Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal 25 settembre al 1° ottobre 2011

Santena, 25 settembre 2011 – Di seguito, alcune proposte di riflessione per i giorni dal 25 settembre al primo ottobre 2011 tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.

 Domenica 25 settembre 2011

Se il malvagio si converte dalla sua malvagità, egli fa vivere se stesso
Così dice il Signore: «Voi dite: Non è retto il modo di agire del Signore. Ascolta dunque, casa d’Israele: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra? Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questo muore, egli muore appunto per il male che ha commesso.
E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso. Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà».

Ez 18,25-28

I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Non ne ho voglia. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: Sì, signore. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».

Mt 21,28-32

Prima lettura e vangelo propongono un messaggio sul pentimento. L’uomo ingiusto può desistere dalla sua ingiustizia e agire con rettitudine (Ezechiele); il figlio che in un primo tempo si è rifiutato di andare a lavorare nella vigna del padre, dopo decide di andarvi (vangelo). L’unità delle due letture può anche essere espressa con le categorie della conversione e della responsabilità.

Il pentimento è attestazione di libertà. Anche il malvagio può cambiare. Questa possibilità di conversione dice che il peccato non è una potenza metafisica che schiaccia l’uomo e che ha su di lui l’ultima parola. Nel pentimento l’uomo ritrova la retta via e “torna” a se stesso e a Dio allo stesso tempo. Atto di libertà, il pentimento è anche atto di liberazione. Il malvagio che cambia condotta “fa vivere se stesso” (Ez 18,27), dà vita alla sua esistenza, mostrando di non essere schiavo dei precedenti comportamenti. Che cosa porta il malvagio a cambiare condotta? Com’è possibile evocare il pentimento, questo evento in cui è in gioco il mistero della persona e la coscienza della contraddizione tra sé e sé che conduce al dolore e alla lacerazione interiori? Ezechiele evoca il cammino interiore che conduce al pentimento con le parole: “ha visto” (Ez 18,28, letteralmente; Vulgata: considerans). Che cosa ha visto? In Ez 18,14 si parla del “vedere i peccati del padre” da parte del figlio, che pure non fa della visione dei peccati paterni un alibi per il proprio peccare, anzi, non si lascia generare al peccato dal padre peccatore. Quella visione indica allora la presa di coscienza dei propri peccati, è la dolorosa visione di sé nella non-unificazione, nella divisione profonda. Nel pentimento noi vediamo noi stessi nella contraddizione con noi stessi. E sappiamo di poterci rivolgere a Dio proprio in quella condizione di chi ha il cuore contrito. Nell’odierna parabola evangelica (cf. Mt 21,28-31), il figlio che ha risposto “no” all’invito del padre e poi, “pentitosi”, “avendo provato rimorso”, ha fatto la volontà del padre, rivela che il credere passa a volte anche attraverso un ricredersi. L’obbedienza alla parola e alla volontà di Dio passa a volte attraverso uno smentire la propria parola e la propria volontà. La fede non ci chiede di non sbagliare e di non peccare, ma di riconoscere l’errore e di confessare il peccato. In quel “ricredersi” c’è il dialogo interiore, c’è la presa di coscienza della realtà, c’è l’audacia di guardare in faccia se stessi, preliminare essenziale per l’agire responsabile. Insomma, c’è l’inizio del movimento verso la responsabilità, della decisione di passare dall’irresponsabilità alla responsabilità. In questo senso, lungi dall’essere un segno di debolezza, il pentimento è segno di coraggio e di forza. Per quanto sia raro e impopolare, anche nella chiesa, il gesto di chi riconosce di aver sbagliato, di chi ammette di aver assunto posizioni che si sono rivelate poco conformi al Vangelo e muta la propria posizione cercando di essere più fedele al Vangelo, è segno di grandezza umana e spirituale. Nel cristianesimo il pentimento è la via maestra per accedere alla volontà di Dio. “Noi cristiani abbiamo il privilegio di disporre di un metodo altro, rispetto alla mondanità, per avvicinarci alla verità: il pentimento” (Christos Yannaras). I due figli della parabola sono entrambi in contraddizione tra il dire e il fare. Ma con una differenza essenziale. Il figlio che dice “no” si espone a un conflitto con il padre, con una persona esterna a lui, e questo lo conduce a prendere coscienza del suo conflitto interiore e a mutare opinione. Cosa che non avviene in chi risponde “sì” e che compiace l’altro, si adagia sull’altro, non si espone conflittualmente all’altro e può evitare di guardare alla tentazione della disobbedienza che abita pure in lui. Per Matteo è evidente che coloro che vivono nel “sì” sono i religiosi (sacerdoti e anziani del popolo: Mt 21,23) che possono non sentirsi bisognosi di conversione perché già “a posto”, a differenza di coloro che invece vivono nel “no”, pubblicani e prostitute, e che possono fare spazio al Vangelo ed entrare nel Regno.

Luciano Manicardi

Comunità di Bose

“I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”, disse Gesù a coloro che lo ascoltavano nel tempio. Senza dubbio, queste parole suonarono come una bruciante sferzata per i farisei. Loro, che si consideravano (ed erano ritenuti) “puri”, sarebbero stati preceduti dai pubblici peccatori e dalle prostitute! Qual è il rimprovero che Gesù fa ai farisei? Per prima cosa rimarca la distanza tra il loro “dire” e il loro “fare”. E lo esemplifica narrando una brevissima parabola. Un uomo ha due figli; ad ambedue chiede di andare a lavorare nella vigna. Il primo si dichiara pronto, ma poi non ci va. Il secondo, invece, in un primo momento si rifiuta, ma poi si ravvede e va al lavoro. A questo punto Gesù chiede ai farisei: “Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?”. Essi non possono che rispondere: “L’ultimo”. È l’unica risposta possibile. Sono perciò gli stessi farisei a mettere a nudo la contrapposizione tra il “dire” e il “fare”. Più volte nel Vangelo si ripete che non bastano le parole; quel che conta è “fare la volontà di Dio”. Le parole da sole non salvano, occorre metterle in pratica. L’esempio del secondo figlio è efficace: egli adempie la volontà del padre non a parole – quelle sono anzi contrarie ad essa – ma con i fatti. Nella figura del padre si manifesta il Signore che chiama a lavorare per la sua vigna. E ovviamente vuole che il lavoro sia svolto davvero: “Non chiunque mi dice: ‘Signore, Signore’, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7,21), aveva detto Gesù. Chi ascolta e non mette in pratica, oppure chi ama solo a parole e non con i fatti, è come colui che costruisce sulla sabbia: cade la pioggia, scorrono i fiumi, soffiano i venti e la casa va in rovina. Costruisce, invece, sulla roccia chi ascolta il Vangelo e cerca di metterlo in pratica (Mt 7,24-27). La distanza tra il dire e il fare esplicita qual è la religiosità farisaica stigmatizzata da Gesù. Ed è ovvio che si tratta di un’accusa rivolta non solo ai farisei del tempo di Gesù, ma a chiunque si comporta come loro, badando cioè più all’apparire che all’essere, più alle parole che al fare, più all’esteriorità che al cuore. E se ci esaminiamo un poco vediamo subito quanto ciascuno di noi somigli a quel secondo figlio, pronto più a dire sì con le labbra che a fare concretamente la volontà di Dio. Talora c’è anche un’obbedienza che ha il tono e la forma della deferenza, dell’apparenza e dell’equilibrio, ma che nel profondo nasconde una sottile ribellione interiore. Come può esserci un’esteriore disobbedienza che presenta una superficie scomposta e indisciplinata ma che in realtà ha nel profondo una sostanza valida ed esemplare di impegno. Gesù afferma che è più facile che un peccatore si ravveda piuttosto che un benpensante, sicuro e altezzoso della sua giustizia, spezzi l’involucro duro del suo autocompiacimento e delle sue abitudini. L’esempio lo trae dall’ascolto, o dal non ascolto, della predicazione del Battista: i farisei l’hanno respinta, mentre i peccatori si sono convertiti. Costoro, infatti, non si sono contentati di ascoltare, ma hanno chiesto: “Che cosa dobbiamo fare?” (Lc 3,10-14), e hanno messo in atto quanto il predicatore diceva loro. Questa è la fede: ascoltare l’invito della predicazione del Vangelo e percepirlo come rivolto personalmente a se stessi, non come parole astratte su cui dibattere e discettare. Chi si lascia toccare il cuore dal Vangelo si allontana da se stesso (in fondo la religiosità farisaica è il compiacimento di se stessi, del proprio comportamento, delle proprie azioni) e si abbandona alla volontà di Dio. L’esempio di Francesco d’Assisi è l’opposto della religiosità farisaica. Egli fu discepolo nel senso pieno del termine: ascoltò il Vangelo e lo mise subito in pratica alla lettera. No, non è un eroe. È un uomo che si è lasciato amare dal Signore sino in fondo e per questo lo ha seguito senza resistere. Ha lasciato tutto perché ha trovato uno che lo amava più di se stesso. In verità è così anche per noi. Gesù ci ha amati più di noi stessi. Francesco d’Assisi lo ha riconosciuto. Noi facciamo fatica, perché i nostri occhi sono pieni ancora di noi stessi e dei nostri problemi. Volgiamo il nostro sguardo al Signore e lasciamoci amare da lui.

Comunità di Sant’Egidio

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Lunedì 26 settembre 2011

Chi è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande
In quel tempo, nacque una discussione tra i discepoli, chi di loro fosse più grande. Allora Gesù, conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un bambino, se lo mise vicino e disse loro: «Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande». Giovanni prese la parola dicendo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non ti segue insieme con noi». Ma Gesù gli rispose: «Non lo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi». 

Lc 9,46-50

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Martedì 27 settembre 2011

Prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.

Lc 9,51-56

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Mercoledì 28 settembre 2011

Ti seguirò dovunque tu vada
In quel tempo, mentre camminavano per la strada, un tale disse a Gesù: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio».

Lc 9,57-62

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Giovedì 29 settembre 2011

Come mi conosci?
In quel tempo, Gesù, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!». Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».

Gv 1,47-51

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Venerdì 30 settembre 2011

Chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato
In quel tempo, Gesù disse: «Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi.
E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai!
Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato».

Lc 10,13-16

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Sabato 1 ottobre 2011

Rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli
In quel tempo, i settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli». In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo». E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».

Lc 10,17-24

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