Una pausa per lo spirito – settimana di preghiera per l’unità di cristiani

Santena – 16 gennaio 2011 – Di seguito, alcune proposte di riflessione per i giorni dal 16 al 25 gennaio, tratte dal sussidio della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani – www.prounione.urbe.it/att-act/i_sett-preg.html

Domenica 16 gennaio 2011

Insieme

Essi ascoltavano con assiduità l’insegnamento degli apostoli, vivevano insieme fraternamente, partecipavano alla Cena del Signore e pregavano insieme. Dio faceva molti miracoli e prodigi per mezzo degli apostoli: per questo ognuno era preso da timore. Tutti i credenti vivevano insieme e mettevano in comune tutto quello che possedevano. Vendevano le loro proprietà e i loro beni e distribuivano i soldi fra tutti, secondo le necessità di ciascuno. Ogni giorno, tutti insieme, frequentavano il tempio. Spezzavano il pane nelle loro case e mangiavano con gioia e semplicità di cuore. Lodavano Dio ed erano benvisti da tutta la gente. Di giorno in giorno il Signore aggiungeva alla comunità quelli che egli salvava.
Atti 2, 42-47

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Lunedì 17 gennaio 2011

La Chiesa in Gerusalemme, ieri, oggi, domani

Duemila anni fa i primi discepoli di Cristo riuniti a Gerusalemme, vissero l’esperienza dell’effusione dello Spirito Santo a Pentecoste, e furono uniti insieme come corpo di Cristo. In quell’evento i cristiani di ogni tempo e di ogni luogo riconoscono la propria origine come comunità di credenti, chiamati insieme a proclamare Gesù Cristo Signore e salvatore. Nonostante quella chiesa di Gerusalemme avesse dovuto affrontare delle difficoltà, sia interne che esterne, i suoi membri perseverarono in fedeltà e comunione, nello spezzare il pane e nella preghiera. Non è difficile vedere come la situazione dei primi cristiani nella Città Santa rispecchi quella della chiesa di Gerusalemme oggi. L’attuale comunità, infatti, rivive molte delle gioie e dei dolori della prima chiesa: ingiustizie e disuguaglianze, divisioni, ma anche fedele perseveranza e riconoscimento di una più vasta unità fra i cristiani. Le chiese di Gerusalemme oggi ci offrono una visione di che cosa significhi lottare per l’unità, malgrado grandi problemi. Esse ci mostrano che l’anelito all’unità può essere più che semplici parole, e, in realtà, può orientarci verso un futuro di impegno concreto in cui anticipiamo la Gerusalemme celeste. Ci vuole senso della realtà per realizzare questa idea. La responsabilità delle nostre divisioni resta nostra, esse sono il risultato delle nostre azioni. Quando preghiamo dobbiamo chiedere a Dio di cambiarci, di convertirci per lavorare attivamente per l’unità. Siamo disposti a pregare per l’unità, ma la sola preghiera non può sostituire l’azione concreta per l’unità. Non siamo forse noi stessi un impedimento all’azione dello Spirito Santo perché siamo noi l’ostacolo all’unità? Non è forse la nostra stessa bramosia che blocca l’unità?

La chiamata all’unità quest’anno giunge alle chiese di tutto il mondo da Gerusalemme, la chiesa madre. Memori delle proprie divisioni e dell’urgenza di fare di più per l’unità del corpo di Cristo, le chiese di Gerusalemme esortano tutti i cristiani a riscoprire i valori che tennero uniti i primi cristiani di Gerusalemme, quando essi rimasero fedeli all’insegnamento degli apostoli, alla comunione fraterna, allo spezzare il pane insieme e alla preghiera. Questa è la sfida che si pone innanzi a noi. I cristiani di Gerusalemme invitano i loro fratelli e le loro sorelle a rendere questa Settimana di preghiera un’occasione per un rinnovato impegno a lavorare per un ecumenismo genuino, fondato sull’esperienza della prima chiesa.

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Martedì 18 gennaio 2011

La chiesa di Gerusalemme

Io manderò il mio spirito su tutti gli uomini
Gioele 2,21b-22,3,1-2

Vi abita Dio
Salmo 46(45), 1-11

Quando venne il giorno della Pentecoste
Atti 2, 1-12

Lo Spirito della verità
Giovanni 14, 15-21

L’itinerario di questa Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani comincia a Gerusalemme il giorno di Pentecoste, all’inizio dell’itinerario della Chiesa stessa. Il tema di questa Settimana è tratto dalla pericope di Atti 2, 42: “Essi ascoltavano con assiduità l’insegnamento degli apostoli, vivevano insieme fraternamente, partecipavano alla Cena del Signore e pregavano insieme”, e si riferisce alla prima chiesa di Gerusalemme, nata il giorno di Pentecoste, quando il “Consolatore”, lo Spirito di verità discese sui primi credenti, come promesso da Dio attraverso il profeta Gioele, e dallo stesso Gesù la notte precedente alla sua passione e morte. Tutti coloro che vivono in continuità con il giorno di Pentecoste, vivono in continuità con l’antica chiesa di Gerusalemme, che era presieduta dall’apostolo Giacomo. Questa chiesa è la chiesa madre per tutti noi. Essa rappresenta l’immagine, o l’icona, dell’unità dei cristiani per la quale eleviamo la nostra preghiera durante questa nostra Settimana. Secondo l’antica tradizione orientale, la successione della Chiesa viene preservata dalla continuità con la prima comunità cristiana di Gerusalemme. La chiesa di Gerusalemme dei tempi degli apostoli è legata alla celeste Gerusalemme, che, dal canto suo, diviene l’icona di tutte le chiese cristiane. Il segno di continuità con la chiesa di Gerusalemme, per tutte le chiese, sta nel mantenere i “tratti” della prima comunità cristiana attraverso la fedeltà all'”insegnamento degli apostoli, la comunione, lo spezzare il pane e la preghiera”. L’attuale chiesa di Gerusalemme vive in continuità con la Chiesa apostolica di Gerusalemme, in modo particolare nella sua testimonianza alla verità, spesso resa a caro prezzo. La sua testimonianza al vangelo e la sua lotta contro la disuguaglianza e l’ingiustizia ci ricorda che la preghiera per l’unità dei cristiani non è separabile dalla preghiera per la pace e per la giustizia.

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Mercoledì 19 gennaio 2011

Molte membra in un solo corpo

Chiunque ha sete, venga a bere!
Isaia 55, 1-4

Egli è pronto a salvare chi l’ascolta
Salmo 85(84), 8-14

Siamo stati battezzati con lo stesso Spirito per formare un solo corpo
1 Corinzi 12-27

Io sono la vera vite
Giovanni 15, 1-13

La chiesa di Gerusalemme negli Atti degli Apostoli è il modello dell’unità cui aneliamo oggi; un’unità che, fin dal principio, è stata caratterizzata da una ricca diversità, e che, pertanto, ci ricorda che l’unità dei cristiani, e la preghiera per ottenerla, non possono essere uniformità. La chiesa di Gerusalemme è il modello o l’icona dell’unità nella diversità. La narrazione della Pentecoste negli Atti degli Apostoli evidenzia che a Gerusalemme, quel giorno, erano rappresentate tutte le lingue e le culture dell’antico mondo mediterraneo, e non solo; che le genti ascoltarono l’evangelo nelle loro diverse lingue e, per la predicazione dell’apostolo Pietro, si ritrovarono unite nel ravvedimento, nelle acque del battesimo e nell’effusione dello Spirito Santo. Come scriverà più tardi l’apostolo Paolo: “E tutti noi credenti, schiavi o liberi, di origine ebraica o pagana, siamo stati battezzati con lo stesso Spirito per formare un solo corpo, e tutti siamo stati dissetati dallo stesso Spirito” (1 Cor 12, 13).Non costituirono una comunità uniforme di gente, unita culturalmente e linguisticamente, che la pensa allo stesso modo, coloro che furono uniti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, ma una comunità riccamente diversificata, le cui differenze avrebbero potuto facilmente evolversi in controversie. Fu questo, per esempio, il caso fra gli ellenisti e gli ebrei cristiani, sulla negligenza nei confronti delle vedove greche, come narra l’evangelista Luca in Atti 6, 1. Eppure, la chiesa di Gerusalemme era unita in se stessa, ed era una col Signore risorto, che dice: “Io sono la vite. Voi siete i tralci. Se uno rimane unito a me e io a lui, egli produce molto frutto”. (Gv 15, 5). Una ricca diversità caratterizza, fino ad oggi, la chiesa a Gerusalemme e nel mondo, che può facilmente evolversi in controversia a Gerusalemme, accentuata dall’attuale clima politico ostile. Ma, come nella primitiva chiesa di Gerusalemme, i cristiani in Gerusalemme oggi ci ricordano che siamo molte membra in un solo corpo, un’unità nella diversità. Antiche tradizioni ci insegnano che la diversità e l’unità esisteranno anche nella Gerusalemme celeste. Ci ricordano che la differenza e la diversità non sono la stessa cosa che la divisione e la disunione, e che l’unità dei cristiani per la quale preghiamo preserva sempre la diversità.

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Giovedì 20 gennaio 2011

La fedeltà all’insegnamento degli apostoli ci unisce

Dice il Signore al suo popolo: “Ascoltatemi bene”
Isaia 51, 4-8

Lampada sui miei passi è la tua parola
Salmo 119(118), 105-112

Sono pronto ad annunziare il messaggio di Cristo
Romani 1, 15-17

Io ho rivelato loro chi sei
Giovanni 17, 6-19

La chiesa di Gerusalemme, come descritto negli Atti degli Apostoli, era unita nella sua fedeltà all’insegnamento degli apostoli, nonostante la grande diversità di lingua e cultura fra i suoi membri. L’insegnamento degli apostoli era la loro testimonianza alla vita, all’insegnamento, al ministero, alla morte e alla resurrezione del Signore Gesù. Il loro insegnamento era ciò che l’apostolo Paolo chiama semplicemente l’evangelo, l’insegnamento degli apostoli quale è esemplificato dalla predicazione dell’apostolo Pietro a Gerusalemme il giorno di Pentecoste, nel modo in cui cita il profeta Gioele, egli collega la Chiesa con la storia biblica del popolo di Dio, introducendoci a quella storia che ha inizio con la creazione stessa. Nonostante le divisioni, la parola di Dio ci raduna e ci unisce. L’insegnamento degli apostoli, la buona novella in tutta la sua interezza era il centro della unità nella diversità della prima chiesa di Gerusalemme. I cristiani in Gerusalemme ci ricordano oggi che non è soltanto l’insegnamento degli apostoli a tenere unita la chiesa primitiva, ma la fedeltà a quell’insegnamento. Tale fedeltà si riflette nell’apostolo Paolo laddove identifica il vangelo come “potenza di Dio per salvare” (Rm 1, 16). Il profeta Isaia ci ricorda che l’insegnamento di Dio è inseparabile dalla sua giustizia: “le mie sentenze saranno una luce per i popoli” (Is 51, 4). O, come prega il salmista, “Lampada sui miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino. (…) I tuoi ordini sono tutto il mio bene, la gioia del mio cuore senza fine” (Sal 119, 105.111).

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Venerdì 21 gennaio 2011

La condivisione come espressione di unità

Digiunare significa dividere il pane con chi ha fame
Isaia 58, 6-10

Abbi fiducia nel Signore e fa’ il bene
Salmo 37(36), 1-11

Tutto quello che avevano lo mettevano insieme
Atti 4, 32-37

Voi invece cercate prima il regno di Dio
Matteo 6, 25-34

Il segno della continuità con la Chiesa apostolica di Gerusalemme è la fedeltà all’insegnamento degli apostoli, la comunione, lo spezzare il pane e la preghiera. La chiesa di Gerusalemme oggi, ci ricorda però anche la conseguenza pratica di tale fedeltà, cioè la condivisione. Gli Atti degli Apostoli dicono semplicemente: “Tutti i credenti vivevano insieme e mettevano in comune tutto quello che possedevano. Vendevano le loro proprietà e i loro beni e distribuivano i soldi fra tutti, secondo le necessità di ciascuno” (At 2, 44-45). La lettura di oggi del libro degli Atti degli Apostoli collega tale condivisione radicale con la potenza apostolica della testimonianza della resurrezione del Signore Gesù, e una grande grazia era su tutti loro. Più tardi, i persecutori dei cristiani annotarono con una certa accuratezza “quanto essi si amassero reciprocamente”. Tale condivisione di risorse caratterizza la vita del popolo cristiano anche nell’odierna Gerusalemme. È il segno della loro continuità con i primi cristiani, e, di conseguenza, un segno e una sfida per tutte le chiese; collega la proclamazione del vangelo, la celebrazione dell’eucaristia, e la comunione all’interno della comunità cristiana con la radicale uguaglianza e la giustizia per tutti. Nella misura in cui tale condivisione è una testimonianza alla resurrezione del Signore Gesù, e segno della continuità con la Chiesa apostolica di Gerusalemme, è segno della nostra unione gli uni con gli altri. Esistono molti modi di condivisione. Vi è quello di condivisione radicale della Chiesa apostolica, dove nessuno veniva lasciato in situazione di indigenza. Vi è la condivisione reciproca dei pesi, delle lotte, del dolore e della soffrenza. Vi è la condivisione reciproca delle gioie e dei traguardi, delle benedizioni e delle guarigioni. Vi è la condivisione dei doni e delle prospettive proprie di ciascuna tradizione alle altre, anche nell’attuale condizione di separazione; vi è un ecumenico “scambio di doni”. Questa generosa condivisione è la conseguenza pratica della nostra fedeltà all’insegnamento degli apostoli e alla comunione; è la conseguenza della nostra preghiera per l’unità dei cristiani.

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Sabato 22 gennaio 2011

Spezzare il pane nella speranza

È il pane che il Signore vi ha dato da mangiare
Esodo 16, 13b-21a

Offrirò un sacrificio per ringraziarti
Salmo 116(115), 12-14.16-18

Fate questo in memoria di me
1 Corinzi 11, 17-18.23-26

Questo è il pane venuto dal cielo
Giovanni 6, 53-58

Dai tempi della prima chiesa di Gerusalemme e tuttora, lo spezzare il pane è stato il gesto fondamentale per i cristiani. Per i cristiani di Gerusalemme oggi, lo spezzare il pane parla da tempo immemore di amicizia, perdono e impegno verso l’altro. Questo gesto ci sprona a cercare insieme un’unità che possa parlare profeticamente in un mondo di divisioni. Questo mondo è quello in cui tutti noi, in modi diversi, siamo stati formati. Nello spezzare il pane i cristiani sono rimodellati nuovamente in vista di un messaggio profetico di speranza per tutta l’umanità. Anche noi oggi spezziamo il pane con “con gioia e semplicità di cuore” (At 2, 46) ma facciamo anche esperienza, ad ogni celebrazione eucaristica, del ricordo doloroso della nostra divisione. In questo quinto giorno della Settimana i cristiani di Gerusalemme si riuniscono nel cenacolo, il luogo dell’Ultima Cena del Signore, dove, anche se non celebrano l’eucaristia, essi spezzano il pane della speranza.

Apprendiamo questa speranza nei modi in cui Dio viene a noi, negli impervi modi della nostra scontentezza. L’Esodo riporta come Dio risponda alla mormorazione del popolo che ha liberato, provvedendo loro di ciò di cui necessitano, nulla di più e nulla di meno. La manna del deserto è un dono del Signore, che non può essere accumulato né pienamente compreso. È, come celebra il salmo, un momento che richiede solo il ringraziamento perché Dio ci ha “liberato dai legami della morte”(Sal 116, 16). L’apostolo Paolo attesta che lo spezzare il pane significa non solo celebrare l’eucaristia, ma essere un popolo eucaristico, diventare il corpo di Cristo nel mondo. Questa breve lettura si pone, nel suo contesto (1 Cor, 10-11) quale memento di come dovrebbe vivere la comunità cristiana: in comunione con Cristo, illustrando il comportamento corretto nella difficile realtà mondana, guidati dalla realtà della nostra vita in lui. Noi viviamo “in memoria” di lui. Quale popolo che spezza il pane, siamo popolo della vita eterna – vita in pienezza – come ci insegna la lettura dal vangelo di Giovanni. La nostra celebrazione dell’eucaristia ci sprona a riflettere come questo generoso dono di vita si esprima, giorno per giorno, nel modo in cui viviamo sia la speranza che le prove. Nonostante le sfide quotidiane dei cristiani a Gerusalemme, essi ci testimoniano come sia possibile rallegrarsi nella speranza.

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Domenica 23 gennaio 2011

Fortificati dalla preghiera

Sei tu che salvi, o Signore!
Giona 2, 1-10

Ti lodino i popoli, o Dio
Salmo 67(66), 1-7

Pregare per i re e per tutti quelli che hanno autorità
1 Timoteo 2, 1-8

Che il tuo regna venga, che la tua volontà si compia
Matteo 6, 5-15

Tra gli aspetti salienti della chiesa di Gerusalemme, insieme alla fedeltà all’insegnamento degli apostoli, alla comunione, allo spezzare il pane, troviamo la vita di preghiera, che si è dimostrata oggi come fonte necessaria del potere e della forza richieste ai cristiani a Gerusalemme, e ovunque.

La testimonianza dei cristiani in Gerusalemme oggi ci chiama ad un più profondo riconoscimento dei modi in cui affrontiamo le situazioni d’ingiustizia e disuguaglianza nei nostri contesti locali. In tutte queste situazioni è la preghiera che abilita i cristiani alla missione insieme. Nel caso di Giona, l’intensità della preghiera è riconfermata dalla spettacolare liberazione dal ventre del pesce. La sua preghiera viene dal profondo del cuore, poiché nasce dal suo pentimento per aver avuto la tentazione di sottrarsi alla volontà di Dio: egli ha disatteso la chiamata del Signore alla profezia ed è finito in un luogo senza speranza. Proprio qui Dio accoglie la sua preghiera attraverso la liberazione in vista della missione.

Il salmo ci invita a pregare che il volto di Dio brilli su di noi, non solo a nostro beneficio, ma per la diffusione della sua legge in tutte le nazioni sulla terra. La Chiesa apostolica ci rammenta anche che la preghiera è un elemento di forza e di potenza della missione e della profezia per il mondo. La lettera di Paolo a Timoteo ci istruisce su come pregare, soprattutto per quanti hanno il potere su questa terra, affinché si possa vivere insieme nella pace e nella dignità. Preghiamo per l’unità della nostra società, del nostro paese, e per l’unità di tutta l’umanità in Dio. La nostra preghiera per l’unità in Cristo raggiunge tutto il mondo. Questa vita dinamica della preghiera è radicata nell’insegnamento del Signore ai suoi discepoli. Nella nostra pericope del vangelo di Matteo leggiamo che la preghiera ha un potere segreto, che non viene dall’ostentarla o dall’esibirla, ma dal porsi umilmente davanti a Dio. L’insegnamento di Gesù è sintetizzato nella preghiera del Padre Nostro. Recitarla insieme ci costituisce quale popolo unito che segue la volontà del Padre, realizza la costruzione del suo regno su questa terra, e ci chiama ad una vita di perdono e riconciliazione.

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Lunedì 24 gennaio 2011

Vivere nella fede della resurrezione

Chiamerai le tue mura: “Salvezza”, le tue porte: “Gloria al Signore”
Isaia 60,1-3.18-22

Sono sfuggito alla morte: ora vivrò
Salmo 118(117), 1.5-17

Per mezzo del battesimo ci ha uniti alla sua morte, (…) così anche noi vivessimo una nuova vita.
Romani 6, 3-11

Gesù disse: “Non abbiate paura”
Matteo 28, 1-10

La fedeltà dei primi cristiani all’insegnamento degli apostoli, alla comunione, allo spezzare il pane e alle preghiere fu realizzata, soprattutto, dalla potenza vivente di Gesù risorto. Questa potenza tuttora vive e anche i cristiani di Gerusalemme oggi ne sono testimoni. Qualsiasi siano le difficoltà della situazione in cui si trovano, per quanto somigli al Getsemani e al Golgota, essi sono consapevoli, nella fede, che tutto è reso nuovo dalla verità della resurrezione di Gesù dai morti. La luce e la speranza della resurrezione cambia tutto. Come profetizza Isaia, è la trasformazione dall’oscurità alla luce; è l’illuminazione per tutti i popoli. La potenza della resurrezione si irradia da Gerusalemme, luogo della passione del Signore, e attira tutte le nazioni con la sua luce. Questa è la nuova vita, in cui il male viene sconfitto e una nuova certezza si trova nella salvezza e nella lode. Nel salmo viene celebrata l’esperienza centrale cristiana, di passaggio dalla morte alla vita, segno permanente dell’amore costante di Dio. Questo passaggio dal terrore della morte a una nuova vita, è la realtà che definisce tutti i cristiani, perché, come insegna l’apostolo Paolo, noi, nel battesimo, siamo entrati nella tomba con Cristo, e siamo risorti con lui. Siamo morti con Cristo e viviamo per condividere la sua vita risorta. E così possiamo vedere il mondo in modo diverso, con compassione, pazienza, amore e speranza; perché, in Cristo, la lotta presente non può mai essere l’intera storia. Anche come cristiani divisi, sappiamo che il battesimo che ci unisce è un passaggio dalla croce alla luce della resurrezione. Nella prospettiva cristiana, questa vita di resurrezione non è semplicemente un concetto, o un’idea che può aiutare; è radicata in un evento vitale, nel tempo e nello spazio. È questo evento che ascoltiamo narrato nel vangelo con grande umanità e pathos. Da Gerusalemme il Signore risorto si manifesta ai suoi discepoli di tutti i tempi, chiamandoci a seguirlo senza paura. Egli ci precede.

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Martedì 25 gennaio 2011

Chiamati a servizio della riconciliazione

Esaù gli corse incontro, lo abbracciò, (…) e piansero
Genesi 33, 1-4

Dite a tutti: il Signore regna!
Salmo 96(95), 1-13

Dio che ci ha riconciliati con sé per mezzo di Cristo e ha dato a noi l’incarico di portare altri alla riconciliazione con lui
2 Corinzi 5, 17-21

Lascia lì l’offerta davanti all’altare e vai a far pace con tuo fratello.
Matteo 5, 21-26

Le nostre preghiere questa settimana ci hanno portato in un itinerario comune. Guidati dalle Scritture, abbiamo rivissuto le nostre origini nella Chiesa apostolica di Gerusalemme, caratterizzata dalla fedeltà all’insegnamento degli apostoli, alla comunione, allo spezzare il pane, alle preghiere. Al termine della nostra riflessione sulla comunità cristiana ideale, presentata in Atti, 2, 42, torniamo ai nostri contesti, alla realtà della divisione, dello scontento, della delusione e dell’ingiustizia. A questo punto la chiesa di Gerusalemme ci pone una domanda: a che cosa siamo chiamati qui e ora, mentre concludiamo questa Settimana per l’unità? I cristiani in Gerusalemme oggi ci suggeriscono una risposta: siamo chiamati, anzitutto, a servizio della riconciliazione. È una chiamata che riguarda la riconciliazione ad ogni livello, e malgrado la complessità delle nostre divisioni. Preghiamo per la Chiesa, perché essa possa essere un segno e uno strumento di guarigione delle divisioni e delle ingiustizie politiche e strutturali; per una giusta e pacifica convivenza fra ebrei, cristiani e musulmani; per la crescita della comprensione fra popoli di ogni fede e di nessuna fede. La chiamata alla riconciliazione deve trovare una risposta anche nella nostra vita personale e familiare. Giacobbe ed Esaù, nel testo della Genesi, sono fratelli, eppure sono estranei. La loro riconciliazione ha luogo quando avrebbero potuto aspettarsi conflitti anche maggiori. La violenza e gli atteggiamenti d’ira sono lasciati da parte quando i due fratelli si incontrano e piangono insieme. Il riconoscimento della nostra unità come cristiani – ed in realtà anche come esseri umani – davanti a Dio ci conduce al grande cantico di lode al Signore che ci governa con amorevole giustizia. In Cristo Dio vuole la riconciliazione di tutte le genti; nel descrivere ciò l’apostolo Paolo, nella seconda lettura, celebra la vita di riconciliazione come una “nuova creazione”. L’invito a riconciliarci è l’invito a permettere alla potenza di Dio in noi di rendere nuove tutte le cose. Ancora una volta, sappiamo che questo lieto annunzio ci chiama a cambiare il nostro stile di vita. Come Gesù ci sprona nel racconto di Matteo, non possiamo continuare a fare offerte sull’altare se sappiamo che siamo responsabili di divisioni o ingiustizie. La chiamata alla preghiera per l’unità fra i cristiani è una chiamata alla riconciliazione. La chiamata alla riconciliazione è una chiamata ad agire, anche se contrasta la nostra attività di chiesa.

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