vede arrivare, come fece quel figlio che tornava, scende di corsa verso la porta per venirci incontro e abbracciarci. E in effetti la Santa liturgia si apre con l’abbraccio di Dio: è il momento del perdono. Subito siamo rivestiti della misericordia: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi” (v. 22). E possiamo intonare l’inno di lode, il gloria. E poi si apre il lungo colloquio con la Parola di Dio, interrotto dalla nostra lontananza. Viene quindi il banchetto eucaristico che, nutrendoci con il pane santo e il calice della salvezza, ci trasforma sino a renderci simili al Figlio prediletto. Si potrebbe dire che la domenica è tutta qui: la festa dell’abbraccio di Dio, la festa della grande misericordia. Una misericordia che è raro trovare nel mondo, dove tanto spesso si incontra l’assenza del perdono e, ancor più, dell’amore. Tra di noi è normale l’affermazione di se stessi, la rivendicazione dei propri diritti e l’insensibilità al perdono. I due figli della parabola, il minore e il maggiore, sono ambedue gretti ed egoisti. Verrebbe da dire: “Povero padre con quei due figli!”. Avevano tutto: il padre ricco e una casa grande; servi che li accudivano e possedimenti di cui godere. Avevano tutto, ma in comune. Preferirono la loro grettezza. “Padre – disse il figlio più giovane – dammi la parte del patrimonio che mi spetta” (v. 12). Davvero sciocco! Preferisce una parte al tutto. In quel giovane, come spesso in ognuno di noi, c’è il fastidio per quanto è comune; il fastidio di non essere padroni assoluti di se stessi e delle proprie cose. “Dammi quel che mi spetta!”. È un triste ritornello quotidiano. Il giovane si allontanò da casa e visse da dissoluto. Nel contesto evangelico il termine “dissoluto”, più che un comportamento immorale, significa una vita sciolta (dis-soluta) da ogni dipendenza, da quella del padre e della casa. Insomma vivere da dissoluto significa voler fare da sé, senza ascoltare nessuno e senza dipendere da nessuno. Insomma, vivere da solo, lontano dal padre. Ma, comportandosi così, quel giovane si ritrovò a fare il guardiano di porci. Ugualmente egoista fu il fratello maggiore. Non appena i servi gli riferirono il motivo della festa, si adirò contro il padre e non volle entrare. Rifiuta la festa e la misericordia; preferisce un capretto per lui e qualche amico al vitello grasso e alla tavola imbandita con il fratello e tutti gli altri. Sembra strano che non si lasci prendere da quella festa; ma così accade ogni volta che si vuole la festa solo per sé. Il Padre gli dice: “Tutto ciò che è mio è tuo” (v. 31). Ma quel figlio preferisce rimanere fuori, nervoso e triste; sembra incredibile, eppure è triste perché il padre ha organizzato una grande festa. Questi due figli non sono lontani da noi; convivono nel cuore di ciascuno di noi, accomunati dalla stessa voglia di avere tutto per sé. Esattamente il contrario di quello che desidera il Padre. Ma la voglia di possedere, di avere solo per sé, come il Vangelo ci mostra, conduce alla tristezza, e spesso anche alla rovina. Quel che però alla fine conta è la capacità di rientrare in se stessi, di accorgersi della tristezza della propria condizione, di rialzarsi e ritornare alla casa del Padre. È sufficiente solo ricordare queste parole evangeliche sulla misericordia di Dio che ci appare infinitamente più grande del nostro peccato. È proprio questo ricordo che ci dà la forza di rialzarci e riprendere il cammino verso il Signore. Troveremo non un giudice, ma un padre che viene incontro per abbracciarci. La domenica è il giorno benedetto per tornare. La santa liturgia ci viene incontro e sconfigge ogni nostra tristezza, ogni nostro peccato, ogni nostra chiusura. Lasciamoci prendere da questa festa e gustiamola. La domenica allarga il cuore, fa cadere i muri, fa aprire le porte della mente, fa vedere lontano verso il mondo, verso i poveri. La domenica è larga, come larga è la misericordia di Dio. La domenica è ricca, non gretta; è piena di sentimenti, più bella dei nostri istinti banali e scontati. La domenica è il giorno santo in cui Dio ci rende uomini e donne più felici. Un antico inno, composto dal santo vescovo Giovanni Crisostomo, cantava: “Se uno è amico di Dio, goda di questa festa bella e luminosa. Chi ha lavorato e chi non l’ha fatto, chi è nella pace e chi è nel dolore, chi si è smarrito e chi è stato a casa, chi è appesantito e chi è sollevato, tutti vengano e saranno accolti. La santa liturgia è festa, è perdono, è abbraccio di Dio per ognuno”. Così sia per noi oggi.

Comunità di Sant’Egidio

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Lunedì 13 settembre 2010

Di’ una parola e il mio servo sarà guarito

In quel tempo, Gesù, quando ebbe terminato di rivolgere tutte le sue parole al popolo che stava in ascolto, entrò in Cafàrnao. Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro, giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza: «Egli merita che tu gli conceda quello che chiede – dicevano -, perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga». Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Anch’io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: Va’!, ed egli va; e a un altro: Vieni!, ed egli viene; e al mio servo: Fa’ questo!, ed egli lo fa». All’udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito.

Lc 7,1-10

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Martedì 14 settembre 2010

Ha mandato il Figlio perché il mondo sia salvato

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

Gv 3,13-17

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Mercoledì 15 settembre 2010

Da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.

In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.

Gv 19,25-27

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Giovedì 16 settembre 2010

Sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato

In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!». Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!».

Lc 7,36-50

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Venerdi 17 settembre 2010

Andava predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio

In quel tempo, Gesù se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni.

Lc 8,1-3

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Sabato 18 settembre 2010

Dopo aver ascoltato la Parola la custodiscono e producono frutto

In quel tempo, poiché una grande folla si radunava e accorreva a lui gente da ogni città, Gesù disse con una parabola: «Il seminatore uscì a seminare il suo seme. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la mangiarono. Un’altra parte cadde sulla pietra e, appena germogliata, seccò per mancanza di umidità. Un’altra parte cadde in mezzo ai rovi e i rovi, cresciuti insieme con essa, la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono, germogliò e fruttò cento volte tanto». Detto questo, esclamò: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!». I suoi discepoli lo interrogavano sul significato della parabola. Ed egli disse: «A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo con parabole, affinché vedendo non vedano e ascoltando non comprendano. Il significato della parabola è questo: il seme è la parola di Dio. I semi caduti lungo la strada sono coloro che l’hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la Parola dal loro cuore, perché non avvenga che, credendo, siano salvati. Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, ricevono la Parola con gioia, ma non hanno radici; credono per un certo tempo, ma nel tempo della prova vengono meno. Quello caduto in mezzo ai rovi sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano soffocare da preoccupazioni, ricchezze e piaceri della vita e non giungono a maturazione. Quello sul terreno buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza.

Lc 8,4-15

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