Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal 6 al 12 febbraio 2011

Santena – 6 febbraio 2011 – Proposte di riflessione per i giorni dal 6 al 12 febbraio tratte dalla liturgia del giorno, con spigolature dal secondo capitolo degli Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020 “Educare alla vita buona del vangelo” e omelia domenicale della Comunità di Sant’Egidio.

Domenica 6 febbraio 2011

Risplenda la vostra luce davanti agli uomini

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».”

Mt 5,13-16

Sebbene poveri uomini e povere donne, siamo sale e luce

Gesù, immediatamente dopo il Vangelo delle beatitudini, si rivolge ai discepoli e dice loro che sono il sale della terra e la luce del mondo. Siamo ancora all’inizio della predicazione evangelica, e senza dubbio i discepoli non possono vantare una esemplare condotta da “uomini delle beatitudini”. Non fa quindi meraviglia che queste parole, sia a loro che a noi, appaiano eccessive, esagerate. Ma Gesù insiste: “Se anche il sale perde il sapore, con che cosa verrà salato?”. C’è come una domanda di responsabilità, una chiamata audace da parte di Gesù, quasi a dire: non ho altro che voi per l’annuncio del Vangelo. Oppure, detto in altri termini: se la vostra funzione viene meno, se il vostro comportamento è insipido e senza gusto, non ho altro rimedio per l’annuncio evangelico. È quel che accade se la lucerna accesa la si mette sotto il secchio (a volte, rovesciato, serviva anche da mensola). Anche in questo caso non c’è rimedio, si resta al buio. Tutto ciò non era vero solo allora, lo è altrettanto oggi. La funzione di essere sale della terra e luce del mondo non deve essere mai disattesa. Ognuno di noi sa bene, di fronte a queste parole, di essere una povera persona. Davvero siamo poca cosa, rispetto al compito che ci viene assegnato e alla beatitudine che abbiamo ascoltato domenica scorsa. Com’è possibile essere sale e luce? Non siamo tutti al di sotto della sufficienza? L’apostolo Pietro, in un momento di consapevolezza, quando riconobbe il Signore, disse: “Allontanati da me, perché sono un peccatore”. Questa frase, che tutti possiamo, anzi dovremmo pronunciare più spesso, sale troppe poche volte dalle nostre labbra. Ognuno di noi ha una considerazione buona di se stesso. E se talora insistiamo sulla nostra povertà, non lo facciamo tanto per umiltà quanto per un atteggiamento rinunciatario, quindi per non illuminare e per non salare pur potendolo fare. È come dire che la presunta indegnità diventa pian piano passività, quindi pigrizia ed infine rinuncia. Ma il Vangelo di Matteo insiste a dirci che, sebbene poveri uomini e povere donne, siamo sale e luce. Non lo siamo da noi stessi, ma solo partecipando al vero sale e alla vera luce che è Gesù di Nazareth. Scrive l’evangelista Giovanni: “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo”. La luce non viene dalle doti personali, di ciascuno o di una cosiddetta natura buona, o dalle nostre virtù. L’apostolo Paolo, nella sua lettera ai cristiani di Corinto, ricorda che egli non si presentò in mezzo a loro con sublimità di parole: “Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione”. Eppure malgrado la sua debolezza, il suo timore e la sua trepidazione, difende l’onestà del suo ministero: “Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso”. La debolezza dell’apostolo non oscura la luce dell’annuncio, non diminuisce la forza della predicazione e della testimonianza. Al contrario, ne è un pilastro e ne dà la ragione: “Perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana ma sulla potenza di Dio”. In queste parole c’è un profondo senso di liberazione. Noi cristiani, a differenza di quel che avviene tra gli uomini, non siamo condannati a nascondere davanti a Dio la debolezza e la miseria di cui siamo impastati. Esse non attentano alla potenza di Dio, non la mettono in crisi, non la cancellano, semmai la esaltano se noi lo accogliamo. Siamo perciò attenti a non confondere la debolezza con la pigrizia e la povertà con l’avarizia. Siamo tuttavia consapevoli che “abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi” (1 Cor 4,7). Il primo a non vergognarsi della nostra debolezza è proprio il Signore. La sua luce non è smorzata dalle nostre tenebre. Non c’è alcun disprezzo per l’uomo da parte del Vangelo. Non c’è alcuna antipatia da parte del Signore, che a ragione viene chiamato: “l’amico degli uomini”. Paolo aggiunge: “Chi si vanta, si vanti nel Signore”. Il nostro vanto non è mai in noi stessi. La grazia di Dio, il suo amore, rifulge nella nostra debolezza. Non ce ne possiamo appropriare, ci supera sempre e non ci abbandona. Aggiunge il Vangelo: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli”. È l’invito che il Signore fa a noi perché diventiamo operatori del Vangelo. E il profeta così lo spiega: “Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti?”. È la carità, la luce del Signore, una carità ampia che allarga le pareti del cuore. Essa è diretta soprattutto verso i poveri e i deboli, e nello stesso tempo non dimentica chi ci è vicino. Solo “allora – aggiunge il profeta – brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio”.

Comunità di Sant’Egidio

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Lunedì 7 febbraio 2011

Quanti lo toccavano venivano salvati

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli, compiuta la traversata fino a terra, giunsero a Gennèsaret e approdarono. Scesi dalla barca, la gente subito lo riconobbe e, accorrendo da tutta quella regione, cominciarono a portargli sulle barelle i malati, dovunque udivano che egli si trovasse. E là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati.”

Mc 6,53-56

La Chiesa promuove nei suoi figli anzitutto un’autentica vita spirituale, cioè un’esistenza secondo lo Spirito (cfr Gal 5,25). Essa non è frutto di uno sforzo volontaristico, ma è un cammino attraverso il quale il Maestro interiore apre la mente e il cuore alla comprensione del mistero di Dio e dell’uomo: lo Spirito che «il Padre manderà nel mio nome vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26).

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Martedì 8 febbraio 2011

Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti -, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».  E diceva loro: «Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione. Mosè infatti disse: “Onora tuo padre e tua madre”, e: “Chi maledice il padre o la madre sia messo a morte”. Voi invece dite: “Se uno dichiara al padre o alla madre: Ciò con cui dovrei aiutarti è korbàn, cioè offerta a Dio”, non gli consentite di fare più nulla per il padre o la madre. Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte».

Mc 7,1-13

Lo Spirito forma il cristiano secondo i sentimenti di Cristo, guida alla verità tutta intera, illumina le menti, infonde l’amore nei cuori, fortifica i corpi deboli, apre alla conoscenza del Padre e del Figlio, e dà «a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità».

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Mercoledì 9 febbraio 2011

Dal cuore degli uomini, escono i propositi di male

In quel tempo, Gesù, chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro».
Quando entrò in una casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogavano sulla parabola. E disse loro: «Così neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?». Così rendeva puri tutti gli alimenti. E diceva: «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

Mc 7,14-23

La formazione spirituale tende a farci assimilare quanto ci è stato rivelato in Cristo, affinché la nostra esistenza possa corrispondere ogni giorno di più al suo dono: «Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2). L’azione dello Spirito plasma la vita in questa prospettiva: «Il culto gradito a Dio diviene così un nuovo modo di vivere tutte le circostanze dell’esistenza in cui ogni particolare viene esaltato, in quanto vissuto dentro il rapporto con Cristo e come offerta a Dio».

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Giovedì 10 febbraio 2011

Appena seppe di lui, andò e si gettò ai suoi piedi

In quel tempo, Gesù andò nella regione di Tiro. Entrato in una casa, non voleva che alcuno lo sapesse, ma non poté restare nascosto. Una donna, la cui figlioletta era posseduta da uno spirito impuro, appena seppe di lui, andò e si gettò ai suoi piedi. Questa donna era di lingua greca e di origine siro-fenicia. Ella lo supplicava di scacciare il demonio da sua figlia. Ed egli le rispondeva: «Lascia prima che si sazino i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». Ma lei gli replicò: «Signore, anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli». Allora le disse: «Per questa tua parola, va’: il demonio è uscito da tua figlia». Tornata a casa sua, trovò la bambina coricata sul letto e il demonio se n’era andato.

Mc 7,24-30

I santi rivelano con la loro vita l’azione potente dello Spirito che li ha rivestiti dei suoi doni e li ha resi forti nella fede e nell’amore. Ogni cristiano è chiamato a seguirne l’esempio, cogliendo il frutto dello Spirito, che è «amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22).

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Venerdì 11 febbraio 2011

Apriti!

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».”

Mc 7,31-37

L’accoglienza del dono dello Spirito porta ad abbracciare tutta la vita come vocazione. Nel nostro tempo, è facile all’uomo ritenersi l’unico artefice del proprio destino e pertanto concepirsi «senza vocazione». Per questo è importante che nelle nostre comunità ciascuno impari a riconoscere la vita come dono di Dio e ad accoglierla secondo il suo disegno d’amore.

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Sabato 12 febbraio 2011

Sento compassione per la folla

In quei giorni, poiché vi era di nuovo molta folla e non avevano da mangiare, Gesù chiamò a sé i discepoli e disse loro: «Sento compassione per la folla; ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Se li rimando digiuni alle loro case, verranno meno lungo il cammino; e alcuni di loro sono venuti da lontano». Gli risposero i suoi discepoli: «Come riuscire a sfamarli di pane qui, in un deserto?». Domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette».
Ordinò alla folla di sedersi per terra. Prese i sette pani, rese grazie, li spezzò e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero; ed essi li distribuirono alla folla. Avevano anche pochi pesciolini; recitò la benedizione su di essi e fece distribuire anche quelli. Mangiarono a sazietà e portarono via i pezzi avanzati: sette sporte. Erano circa quattromila. E li congedò. Poi salì sulla barca con i suoi discepoli e subito andò dalle parti di Dalmanutà.”

Mc 8,1-10

Come ha affermato il Concilio Vaticano II, Gesù Cristo, manifestandoci il mistero del Padre e del suo amore, ha rivelato anche l’uomo a se stesso, rendendogli nota la sua altissima vocazione, che è essenzialmente chiamata alla santità, ossia alla perfezione dell’amore.

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