Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal 25 al 31 dicembre 2011

Santena – 25 dicembre 2011 – Di seguito, alcune proposte di riflessione per i giorni dal 25 al 31 dicembre 2011, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.

Domenica  25 dicembre  2011

Il Signore ha consolato il suo popolo
Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: «Regna il tuo Dio». Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce, insieme esultano, poiché vedono con gli occhi il ritorno del Signore a Sion. Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme. Il Signore ha snudato il suo santo braccio davanti a tutte le nazioni; tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio.

Is 52,7-10

 

Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio
Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo. Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli, divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato. Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»? e ancora: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio»? Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: «Lo adorino tutti gli angeli di Dio».

Eb 1,1-6

 

Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.

Gv 1,1-5.9-14

Questa è la gioia: accogliere la debolezza, amarla, proteggerla

“Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. È la decisione dei pastori, gli unici che a Betlemme si resero conto di quel bambino. Dobbiamo uscire da noi stessi per trovare il Natale. Dobbiamo guardare il mondo dalla strada, dalla vita vera, per trovarvi colui che unisce la terra ed il cielo. La speranza non è astrazione. Cercare lui ci aiuta a capire la vita così com’è davvero. Si può vivere senza speranza? No: si diventa cinici, amari, magari sapienti ma ignoranti della vita. Possiamo avere speranza quando tutto sembra così vano, superficiale, caduco? Può sperare una generazione come la nostra che pensa di avere già conosciuto tutto e bruciato i sogni? Una generazione incapace di stupirsi, di provare meraviglia, di appassionarsi per qualcuno! La proposta è andare a Betlemme. Che ci può essere lì? Non è certo uno dei luoghi dove si può trovare tutto, dove possiamo trovare qualche sensazione nuova e continuare a mettere al centro noi stessi. A Betlemme non incontriamo certo quelli che contano. Per trovare qualcosa dobbiamo andare in un luogo periferico, non abituale e mettere al centro qualcun altro e non il nostro onnipresente io. L’esempio di Francesco d’Assisi è particolarmente illuminante. Era la settimana prima del Natale 1223 quando Francesco, che si trovava a Greccio nel piccolo convento con i suoi frati, disse al suo amico Giovanni Vellita: “Giovanni, vorrei in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato il bambino per la mancanza di cose necessarie ad un neonato, come fu adagiato in una mangiatoia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”. Francesco voleva “vedere” il Natale. I cristiani, in verità, sin dai primi secoli avevano rappresentato quella nascita; ma era quasi scorporata dall’ambiente in cui era avvenuta, dalla gente che l’aveva vista. Nelle grandi basiliche di Gerusalemme, di Roma e di Costantinopoli, i mosaici e gli affreschi rappresentavano Maria vestita da regina e il bambino in fasce, ma orlate d’oro. Si voleva significare che già dal quel momento quel Bambino era il dominatore dei regni di questo mondo. Ed era giusto. Anzi ne abbiamo bisogno anche oggi, abituati come siamo a vedere e ad accettare altri signori sulla nostra vita. “Andiamo a vedere quel che è accaduto e che il Signore ci ha fatto sapere”, si dicono i pastori l’un l’altro, secondo la narrazione di Luca. Francesco era ormai quasi cieco; un’infezione contratta in Egitto gli stava spegnendo la vista. E forse anche questo lo spingeva a “vedere” quel Natale. Chi vede quel bambino non incontra la forza del proprio orgoglio, non confida nelle proprie ricchezze, non si affida ai potenti di questo mondo; incontra solo un bambino povero, debole e indifeso. Per lui “non c’era posto nell’alloggio”, come spesso non c’è posto tra gli uomini per quelli che sono deboli e indifesi. Da quel giorno molti sono simili a quel bambino, molti non hanno trovato e non trovano posto nelle case, ma soprattutto nel cuore degli uomini. Sono i profughi, gli stranieri lontani dalla loro terra, gli abbandonati, gli oppressi, i condannati a morte, le vittime delle guerre e della violenza. Come quei pastori, come Francesco, dobbiamo recarci a “vedere” questi numerosi presepi reali e tragici, ed accoglierli nel nostro cuore, nella nostra vita. È bello continuare ad allestire il presepe, ma ci deve ricordare che non possiamo più chiudere le nostre porte al piccolo e al debole. Il presepe resta uno scandalo di inaccoglienza. E forse dobbiamo cominciare ad allestire anche un altro presepe; quello relativo a Gesù profugo in Egitto: debole come un bambino, subito è divenuto profugo e straniero. La liturgia pone questa memoria nella domenica successiva al Natale e la intitola alla sacra famiglia. Come Maria e Giuseppe, dobbiamo accompagnare chi è diventato, per la durezza della vita, profugo da casa o straniero altrove, simile al piccolo bambino di Betlemme in Egitto. Questa è la gioia: accogliere la debolezza, amarla, proteggerla. È troppo poco? No. È una forza straordinaria. È la forza del nostro Dio bambino. Non è finito il tempo della speranza! Lo stesso Dio che prova, come è stato ricordato, disgusto per la follia dell’uomo, per la sua cattiveria, per l’ingiustizia; lui che viene tra i suoi e questi non lo accolgono; proprio lui non smette di amarli follemente, tanto da farsi bambino. C’è speranza per il dolore dei soli, dei malati, degli smarriti, di chi ha sbagliato tutto, di chi è pieno di rimorsi, di chi non sa da che parte cominciare. Il Dio del cielo lo scopriamo nella debolezza trasfigurata dall’amore, nella notte illuminata ed attraversata dal canto di “pace agli uomini che egli ama”. La vita è amata, non è un vagare senza senso. I pastori se ne andarono lodando Dio. Anche noi! Comunichiamo a tanti il segreto ed i sentimenti del Natale. Non lasciamoli sfiorire! Maria serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. È quello che dobbiamo fare noi. Serbiamo nel nostro cuore il piccolo libro del Vangelo, leggiamolo un po’ ogni giorno: crescerà con noi, come il bambino Gesù.

Comunità di Sant’Egidio

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Lunedì 26 dicembre 2011

Chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.
Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato».

Mt 10,17-22

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Martedì 27 dicembre 2011

Vide e credette
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala corse e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.

Gv 20,2-8

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Mercoledì 28 dicembre 2011

Un grido è stato udito, un pianto e un lamento grande
I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio». Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi.
Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremìa: «Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più».

Mt 2,13-18

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Giovedì  29 dicembre 2011

Chi ama suo fratello, rimane nella luce
Figlioli miei, da questo sappiamo di avere conosciuto Gesù: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità. Chi invece osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto. Da questo conosciamo di essere in lui. Chi dice di rimanere in lui, deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato. Carissimi, non vi scrivo un nuovo comandamento, ma un comandamento antico, che avete ricevuto da principio. Il comandamento antico è la Parola che avete udito. Eppure vi scrivo un comandamento nuovo, e ciò è vero in lui e in voi, perché le tenebre stanno diradandosi e già appare la luce vera. Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre. Chi ama suo fratello, rimane nella luce e non vi è in lui occasione di inciampo. Ma chi odia suo fratello, è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi.

1Gv 2,3-11

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Venerdì 30 dicembre 2011

Luce per rivelarti alle genti
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele». Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».

Lc 2,22-35

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Sabato 31 dicembre 2011

Nessuna menzogna viene dalla verità
Figlioli, è giunta l’ultima ora. Come avete sentito dire che l’anticristo deve venire, di fatto molti anticristi sono già venuti. Da questo conosciamo che è l’ultima ora. Sono usciti da noi, ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; sono usciti perché fosse manifesto che non tutti sono dei nostri. Ora voi avete ricevuto l’unzione dal Santo, e tutti avete la conoscenza. Non vi ho scritto perché non conoscete la verità, ma perché la conoscete e perché nessuna menzogna viene dalla verità.

1Gv 2,18-21

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