Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal 27 febbraio al 5 marzo 2011

Santena – 27 febbraio 2011 – Proposte di riflessione per i giorni dal 27 febbraio al 5 marzo tratte dalla liturgia del giorno, con spigolature dal terzo capitolo degli Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020 “Educare alla vita buona del vangelo” e commento domenicale tratto dal sito della Comunità di Bose.

Domenica 27 febbraio 2011

Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?
Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?
E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno.
Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».”

Mt 6,24-34

Portare il credente all’essenziale

Il testo evangelico afferma la bontà provvidente di Dio per gli umani. Ma come il vangelo ci chiede di intendere la provvidenza, che era un’idea ben nota già alla filosofia stoica? Se spesso la provvidenza, intesa come forma del rapporto tra Dio e mondo, designa l’onnipotenza divina che governa il corso delle cose, dal cosmo fino all’individuo, il passo evangelico suggerisce di intenderla anzitutto come modalità di porsi dell’uomo davanti al mondo, alla vita e al Creatore. Non a caso il testo mette in guardia il credente dalle preoccupazioni, dagli affanni e dall’inquietudine. Questa modalità di porsi davanti a Dio e al mondo è interna all’atto di fede. “Sentirsi amato: così potremmo riassumere l’esperienza che noi possiamo fare della provvidenza. Essere amato, ovvero, sentire di esistere per qualcuno, ma anche grazie a qualcuno” (Michel Deneken). L’atto di fede conosce anche il tono della fiducia e dell’abbandono confidente, del sentirsi preceduto e accolto, raggiunto e visitato, destinatario della cura del Dio fedele. Non si tratta di un atteggiamento banalmente ottimistico o spiritualistico, dimentico della dimensione del tragico e dell’irredento che traversa il mondo, ma della coscienza di filialità che unisce il credente al suo Creatore e che suscita in lui la solidarietà con tutte le creature, la comunione con il creato e la responsabilità verso gli altri uomini.  L’affermazione evangelica della provvidenza di Dio non solo non produce disimpegno, ma tende a portare il credente all’essenziale, liberandolo da ciò che può divenire ostacolo al pieno dispiegamento della vita e della fede. La fede nel Dio che “sa ciò di cui avete bisogno” (cf. Mt 6,32) libera lo sguardo dell’uomo dal rinchiudersi nelle proprie ristrettezze e dalla tentazione idolatrica. Lo sguardo di Dio è appunto lo sguardo che pro-vede, “vede anticipatamente” e “vede in favore di”: vede oltre i bisogni umani e mira a ciò che essenziale e più profondo nell’uomo – il suo desiderio – e lo orienta. “Cercate anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,33). Ovviamente, questo discorso, che Gesù fa a persone che hanno liberamente deciso di impegnare la loro vita nel discepolato, non può essere rivolto a chi vive nella miseria e muore di fame. Gesù invita a non affannarsi per il domani, ma a vivere ogni giorno come oggi di Dio. L’attimo presente è il frammento di tempo e di vita in cui si può vivere con pienezza il senso del tempo e della vita, ovvero l’amore per il Signore e per le creature. Lungi dall’essere una fuga dalla realtà, questa indicazione radica il credente nell’oggi e lo chiama a viverlo davanti a Dio. Ha scritto sr. Odette Prévost, uccisa in Algeria il 10 novembre 1995: “Vivi l’oggi: Dio te lo offre, è tuo, vivilo in Lui. Il domani è di Dio, non ti appartiene. Non trasferire sul domani la preoccupazione di oggi: il domani è di Dio, rimettilo in Lui. Il momento presente è un fragile ponte: se lo appesantisci con i dispiaceri di ieri e con l’inquietudine di domani, il ponte cede e tu non puoi passare. Il passato? Dio lo perdona. Il futuro? Dio lo dona. Vivi l’oggi in comunione con lui”. L’adesione all’oggi è misura di protezione dalla tentazione di voler possedere il futuro e di aver presa sul domani. Essa si oppone al diffuso consumismo del tempo che si nutre di oroscopi e di astrologia ed è ciò che consente di sperare: “C’è speranza solo là dove si accetta di non vedere il futuro” (fr. Christian, monaco di Tibhirine). L’esempio degli uccelli che non seminano e non mietono non vuole certo proporre atteggiamenti di disimpegno o di fuga dal lavoro, ma ricordare che non l’uomo è per il lavoro, ma il lavoro è per l’uomo. Il lavoro, così come la ricchezza, può schiavizzare l’uomo, invece di aiutarne il processo di liberazione.

Luciano Manicardi

http://www.monasterodibose.it/content/view/2639/52/lang,it/

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Lunedì 28 febbraio 2011

Cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?

In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».”

Mc 10,17-27

Educare richiede un impegno nel tempo, che non può ridursi a interventi puramente funzionali e frammentari; esige un rapporto personale di fedeltà tra soggetti attivi, che sono protagonisti della relazione educativa, prendono posizione e mettono in gioco la propria libertà. Essa si forma, cresce e matura solo nell’incontro con un’altra libertà; si verifica solo nelle relazioni personali e trova il suo fine adeguato nella loro maturazione.

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Martedì 1 marzo 2011

Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi

In quel tempo, Pietro prese a dire a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà. Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi».

Mc 10,28-31

Esiste un nesso stretto tra educare e generare: la relazione educativa s’innesta nell’atto generativo e nell’esperienza di essere figli. L’uomo non si dà la vita, ma la riceve. Allo stesso modo, il bambino impara a vivere guardando ai genitori e agli adulti. Si inizia da una relazione accogliente, in cui si è generati alla vita affettiva, relazionale e intellettuale.

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Mercoledì 2 marzo 2011

Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore

In quel tempo, mentre erano sulla strada per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti ai discepoli ed essi erano sgomenti; coloro che lo seguivano erano impauriti. Presi di nuovo in disparte i Dodici, si mise a dire loro quello che stava per accadergli: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani, lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno, e dopo tre giorni risorgerà». Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».”

Mc 10,32-45

Il legame che si instaura all’interno della famiglia sin dalla nascita lascia un’impronta indelebile. L’apporto di padre e madre, nella loro complementarità, ha un influsso decisivo nella vita dei figli. Spetta ai genitori assicurare loro la cura e l’affetto, l’orizzonte di senso e l’orientamento nel mondo. Oggi viene enfatizzata la dimensione materna, mentre appare più debole e marginale la figura paterna. In realtà, è determinante la responsabilità educativa di entrambi. È proprio la differenza e la reciprocità tra il padre e la madre a creare lo spazio fecondo per la crescita piena del figlio. Ciò è vero perfino quando i genitori vivono situazioni di crisi e di separazione.

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Giovedì 3 marzo 2011

Che io veda di nuovo!

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

Mc 10,46-52

La risposta al dono della vita si attua nel corso dell’esistenza. L’immagine del cammino ci fa comprendere che l’educazione è un processo di crescita che richiede pazienza. Progredire verso la maturità impegna la persona in una formazione permanente, caratterizzata da alcuni elementi chiave: il tempo, il coraggio, la meta.

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Venerdì 4 marzo 2011

Abbiate fede in Dio!

Entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e quelli che compravano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe e non permetteva che si trasportassero cose attraverso il tempio. E insegnava loro dicendo: «Non sta forse scritto: “La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le nazioni”? Voi invece ne avete fatto un covo di ladri». Lo udirono i capi dei sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutta la folla era stupita del suo insegnamento. Quando venne la sera, uscirono fuori dalla città. La mattina seguente, passando, videro l’albero di fichi seccato fin dalle radici. Pietro si ricordò e gli disse: «Maestro, guarda: l’albero di fichi che hai maledetto è seccato». Rispose loro Gesù: «Abbiate fede in Dio! In verità io vi dico: se uno dicesse a questo monte: “Lèvati e gèttati nel mare”, senza dubitare in cuor suo, ma credendo che quanto dice avviene, ciò gli avverrà. Per questo vi dico: tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi accadrà. Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi le vostre colpe».”

Mc 11,11-25

L’educazione, costruita essenzialmente sul rapporto educatore ed educando, non è priva di rischi e può sperimentare crisi e fallimenti: richiede quindi il coraggio della perseveranza. Entrambi sono chiamati a mettersi in gioco, a correggere e a lasciarsi correggere, a modificare e a rivedere le proprie scelte, a vincere la tentazione di dominare l’altro.

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Sabato 5 marzo 2011

Con quale autorità fai queste cose?

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli andarono di nuovo a Gerusalemme. E, mentre egli camminava nel tempio, vennero da lui i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani e gli dissero: «Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di farle?». Ma Gesù disse loro: «Vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi». Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: “Dal cielo”, risponderà: “Perché allora non gli avete creduto?”. Diciamo dunque: “Dagli uomini”?». Ma temevano la folla, perché tutti ritenevano che Giovanni fosse veramente un profeta. Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo». E Gesù disse loro: «Neanche io vi dico con quale autorità faccio queste cose».

Mc 11,27-33

Il processo educativo è efficace quando due persone si incontrano e si coinvolgono profondamente, quando il rapporto è instaurato e mantenuto in un clima di gratuità oltre la logica della funzionalità, rifuggendo dall’autoritarismo che soffoca la libertà e dal permissivismo che rende insignificante la relazione. È importante sottolineare che ogni itinerario educativo richiede che sia sempre condivisa la meta verso cui procedere.

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