Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal 4 al 10 marzo 2012

Santena – 4 marzo 2012 – Di seguito, alcune proposte di riflessione per i giorni dal 4 al 10 marzo 2012 tratte dalla liturgia del giorno con commento alle letture domenicali.

Domenica 4 marzo 2012

«Abramo!» Rispose: «Eccomi!»

In quei giorni, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò».
Così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna. Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito». Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete, impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. L’angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta e disse: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce».

Gen 22.1-2.9.10-13.15-18

 

Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?
Fratelli, se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi!

Rm 8,31-34

Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

Mc 9,2-10

Ascoltare le Scritture e vederne l’armonia in Cristo

L’evento della trasfigurazione, al cuore della seconda domenica di Quaresima, indica il fine del cammino quaresimale: l’evento pasquale. Le letture convergono nel presentare il dono del Figlio all’umanità da parte di Dio, di cui è figura il fatto che Abramo non rifiutò suo figlio di fronte alla richiesta divina. L’alleanza si realizza attraverso un cammino pieno di contraddizioni e sofferenze. È così per Abramo, che si dispone a sacrificare il figlio della promessa (I lettura); è così per Cristo, la cui trasfigurazione è il sì di Dio alla sua accettazione di un cammino che comporta sofferenza e morte (vangelo); è così per il cristiano che, chiamato a divenire conforme all’immagine del Figlio attraverso un cammino segnato da tribolazioni, pone la sua fiducia nell’amore manifestato da Dio in Cristo (II lettura). La trasfigurazione è mistero di sintesi dell’intero vangelo e della storia di salvezza. Essa è legata al primo annuncio della passione, morte e resurrezione di Gesù (cf. Mc 8,31-33) e presenta il Cristo trasfigurato come “il Regno di Dio che viene con potenza” (Mc 9,1): croce, gloria pasquale e venuta gloriosa sono dossologicamente riassunte nel Cristo e offerte, almeno per un momento, alla contemplazione dei tre discepoli. Il passato, il presente e il futuro dell’umanità quali sono pensati da Dio nel suo disegno di salvezza, prendono corpo in Cristo e diventano luce di eternità, profezia del Regno universale. La trasfigurazione avviene nella carne umana di Gesù di Nazaret e, a differenza dell’evento pasquale, ha dei testimoni oculari (cf. 2Pt 1,16). Essa fonda dunque una spiritualità di trasformazione, non di rottura. La trasfigurazione non è evasione dal mondo né dalla storia, non richiede cinismo verso ciò che è corporeo, materiale, umano, ma innesto e risignificazione di queste realtà in Cristo. Nella trasfigurazione si svela che Gesù è il corpo di Dio e si manifesta che, in Gesù, Dio abita il corpo umano (cf. Col 2,9): la vita spirituale diviene così discernimento dell’inabitazione di Dio nel credente. Al cuore della visione della trasfigurazione vi è la parola divina che chiede l’ascolto del Figlio: “Questi è il mio Figlio, l’amato: ascoltatelo”. E l’ascolto della parola di Dio contenuta nelle Scritture è al centro della vita spirituale cristiana. Si tratta di ascoltare le Scritture, sia l’Antico che il Nuovo Testamento, e di vederne l’armonia in Cristo: Cristo, infatti è indicato da Mosè ed Elia, dalla Legge e dai Profeti, ed è testimoniato da Pietro, Giacomo e Giovanni, cioè dalla Nuova Alleanza. Nessuna lettura marcionita delle Scritture che dichiari abolito l’Antico Testamento! Cristo risplende della gloria divina quando è in mezzo a Elia e Mosè. Scisso dalle Scritture Cristo rischia di essere il vuoto contenitore dei nostri desideri, ma non è più colui che compie il disegno salvifico divino, l’inviato di Dio, colui che è rivelato dalle Scritture. A nulla varrebbe dichiarare che “ciò che si ha di più caro è Cristo” (Vladimir Soloviev), se Cristo non fosse quello rivelato dalle Scritture. Diverrebbe solamente un idolo. La trasfigurazione avviene al cuore di una crisi tra Gesù e la sua comunità: Pietro si è ribellato alla prospettiva del destino di sofferenza del Figlio dell’uomo (cf. Mc 8,31-33) e sul monte della trasfigurazione si rivela incapace di accogliere anche l’annuncio della gloria: preda della paura, “non sapeva che cosa dire” (Mc 9,6). I discepoli non capiscono la parola di Gesù sulla resurrezione (cf. Mc 9,9-10). Ma al fondo di questa distanza che si crea con i discepoli Gesù, nella sua solitudine, riceve la conferma del Padre sul suo cammino. E i discepoli, pur nella loro incomprensione, continuano a seguire Gesù. Certo, essi non riusciranno a vegliare e pregare quando saranno insieme a Gesù al Getsemani (cf. Mc 14,32-42), ma è vero che la sequela di Cristo avviene anche nel disagio, nella incomprensione, nella non piena coscienza di ciò che si sta vivendo e di ciò che potrà scaturire dal cammino che si sta facendo. Anche la luce della trasfigurazione rinvia all’oscurità della fede.

Comunità di Bose

Il cristiano deve prendere sul serio la quaresima

È la seconda domenica di questo cammino di quaresima, iniziato con l’invito personale e insieme rivolto all’intera assemblea: “Ritornate a me con tutto il cuore”. Il cristiano deve prendere sul serio la quaresima. È il Signore che chiama ad una rottura profonda con i nostri pensieri e con il nostro stile di vita. Il ritorno inizia con il rientrare in se stessi, vera umiltà per gente deformata dall’euforia dell’abbondanza e dall’orgoglio dell’io. È tempo per presentarsi alla casa del padre come servi, finalmente come lavoratori e con un cuore in pace e non come figli presuntuosi ed irrequieti, stolidamente sicuri di un amore che si pensa acquisito, che si riduce a proprietà, che si conserva. Occorre tornare per essere perdonati, vecchi e segnati dal peccato come siamo, cercando la gioia di essere abbracciati dal padre i cui pensieri non sono i nostri. Occorre tornare perché solo un cuore libero dal male si dissocia dalla guerra, trasmette pace e la sa chiedere per un mondo che troppo si è abituato alla violenza, che si illude di potere convivere con l’odio, che non sa cercare la giustizia e la pace. Tornare è opportuno per essere rivestiti della dignità persa dietro al consumismo pratico, che non si contrappone apertamente a Dio, ma a cui lasciamo un così grande spazio. È facile pensarsi come il fratello maggiore, sicuri di noi stessi, sentendosi a posto, affermando, anche a costo di umiliare il padre, il proprio sentire e la propria giustizia, credendo di non avere mai smesso di fare quanto ci era stato richiesto. Anche il fratello maggiore deve tornare. Potrebbe tornare proprio iniziando ad abbandonarsi alla gioia ed al perdono, accogliendo il fratello, liberandosi dai giudizi e dalla sua memoria triste. In realtà è lontano dai sentimenti del padre: vive nella sua casa, ma in maniera individualista, attento al proprio. Non torna quando crede più alla sua giustizia che all’amore. La sua infedeltà si rivela proprio di fronte alla misericordia. Egli parla contrapponendosi. Sa usare solo l’io: quello che “io ho fatto”, che “io ho provato”, che “io penso”. Il padre invece non smette, accorato, di difendere il noi di una familiarità che è salvezza per quella casa ed anche per i figli che continua ad amare. Il fratello maggiore non è felice, perché non c’è felicità senza amore. Non si può essere felici da soli; non si può essere felici senza gli altri; non si può essere felici contro gli altri. “Ritornate a me con tutto il cuore”. Sul monte sale Gesù. In realtà è lui stesso il sacrificio: lui sceglie di non salvare se stesso, di non risparmiarsi. È un uomo segnato dalla sofferenza, cosciente che avrebbe dovuto salire un altro monte, quello del Golgota. Non c’è gioia evitando il male, fuggendo dalla sofferenza.
La quaresima è salire sul monte, è ascesi. Non si arriva subito: occorre pazienza, fiducia, cuore, per uomini poco interiori, incostanti e volubili come siamo noi, così condizionati dal presente. È ascesi per limitare la schiavitù dell’amore per sé, per allargare il cuore che si restringe quando non lo curiamo o restiamo fermi; ascesi per trovare la felicità. Occorre salire per potere contemplare le cose del cielo e quindi il senso ed il futuro delle nostre povere persone. Sul monte la presenza ordinaria del Signore, che spesso abbiamo trattato con sufficienza, ridotto ad una compagnia abituale, rivela pienamente la luce che contiene. Senza salire sul monte dell’ascolto, della preghiera della sera e della santa liturgia nel giorno del Signore e senza salire andando al fondo di sé seguendo lui, la vita si riduce a quello che vedo, che mi serve, che tocco, che possiedo, che mi conviene. Si riduce a me. Gesù prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni. Insegna loro ad esser concordi, perché siano liberi dal sonno dell’individualismo e della tristezza. Gesù vorrà di nuovo accanto a sé proprio questi tre discepoli per potere salire con loro sull’altro monte, quando sarà spogliato di ogni felicità. Se non si mette al centro il Signore, si finirà per discutere su chi sia il più grande o, semplicemente, ci si addormenterà. Pietro non sa bene che dire. Si lascia andare ed esclama: “È bello per noi essere qui! Facciamo tre capanne!”. Pensa che la felicità sia una situazione da prolungare il più possibile, come un benessere da conservare. No. La felicità si vive e diviene interiore. Le tende bisogna costruirle nel mondo, nei cuori induriti degli uomini, nella vita ordinaria. Bisogna costruire tende dove risuoni la parola di beatitudine del Figlio prediletto, che tutti possiamo ascoltare e vivere. È bello per noi godere di questa luce. È bello che i fratelli stiano assieme. È bello perché nessuno può impadronirsene, perché la felicità è contagiosa, perché cresce comunicandosi. Questa santa liturgia è sua. È bella perché riflette, nella nostra povera debolezza, la forza luminosa dell’amore di Dio, forza che sarà piena in cielo. La stessa luce, luce del cielo, la contempliamo nella gioia dei poveri amati, degli anziani consolati, dei malati che riprendono a sperare, di chi è reso luminoso dalla compagnia di un estraneo diventato prossimo. È la stessa luce di quel monte, anticipo della luce del mattino di Pasqua. I tre discepoli vengono raggiunti da una voce: “Questi è il Figlio mio, l’amato. Ascoltatelo!”. Sì, la luce dell’amore non è una magia ma un uomo, quello di sempre, che continua a camminare con noi. Restò lui solo, non videro più nessuno. È lo stesso Signore che rimane nella vita ordinaria, continuando a comunicare quell’energia di pienezza, di luce e di pace che trasfigura la vita del mondo. È la luce che ci viene affidata per la gioia di coloro che sono nelle tenebre e nell’ombra di morte, per liberare il mondo dal buio, per illuminare la notte del dolore.

Comunità di Sant’Egidio

 

**

Lunedì 5 marzo 2012

Con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati.
Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».

Lc 6,36-39

**

Martedì 6 marzo  2012

Chi si esalterà, sarà umiliato
In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:
«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

Mt 23,1-12

**

Mercoledì 7 marzo 2012

Chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore

In quel tempo, mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i dodici discepoli e lungo il cammino disse loro: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà». Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dòminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Mt 20,17-28

**

Giovedì 8 marzo 2012

Non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti
In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Lc 16,19-31

**

Venerdì 9 marzo 2012

Da ultimo mandò loro il proprio figlio
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.
Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».
Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta.

Mt 21,33-43.45

**

Sabato 10 marzo 2012

Bisognava far festa, tuo fratello era perduto ed è stato ritrovato

 

In quel tempo, si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola:
«Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Lc 15,1-3.11-32

**

blog rossosantena.it