Omelia dell’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, alla messa di mezzanotte dell’ultimo giorno dell’anno 2011

Torino – 1° gennaio 2012 – Di seguito, il testo dell’omelia dell’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, alla messa di mezzanotte dell’ultimo giorno dell’anno 2011.

OMELIA DELL’ARCIVESCOVO DI TORINO, MONS. CESARE NOSIGLIA,

ALLA MESSA DI MEZZANOTTE DELL’ULTIMO GIORNO DELL’ANNO

(Torino, Cattedrale, 31 dicembre 2011)

Cari amici,

in questa notte in cui risuonano il chiasso e si accendono tante luci che illuminano il buio in onore del nuovo anno, ricercando di esorcizzarne gli esiti che appaiono negativi per il nostro Paese con gravissime conseguenze su tante persone, famiglie, ceti più deboli, abbiamo ascoltato la Parola di speranza della liturgia che celebra la solennità di Maria Vergine, Madre di Dio. La liturgia ci invita a contemplare il mistero del Verbo incarnato con gli occhi ed il cuore della Madre. Essa, ci ricorda il Vangelo, «serbava tutte le cose che avvenivano attorno alla nascita del figlio, meditandole nel suo cuore». Meditare significa “portare dentro” e non limitarsi ad osservare dall’esterno gli avvenimenti, senza coglierne il loro più vero e profondo significato: quello che Dio immette nella storia e intende annunciare a chi ha occhi di fede e sguardo di amore.

Il mistero del Natale esige di essere contemplato per essere accolto e creduto e diventare così fonte di vita e di salvezza; esige di essere amato per nutrire la vita della speranza certa che contiene. Esige soprattutto di scendere dentro l’animo e di essere custodito nel cuore, se vogliamo goderne anche dopo la sua celebrazione, giorno per giorno, durante tutto l’anno. Serbare, meditare, riflettere e contemplare non sono atteggiamenti usuali nel nostro tempo, dove predomina il fare, l’agire affannato e spesso inconcludente e dove il tempo del silenzio è ridotto al minimo, perché appare vuoto di senso e di profitto immediato.

Eppure, malgrado il tanto darsi da fare, ci si accorge quanto la vita sfugga rapidamente e tutto, anche le esperienze più necessarie come l’amore, l’amicizia, la solidarietà, possono diventare superficiali ed occasionali. La contemplazione e la meditazione ci introducono nel tempo di Dio, che non è limitato dal trascorrere dei giorni e permette di guardare gli avvenimenti della vita e della storia da una visuale diversa e sicuramente più umana e liberante di quella reclamizzata dalla cultura e dai modelli dominanti,

Allora, anche gli anni che passano acquistano un senso nuovo e ci appaiono nella loro positività, come i passi veloci di chi sta tornando a casa ed anela, nel cuore, di arrivarci prima possibile per abbracciare i suoi cari e ritrovarsi nell’ambiente familiare ricco di amore e di serenità. Sì, perché è illusorio pensare di fermare il tempo e lo è altrettanto chiedere di ipotecarne il futuro, se non lo viviamo orientandolo a Colui che ce lo ha dato e al quale lo riconsegneremo carico o meno di frutti di bene

In questo giorno, tradizionalmente celebriamo la Giornata mondiale della Pace. Il tema che Papa Benedetto XVI ha scelto per questa 45 edizione della Giornata è: “Educare i giovani alla giustizia e alla pace”. In una situazione di crisi che assilla il nostro tempo e incide fortemente sul modello di vita e di lavoro e condiziona pesantemente il futuro di tante famiglie, lavoratori e intere nazioni, il richiamo ai giovani pone in forte evidenza l’elemento decisivo che può ridare slancio verso il futuro, perché scommettere sui giovani e con i giovani significa tracciare una via di ripresa e di rinnovamento per tutti. La spinta in avanti e la carica di utopia di cui sono portatori i giovani tende a questo e apre vie di impensabile speranza concreta per l’intera società. I giovani questo lo sanno e lo esigono con i loro linguaggi e vie a volte paradossali e di contrapposizione al modello di vita e di società che gli adulti hanno loro costruito o desiderano consegnare loro. È proprio qui il punto più delicato e complesso, oggi, dell’educazione in generale e poi anche, in particolare, di quella alla giustizia e alla pace.

Le difficoltà del parlarsi tra generazioni e del trovare vie convergenti di lavoro insieme per il bene comune e il futuro debbono fare i conti con una grossa crisi di identità e di ruolo sofferta oggi dal mondo adulto, privo spesso di riferimenti oggettivi validi e di valori umani, spirituali ed etici testimoniati con coerenza nella propria vita privata e pubblica. Molti adulti – genitori, docenti, sacerdoti – stanno perdendo la passione educativa che ha contraddistinto un’epoca nel recente passato e ha garantito comunque la trasmissione di importanti ed esemplari modelli di uomo e di donna, di famiglia e di società. Oggi tutto sembra annebbiarsi e farsi confuso e incerto e non si sa più che cosa dire e su quali aspetti essenziali puntare, per comunicare con le nuove generazioni in balia spesso di messaggi veicolati dal mondo della comunicazione, e della Rete in particolare, che sono contradditori e in conflitto tra loro.

Occorre pertanto ritornare agli elementari o fondamentali propri dell’esistenza di ogni uomo e donna e, partendo da questi, avviare percorsi educativi condivisi e collaborativi tra le generazioni. Tali elementari partono dal senso della vita, spesso smarrito a causa della frustrazione di non trovare sbocchi lavorativi e dunque di un mondo adulto che a parole si riempie la bocca di giovanilismo, ma che alla fine tiene ben stretto per sé ciò che gestisce nel suo oggi e per il suo domani. Che mondo di giustizia e di pace le generazioni adulte stanno preparando per i giovani? Se vogliono educarli in questi senso debbono mostrare in concreto che li prendono sul serio e sanno fare i sacrifici necessari per offrire loro opportunità di lavoro e di futuro meno appesantito da un debito che graverà sulle loro spalle come un macigno, da un saccheggio selvaggio del creato che renderà meno abitabile questo pianeta, rispetto a come essi stessi l’hanno trovato.

Di fatto, poi, che posto hanno oggi i giovani nella politica, nel mondo della finanza, nell’economia, nella stessa Chiesa, per sperare di poter incidere sul volto della società del domani perché sia più giusta, pacifica e solidale?

Ricordiamoci, noi adulti, quanto ci dice l’esempio di un grande testimone che ha aperto la strada al giovane Gesù di Nazaret: «Io – diceva Giovanni Battista – devo diminuire e lui deve crescere», io devo indicare la strada che conduce ad accoglierlo, poi ritirarmi nell’ombra. Per tanti giovani invece capita che gli adulti li associno a sé paurosi di cedere loro il primato del servizio nella società e nelle sue diverse cabine di regia che orientano il futuro.

Cari amici,

rendo grazie al Signore perché qui a Torino ho trovato tante realtà di base – cristiane e non – dove i giovani non sono solo valorizzati e promossi nel loro protagonismo responsabile, ma hanno anche in mano il loro futuro, che orientano con gioia e generosità partendo dalla fede e dalla loro innata generosità di amore servendo chi è più solo, povero e bisognoso.

Credo che la nostra città e territorio possa puntare molto su queste realtà di eccellenza, anche se resta determinante l’impegno a far sì che il tessuto ordinario delle comunità cristiane si apra con maggiore ampiezza e fiducia a sviluppare sinergie formative ed operative con i giovani ricercando forme di unità e di indirizzo comune sul piano della fede e della carità. Occorre che i giovani sperimentino dal vivo che cosa significa educarsi alla giustizia e alla pace a partire da un comune percorso fondato su principî e valori condivisi alla luce del Vangelo e dell’esempio di Cristo stesso.

Solo una visione integrale della persona umana soggetto di diritti e doveri universali, inalienabili e validi per tutti può garantire una giustizia reale e una pace che ne è il frutto più maturo, perché garantisce il bene comune fondato sulla fraternità, la collaborazione tra diversi, il primato dell’essere sull’avere, del dono gratuito sul possesso solo per se stessi.

I giovani di tutto questo non vogliono però solo parlare ma farsi carico con concrete scelte di vita alternative e a volte anche in netto contrasto con i modelli dominanti che hanno assicurato il benessere di pochi a scapito di molti, come ben appare dalla attuale crisi. Certo conta molto anche per i giovani ricuperare alcuni stili di vita desueti e che possono sembrare lontani dalle stesse possibilità di accoglienza nel costume di vita dominante, come sono il sacrificio e la sobrietà, il perdono  dato a chi ti ha offeso, la compassione verso i più deboli, l’accoglienza del diverso da sé, considerando tutto ciò un valore positivo che stimola a uscire dalle proprie sicurezze assolute e apre al dialogo, al confronto e alla ricerca comune della verità.

Il Papa scrive nel messaggio per la Giornata della pace che «saranno saziati coloro che hanno fame e sete di giustizia, coloro che hanno fame e sete di relazioni rette con Dio, con se stessi e con i loro fratelli e sorelle e con l’intero creato» (n. 4). È per consolidare queste relazioni intense tra voi giovani e tra voi e i membri adulti della comunità religiosa e civile della nostra città e territorio che ho deciso di avviare una verifica insieme con voi per trovare la via di camminare insieme sulla strada della comunione e fraternità che deriva dalla fede in Cristo, su quella del rendersi attivi e corresponsabili nel rinnovamento della nostra Chiesa per renderla meno autoreferenziale e più aperta a tutti, senza preclusioni o chiusure preconcette verso alcuno, su quella infine del coraggio di soffrire, andando anche controcorrente per affermare la giustizia, la pace e soprattutto l’amore che solo costruisce il mondo futuro di Dio e dell’uomo.

Camminare insieme significa fare “sinodo”, un’espressione antica che vuole esprimere la voglia di unità che percorre e qualifica l’esperienza più vera e più efficace della vita del cristiano e della comunità. Sì, cari giovani, vi chiedo di riflettere insieme alle vostre comunità, sacerdoti e animatori sulle vie più concrete e nuove di avviare in Diocesi un Sinodo dei giovani, in cui tutta la comunità sia coinvolta, ma di cui siano protagonisti principali i giovani e il loro futuro.

Il primo giorno dell’anno è dedicato dalla Chiesa alla Festa della divina maternità di Maria, una giovane fanciulla di Nazareth che ha saputo osare mettendo a repentaglio il suo progetto di vita con Giuseppe per rispondere alla chiamata misteriosa di Dio, che le chiedeva di credere a una cosa impossibile umanamente ma realizzabile con la potenza di Colui che l’aveva scelta e l’avrebbe resa feconda madre del suo Figlio Gesù.

Osare: questo vi chiedo cari giovani. Vi invito a non aver paura di osare di più per mostrarvi capaci di credere con la stessa fede di Maria a quello che il Signore vi chiede oggi, qui nella nostra Chiesa e città per cambiare la realtà secondo il suo disegno. Il Sinodo richiede di saper osare, scommettere su Dio e la forza del suo Spirito per trovare insieme le vie di una nuova evangelizzazione di cui ha estremo bisogno il mondo giovanile di tanti vostri coetanei e la società sempre più incredula e indifferente o ostile alla fede, in cui siamo immersi ogni giorno negli ambienti di studio, lavoro, tempo libero, cultura, città.

Ci aiuti dunque Maria e ci dia un po’ del suo coraggio e della sua

utopia, propria di un cuore giovane e mai pago dei traguardi

raggiunti, ma proteso sempre a un di più, che apre orizzonti di

giustizia e di pace per tutti.

 + Mons. Cesare Nosiglia
Arcivescovo di Torino

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Fonte: www.diocesi.torino.it

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