Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal 1° al 7 maggio 2011

Santena – 1° maggio 2011 – Di seguito, alcune proposte di riflessione per i giorni dal 1 al 7 maggio tratte dalla liturgia del giorno, con spigolature dal quarto capitolo degli Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020 “Educare alla vita buona del vangelo” e omelia domenicale della Comunità di Sant’Egidio.

Domenica 1 maggio 2011

Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. “

Gv 20,19-31

 

Non essere incredulo, ma credente

Il Vangelo che ci è stato annunciato sembra voler scandire il tempo dei credenti sull’evento pasquale: è la Pasqua che dà il ritmo alla vita dei discepoli. E questo fin dall’inizio. Gesù risorto, infatti, dopo essere apparso ai discepoli nel giorno di Pasqua, torna nuovamente in mezzo a loro otto giorni dopo. Potremmo dire la domenica seguente. Questa volta c’è anche Tommaso. E così, di domenica in domenica sino ad oggi, ininterrottamente da duemila anni, i discepoli di Gesù si radunano in ogni parte della terra per poter rivivere l’incontro con il Signore risorto. Gli apostoli se ne stavano rintanati nel Cenacolo, a porte chiuse, per paura. Paura di perdere la loro vita e la loro tranquillità o anche quel poco che era loro rimasto dopo la morte di Gesù. Erano tristi e rassegnati; tanto che avevano preso in giro le donne che con timore e gioia si erano recate da loro per annunciare la risurrezione di Gesù. Ma il Signore quel giorno aprì il loro cuore e vinse la loro incredulità. Al vedere il Signore – scrive l’evangelista – i discepoli gioirono e furono ripieni di Spirito Santo. Furono trasformati profondamente come da una nuova e irresistibile energia interiore. Non erano più come prima. E subito lo dissero a Tommaso: “Abbiamo visto il Signore!” Ma Tommaso non volle credere alle loro parole: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”. Eppure non era un cattivo o un mediocre discepolo, né era il freddo razionalista, l’uomo del fatto concreto, dell’esperienza, l’uomo positivo che non si lascia andare all’emozione e al sentimento come le donne di cui parla il Vangelo. Tommaso era in verità un uomo dai sentimenti forti: quando Gesù decise di recarsi dall’amico Lazzaro, malgrado i pericoli di morte, fu il primo a dire: “Andiamo anche noi a morire con lui”. E quando Gesù parlò della sua dipartita, Tommaso a nome di tutti si fece avanti per chiedere: “Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via”. Tommaso non era un uomo incapace di sentimenti. Tuttavia, aveva ormai accettato che la risurrezione, di cui Gesù aveva pure parlato, fosse solo un discorso, solo parole. E quando gli altri dieci gli annunciarono il Vangelo di Pasqua, egli rispose con il suo discorso, con il suo “credo”: Se non vedo e non metto la mano nel suo costato, non crederò. È il “credo” di un uomo non cattivo, anzi generoso. Ma per lui esiste solo ciò che vede e tocca. È il credo di tanti uomini e di tante donne, i quali più che razionalisti sono egocentrici. È il credo di coloro che sono prigionieri del proprio orizzonte ristretto, prigionieri delle proprie sensazioni, chiusi unicamente in quello che vedono e che toccano. Costoro non credono a quello che non riescono a toccare, non credono a ciò che è lontano da loro e dai loro interessi. È il “non credo” di un mondo di egocentrici, che facilmente diventa pigro, violento e ingiusto. Sì, perché l’egocentrismo porta sempre a chiudersi e ad essere increduli. Per questo non di rado il credo di Tommaso è anche il nostro credo. Otto giorni dopo la Pasqua Gesù ritorna in mezzo ai discepoli. Questa volta c’è anche Tommaso. Potremmo aggiungere: ci siamo anche noi. E Gesù, dopo aver ripetuto il saluto di pace, invita Tommaso a toccare le sue ferite. In verità è Gesù che tocca il cuore incredulo del discepolo chiamandolo per nome e dicendogli “non essere incredulo, ma credente”. Queste parole piene di affetto e di tenero rimprovero, fanno cadere in ginocchio Tommaso. Egli non ha avuto bisogno di toccare, perché è stato toccato lui nel cuore dal Vangelo. Certo ha visto il Signore ancora segnato dalle ferite. E forse è stata proprio la visione del corpo ferito, il veicolo attraverso cui le parole del Signore sono arrivate al cuore di Tommaso. “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco”, dice Gesù a Tommaso. Sì, è necessario mettere le mani nei tanti corpi feriti, malati e indeboliti che noi incontriamo, se si vuole incontrare il Signore risorto. La vittoria sulla nostra incredulità e sull’incredulità del mondo inizia proprio di qui: ascoltare il Vangelo di Pasqua e toccare le ferite del corpo di Gesù ancora piagato in tanti uomini e donne vicini e lontani da noi. Di qui nasce la gioia della Pasqua. L’apostolo Pietro ce lo ricorda: “Voi lo amate, pur senza averlo visto, e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa” (1 Pt 1,8).

Comunità di Sant’Egidio

**

Lunedì 2 maggio 2011

Dovete nascere dall’alto
Vi era tra i farisei un uomo di nome Nicodèmo, uno dei capi dei Giudei. Costui andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui». Gli rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio». Gli disse Nicodèmo: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». Rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».”

Gv 3,1-8

 

Il cammino verso la maturità cristiana

Esperienza fondamentale dell’educazione alla vita di fede è l’iniziazione cristiana, che «non è quindi una delle tante attività della comunità cristiana, ma l’attività che qualifica l’esprimersi proprio della Chiesa nel suo essere inviata a generare alla fede e realizzare se stessa come madre». Essa ha gradualmente assunto un’ispirazione catecumenale, che conduce le persone a una progressiva consapevolezza della fede, mediante itinerari differenziati di catechesi e di esperienza di vita cristiana. La celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, seguita da un’adeguata mistagogia, rappresenta il compimento di questo cammino verso la piena maturità cristiana.

 

**

Martedì 3 maggio 2011

Io sono nel Padre e il Padre è in me
In quel tempo, disse Gesù a Tommaso: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò».”

Gv 14,6-14

La Chiesa riscopre il linguaggio originario dell’annuncio

In un ambiente spesso indifferente se non addirittura ostile al messaggio del Vangelo, la Chiesa riscopre il linguaggio originario dell’annuncio, che ha in sé due caratteristiche educative straordinarie: la dimensione del dono e l’appello alla conversione continua. Il primo annuncio della fede rappresenta l’anima di ogni azione pastorale.

 

**

Mercoledì  4 maggio 2011

La luce è venuta nel mondo
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».”

Gv 3,16-21

è necessario educare a una fede più motivata

Solo una comunità accogliente e dialogante può trovare le vie per instaurare rapporti di amicizia e offrire risposte alla sete di Dio che è presente nel cuore di ogni uomo. Oggi si impone la ricerca di nuovi linguaggi, non autoreferenziali e arricchiti dalle acquisizioni di quanti operano nell’ambito della comunicazione, della cultura e dell’arte. Per questo è necessario educare a una fede più motivata, capace di dialogare anche con chi si avvicina alla Chiesa solo occasionalmente, con i credenti di altre religioni e con i non credenti. In tale prospettiva, il progetto culturale orientato in senso cristiano stimola in ciascun battezzato e in ogni comunità l’approfondimento di una fede consapevole, che abbia piena cittadinanza nel nostro tempo, così da contribuire anche alla crescita della società.

 

**

Giovedì  5 maggio 2011

Colui che Dio ha mandato dice le parole di Dio
Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza. Chi ne accetta la testimonianza, conferma che Dio è veritiero. Colui infatti che Dio ha mandato dice le parole di Dio: senza misura egli dà lo Spirito.
Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui.”

Gv 3,31-36

La parrocchia luogo fondamentale per la comunicazione del Vangelo

La parrocchia – Chiesa che vive tra le case degli uomini – continua a essere il luogo fondamentale per la comunicazione del Vangelo e la formazione della coscienza credente; rappresenta nel territorio il riferimento immediato per l’educazione e la vita cristiana a un livello accessibile a tutti; favorisce lo scambio e il confronto tra le diverse generazioni; dialoga con le istituzioni locali e costruisce alleanze educative per servire l’uomo.

**

Venerdì 6 maggio 2011

Questi è davvero il profeta
In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.”

Gv 6,1-15

L’oratorio accompagna nella crescita umana e spirituale

L’oratorio accompagna nella crescita umana e spirituale le nuove generazioni e rende i laici protagonisti, affidando loro responsabilità educative. Adattandosi ai diversi contesti, l’oratorio esprime il volto e la passione educativa della comunità, che impegna animatori, catechisti e genitori in un progetto volto a condurre il ragazzo a una sintesi armoniosa tra fede e vita. I suoi strumenti e il suo linguaggio sono quelli dell’esperienza quotidiana dei più giovani: aggregazione, sport, musica, teatro, gioco, studio.

 

**

Sabato 7 maggio 2011

Sono io, non abbiate paura!
Venuta la sera, i discepoli di Gesù scesero al mare, salirono in barca e si avviarono verso l’altra riva del mare in direzione di Cafàrnao. Era ormai buio e Gesù non li aveva ancora raggiunti; il mare era agitato, perché soffiava un forte vento. Dopo aver remato per circa tre o quattro miglia, videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Sono io, non abbiate paura!». Allora vollero prenderlo sulla barca, e subito la barca toccò la riva alla quale erano diretti.”

Gv 6,16-21

La pietà popolare una dimensione rilevante della vita ecclesiale

La pietà popolare costituisce anche ai giorni nostri una dimensione rilevante della vita ecclesiale e può diventare veicolo educativo di valori della tradizione cristiana, riscoperti nel loro significato più autentico. Purificata da eventuali eccessi e da elementi estranei e rinnovata nei contenuti e nelle forme, permette di raggiungere con l’annuncio tante persone che altrimenti resterebbero ai margini della vita ecclesiale. In essa devono risaltare la parola di Dio, la predicazione e la catechesi, la preghiera e i sacramenti dell’Eucaristia e della riconciliazione e, non ultimo, l’impegno per la carità verso i poveri.

**

blog rossosantena.it