Santena, Dario Paschetta, 4 validi motivi per non andare a votare al referendum sull’acqua così detta pubblica

Santena – 10 giugno 2011 – Di seguito, il contributo che ci ha inviato Dario Paschetta che ha come titolo: “Quattro validi motivi per non andare a votare al referendum sull’acqua il così detta pubblica”.

Sono passati pochi giorni dalla presentazione del bellissimo opuscolo pubblicato dall’associazione “Le radici e la memoria” e con questa lettera intendo dare corso alle esortazioni che in quell’occasione di festa ho rivolto a tutti i santenesi.

Come ho avuto modo di affermare, affinché si creino le migliori condizioni per vincere le odierne sfide sociali ed economiche è necessario che tutti partecipiamo all’amministrazione cittadina in modo costruttivo.

Il contributo che oggi voglio dare riguarda la riforma che l’attuale governo ha introdotto in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica e che, come è noto a tutti, è al centro di due dei tre quesiti referendari su cui saremo chiamati ad esprimerci tra poco meno di tre giorni.

Fin dai tempi dell’università ho scelto di studiare e approfondire, da un punto di vista prima giuridico e poi economico, temi legati alla tutela della libera concorrenza. Alla luce di questi miei studi e della mia successiva esperienza professionale nel settore delle consulenze antitrust, mi sento di affermare che la riforma in questione, soprattutto per la parte che concerne la gestione delle risorse idriche, è giusta e va confermata nel suo impianto attuale.

Della citata riforma in particolare si può dire che è giusta perché è costituzionalmente legittima, perché dal punto di vista dell’amministrazione delle risorse pubbliche è un importante provvedimento di liberalizzazione e, infine, da un punto di vista economico traccia un sistema di gestione delle risorse efficiente che permetterà di abbassare i costi del servizio idrico e, quindi, i prezzi.

A sostegno della scelta di non andare a votare per i quesiti concernenti la gestione dei servizi pubblici locali, inoltre, milita un quarto argomento di tipo negativo. La campagna referendaria a favore del SI ai quesiti sulla legge relativa ai servizi pubblici locali, infatti, ha trasmesso in buona parte dei messaggi non corretti ai cittadini che con questo mio piccolo intervento voglio contribuire a correggere.

1.Per una corretta informazione

Innanzi tutto, occorre precisare che l’articolo di legge oggetto di referendum non prevede la privatizzazione dell’acqua, la cui proprietà rimane pubblica. Nell’art. 15 del Decreto legge 25/09/2009, n. 135 il legislatore nazionale, infatti, chiarisce a lettere cubitali che:

Tutte le forme di affidamento della gestione del servizio idrico integrato di cui all’ articolo 23-bis [oggetto del referendum], convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, devono avvenire nel rispetto dei princìpi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in particolare in ordine alla qualità e prezzo del servizio, in conformità a quanto previsto dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, garantendo il diritto alla universalità ed accessibilità del servizio

Quindi dire che la legge oggetto di referendum voglia privatizzare l’acqua è una falsità colossale.

Ma vi è di più, anche dire che la legge in questione impone di privatizzare la gestione dell’acqua è altrettanto FALSO. Se si legge il testo della norma, infatti, si capisce subito che se l’ente pubblico ritiene che la società pubblica incaricata del servizio sia efficiente può decidere di non privatizzare la gestione dell’acqua con il solo obbligo di offrire sul mercato tramite gara il 40% del proprio capitale e di assegnare ai privati dei compiti operativi.

Nel concreto, quindi, se la provincia di Torino ritiene che SMAT spa sia efficiente non è obbligata a dare a privati il servizio e può lasciare in mano a SMAT la gestione. Deve, invece, tramite gara offrire sul mercato il 40% del capitale di SMAT e assegnare alla società privata compiti operativi (ad esempio gestione dei computer, installazione delle pompe/turbine che normalmente già compra sul mercato) che possono ben essere diversi dall’erogazione dell’acqua che rimane in mano pubblica. A questo occorre aggiungere che la provincia di Torino resta titolare del 60% del capitale azionario di SMAT e, quindi, decide l’ente pubblico come gestire la società.

Secondo, non si dice che la cessione della quota della società pubblica a dei privati avverrà dietro pagamento di un corrispettivo e, pertanto, porterà nelle casse delle società pubbliche liquidità che si potrà utilizzare per gli investimenti.

Terzo, il referendum non abroga una norma che riguarda solo la gestione del servizio idrico, ma mira ad abrogare una disposizione di legge che disciplina gli affidamenti di tutti quei servizi che gli enti locali forniscono ai cittadini eccetto: gas, luce, trasporti ferroviari che sono stati liberalizzati a livello europeo, nonché sanità, prestazioni previdenziali e assistenziali che non sono servizi di natura economica e, pertanto, restano gestiti direttamente dagli enti pubblici preposti.

Rientrano nella riforma anche i servizi aeroportuali, i rifiuti, i trasporti locali, i servizi mercatali che sono da decenni gestiti da società pubbliche che certo non brillano per efficienza. Basti pensare alla GTT, società privata controllata dal comune di Torino, si è “dimenticata” di chiedere a DEFENDINI, sponsor elettorale del precedente sindaco, di riversare alla società le monete che DEFENDINI si era incaricata di raccogliere, totale quasi 6 milioni di Euro.

Altro esempio, molto conosciuto a Santena che ha una forte vocazione agricola, è il CAAT (la società di proprietà del comune di Torino che gestisce i mercati generali di Torino) il quale, come è noto a tutti gli operatori, da quando è nato ha solo generato debiti e ha gestito in modo assolutamente non efficiente i mercati generali di Torino. Bene, con la norma oggetto di referendum anche la compagine sociale del CAAT dovrà essere rivista e, se i bandi di gara saranno stilati nel giusto modo, si potranno togliere molte delle inefficienze che le ingerenze politiche hanno generato.

Da ultimo è importante ricordare che se vince il SI non è che l’acqua rimane pubblica perché questa è già gestita da società commerciali: la SMAT, infatti, è una s.p.a. La situazione resterà tale per cui avremo tanti monopoli privati locali, società nei cui consigli di amministrazione e direzioni vengono, per lo più, collocate persone più per colore politico che per reali capacità e, infine, non saranno stabiliti impegni di investimento obbligatori, che sono invece tipici dei bandi di gara pubblici.

Chiariti alcuni degli aspetti negativi che hanno caratterizzato la campagna referendaria, voglio ora passare a illustrare brevemente perché la Legge sui servizi locali economici.

2.L’art. 23 bis è una norma costituzionalmente legittima

Per sostenere le ragioni del SI molti esponenti del comitato referendario sostengono che la Corte Costituzionale non si è ancora pronunciata in un giudizio di costituzionalità promosso da numerose regioni contro l’articolo oggetto di referendum.

Si tratta di una affermazione errata in quanto la Corte, già nel novembre 2010 con la sentenza n. 325/10, si è pronunciata sul punto ed ha respinto tutte le domande delle regioni dichiarando l’art. 23-bis costituzionalmente legittimo. Per completezza, occorre precisare, che la Corte ha ritenuto non conforme alla costituzione solo una parte minima della norma, ovvero, ove si sottopongono i soggetti affidatari dei servizi pubblici locali, solo quelli pubblici, al controllo del governo centrale sui limiti di spesa. In sostanza, le società pubbliche, e non quelle private o pubbliche con soci privati, affidatarie dei servizi possono spendere senza vincoli.

Cosa importante è rimarcare che a giudizio della Corte Costituzionale il legislatore nazionale approvando l’art. 23-bis non ha violato né la costituzione italiana né i principi della Comunità europea, che hanno carattere costituzionale, per i seguenti motivi.

Primo, lo Stato italiano, anticipando l’Europa che da anni discute sul punto, è legittimato ad aprire al mercato i servizi pubblici locali perché applica in un settore importante dell’economia il principio della Libera Concorrenza. La tutela della concorrenza, infatti, è un principio cardine dell’Europa che ogni Stato membro è chiamato a rendere effettivo in ogni ambito della propria economia nazionale e, parole della Corte, la gestione dei servizi pubblici locali, compreso quello delle risorse idriche, rientra in questo ambito dato che tutti i cittadini pagano per il servizio reso.

Secondo, la gestione dei servizi pubblici locali per cui i cittadini pagano il servizio non rientra tra le funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e delle Regioni e, pertanto, la disciplina introdotta dallo Stato con l’art. 23-bis legittimamente prevale su quelle degli enti locali perché spetta allo Stato far sì che la Libera Concorrenza trovi un’applicazione omogenea su tutto il territorio nazionale.

A questo si aggiunga, poi, che lo Stato non ha leso le competenze degli enti locali perché adottando l’art. 23-bis non ha imposto di affidare ai privati la gestione dei servizi pubblici economici, ma ha ribaltato la regola dei rapporti tra pubblico e privato fino ad ora vigente.

La regola ora è la seguente: gli enti locali o affidano la gestione dei servizi locali ai privati tramite gare d’appalto oppure permettono l’ingresso di privati nell’azionariato delle società a capitale pubblico; la possibilità che lente gestisca il servizio senza coinvolgere in qualche modo i privati diventa l’eccezione. Arbitro di questa scelta non è lo Stato, ma l’ente pubblico locale che, come è noto, è nella posizione migliore per decidere se è meglio un sistema o l’altro.

3.L’art. 23-bis come esempio di liberalizzazione

Da mesi se non da anni si dice da un lato che il governo nazionale non promuove le liberalizzazioni e, dall’altro, che troppi monopoli strozzano l’economia.

L’art. 23-bis ben può considerarsi come un provvedimento che va nella giusta direzione. Esso, infatti, apre un mercato fatto di tanti monopoli locali dove le società (ricordiamo già ora di diritto privato) controllate dal pubblico gestiscono le risorse senza concreti vincoli di mandato.

Difatti, fino alla piena entrata in vigore della legge, le società come la SMAT agiscono come soggetti privati, tant’è che se uno deve fare causa per un disservizio va in tribunale e non al tribunale amministrativo. Le uniche regole che impongono l’utilizzo delle risorse per potenziare e ammodernare la rete si possono individuare a) nelle regole contenute nel codice civile in materia societaria che impongono agli amministratori di gestire secondo correttezza la società e b) nella buona volontà di coloro che siedono nei consigli di amministrazione.

Sarà a tutti evidente, quindi, che regole generiche come quelle contenute nel codice civile non possono essere interpretate fino ad imporre agli amministratori di investire tutti gli utili nella rete o obbligare i medesimi a fare dei piani industriali il cui mancato rispetto costituisce titolo di responsabilità.

La legge attuale quindi cosa fa in concreto? Impone che gli affidamenti dei servizi a società private o pubbliche con soci di minoranza privati siano regolati secondo i criteri contenuti nei bandi di gara d’appalto.

Quando entrerà a regime la riforma contenuta nell’art. 23-bis se e si vorrà che le società controllate da enti pubblici continuino a gestire i servizi, esse lo dovranno fare sulla base di apposite gare d’appalto dotate di precisi obblighi di investimento e ammodernamento della rete e, cosa ben più importante, saranno a tempo. Così facendo l’ente pubblico sarà costretto a valutare l’operato della società pubblica/privata o solo privata a scadenze fisse e, quindi, decidere se rinnovare l’affidamento o meno.

Infine sul punto mi si permetta una vena polemica. Per molto tempo si è detto che le famose “lenzuolate” dell’allora ministro Bersani avrebbero liberalizzato interi settori e migliorato i servizi. Nulla di più falso dato che di quelle riforme si sono giovati solo i grandi gruppi e lasciato con un pugno di mosche tanti piccoli operatori.

Questa riforma, invece, dà regole certe ad un settore importante della nostra economia e favorirà l’entrata di molte nuove imprese soprattutto per i servizi collaterali. Faccio un esempio.

La pulizia dei tombini e delle condotte dalle infiltrazioni di terra, sassi e così via è spesso affidata alla società che eroga il servizio. Bene, con la riforma queste attività potrebbero essere affidate a privati e per di più con gara e contratti muniti di obblighi precisi, mentre la società a capitale pubblico si potranno concentrare sulle attività essenziali per l’erogazione del servizio.

4.L’art. 23-bis sistema di gestione delle risorse efficiente

Se sia efficiente o meno la scelta del legislatore di obbligare agli enti pubblici locali a scegliere se affidare a società misto pubblico/private o private la gestione dei servizi pubblici locali, è una questione molto discussa e per mia parte voglio arricchire detto dibattito riportando un esempio e un documento dell’autorità antitrust italiana/ISTAT.

Un chiaro esempio di come una liberalizzazione implementata attraverso un processo di creazione di regole tecniche e precise permette di aprire gradualmente un mercato alla concorrenza sono il settore elettrico, del gas, delle telecomunicazioni, delle poste e delle ferrovie.

Si prendano i settori energetici in cui da anni è in corso un processo di liberalizzazione su scala europea. Senza questo processo, tutt’ora in corso, secondo la Commissione europea non avremmo mai potuto assistere all’emersione della così detta “green economy”. La nascita e lo sviluppo di tante imprese che investono in energie rinnovabili, nella co-generazione è il frutto tangibile della liberalizzazione in atto in Europa.

Uguale discorso vale per la telefonia, fissa e mobile. Pensate forse che le attuali tariffe e l’attuale diffusione capillare di internet sarebbe potuta accadere senza le liberalizzazioni decise negli anni ’90?

Da ultimo, l’esempio di Arenaways (società che recentemente ha iniziato a fare concorrenza a Trenitalia proprio sulla tratta Torino-Milano con un servizio di ottimo livello) dimostra che l’apertura della gestione dei servizi pubblici, se fatta con le giuste regole e non in modo selvaggio come è avvenuto negli anni ’80, consente di far emergere risorse e creare sviluppo.

Degli effetti benefici dell’adozione dell’art. 23-bis si è occupata da ultimo l’Autorità Antitrust italiana, la quale in una audizione del 2011 (http://www.agcm.it/stampa/news/5463-audizione-del-presidente-catricala-presso-la-commissione-straordinaria-per-la-verifica-dellandamento-dei-prezzi.html) dedicata all’andamento dei prezzi nei vari settori dell’economia italiana ha precisato quanto segue.

“I dati evidenziano sino al 2009 un andamento delle tariffe dei servizi pubblici locali nettamente più accentuato al rialzo rispetto all’inflazione generale. Se anzi si considera che questi stessi servizi contribuiscono a determinare l’entità dell’indice generale di variazione dei 25 prezzi, si può concludere che il divario tra gli incrementi delle tariffe e quello degli altri prodotti e servizi è ancora maggiore di quanto le cifre di cui sopra mostrino.

Questo accadeva fino a subito prima della riforma dei servizi pubblici locali introdotta dall’art. 23 bis del d.l. 112/08, e conferma la necessità della stessa. L’apertura al mercato di queste attività, tramite la messa a gara del servizio, non potrà che portare beneficio agli utenti, anche sotto il profilo dell’efficientamento delle gestioni e quindi della possibilità di cali tariffari. È essenziale dunque che la riforma venga attuata nella misura più ampia e rapida possibile, e l’Autorità sta già contribuendo, adottando pareri che accertano in maniera rigorosa la sussistenza dei requisiti per la deroga alle gare e vigilando su eventuali condotte dei gestori storici finalizzate a ostacolare le procedure competitive adottate dalle amministrazioni locali.

 

Tra i mercati in monopolio senza il controllo di autorità indipendente rientrano anche i servizi idrici dato che fino al marzo di quest’anno non esisteva un’Autorità indipendente dotata di compiti di controllo, regolamentazione e sanzione. I prezzi sono saliti del 3,5%, mentre nei mercati concorrenziali con autorità indipendente invece sono diminuiti del 2%.

5.Conclusioni
In conclusione di questo mio contributo torno a ribadire che l’art. 23-bis, oggetto dell’imminente referendum, disegna un sistema dei servizi locali, soprattutto quelli idrici, finalmente efficiente e che, una volta a regime, permetterà di migliorare la qualità del servizio. Per questo motivo io, come spero molti degli indecisi, questa domenica non andrò a votare per vedere abrogata una legge giusta e moderna.

Dario Paschetta

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