Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione dal 17 al 23 marzo 2013

Santena – 17 marzo 2013 – Proposte di riflessione per i giorni dal 17 al 23 marzo 2013, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.

Domenica 17 marzo 2013

Ecco, io faccio una cosa nuova

albaCosì dice il Signore, che aprì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti, che fece uscire carri e cavalli, esercito ed eroi a un tempo; essi giacciono morti, mai più si rialzeranno, si spensero come un lucignolo, sono estinti: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto. Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi».

Is 43,16-21

Anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù

Fratelli, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti. Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù.

Fil 3,8-14

Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Gv 8,1-11

E’ venuto per rialzare alla vita i poveri e i peccatori

Con questa quinta domenica la Quaresima volge alla fine e si avvia verso la grande e santa settimana della passione, morte e resurrezione di Gesù. Più volte, in questo tempo, siamo stati esortati alla conversione del cuore, eppure ognuno di noi si scopre ancora tanto simile a se stesso. Forse abbiamo ascoltato poco la Parola di Dio ed essa non si è radicata nel cuore e nella realtà della nostra vita; insomma, ci siamo lasciati trasformare poco. Non diciamo questo per la mania di fare bilanci o per riproporre un inutile pessimismo. Credo, invece, che tutti siamo ben consapevoli della difficoltà che ha il tempo del Signore a inserirsi nello scorrere convulso del nostro quotidiano e degli ostacoli che i sentimenti e gli inviti di Dio trovano nella selva dei nostri sentimenti e dei tanti inviti che ogni giorno riceviamo. Spesso abbiamo soffocato il tempo opportuno della Quaresima con gli impegni, con le preoccupazioni, e perché no, con le banalità che ci prendono e ci soggiogano. E così ognuno è rimasto quel che era. Questa domenica ci viene nuovamente incontro e in certo modo ci prende e ci trascina davanti a Gesù ancora una volta. E di fronte a lui non è possibile sentirsi come quel fariseo che si lodava da solo, perché è il Signore della misericordia e non un esattore esigente. È l’alba di un nuovo giorno e Gesù, nota il Vangelo di Giovanni, sta di nuovo nel tempio a insegnare. Una calca di gente lo circonda. Improvvisamente il cerchio degli ascoltatori viene aperto da un gruppo di scribi e farisei che spingono davanti a loro una donna sorpresa in adulterio. La trascinano gettandola in mezzo al cerchio, proprio davanti a Gesù e gli chiedono se si debba o no applicare la legge di Mosè. Questa legge, dicono, impone di “lapidare donne come questa” riferendosi alle disposizioni contenute nel Levitico (20,10) e nel Deuteronomio (22,22-24), che prevedono la morte per gli adulteri. In verità, non sono mossi dallo zelo per la legge e ancor meno sono interessati al dramma di quella donna. Vogliono tendere un tranello al giovane profeta di Nazareth per screditarlo davanti alla gente che sempre più numerosa corre ad ascoltarlo. Se condanna la donna, ragionano, va contro la tanto conclamata misericordia; se la perdona, si mette contro la legge. In ambedue i casi ne esce sconfitto. Gesù, chinatosi, si mette a “scrivere con il dito per terra”. È un atteggiamento strano: Gesù sta in silenzio, come farà durante la passione davanti a personaggi come Pilato ed Erode. Il Signore della parola, l’uomo che aveva fatto della predicazione la sua vita e il suo servizio fino alla morte, ora tace. Si china e si mette a scrivere nella polvere. Non sappiamo cosa Gesù scrive e cosa pensa in quel momento; possiamo invece immaginare i sentimenti indispettiti dei farisei e forse intuire cosa c’è nel cuore di quella donna la cui speranza di sopravvivenza è legata a un uomo da cui, peraltro, non esce né una parola, né un cenno. Dietro l’insistenza dei farisei Gesù alza il capo e pronuncia una frase che getta un poco di luce sui loro pensieri: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. E si china di nuovo a scrivere per terra. La risposta disarma tutti. Colti nel segno da queste parole, “se ne vanno uno per uno cominciando dai più anziani fino agli ultimi”, nota con arguzia l’evangelista. Rimane solo Gesù con la donna. Si trovano l’una davanti all’altro, la miseria e la misericordia. A questo punto Gesù riprende a parlare; lo fa come di solito, con il suo tono, la sua passione, la sua tenerezza, la sua fermezza. Alza la testa e chiede alla dona: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed ella: “Nessuno, Signore”. La parola di Gesù diviene profonda, per nulla indifferente, anzi piena di misericordia. È una parola buona, di quelle che solo il Signore sa pronunciare: “Neanche io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”. Gesù era l’unico che avrebbe potuto alzare la mano e lanciare le pietre per lapidarla, l’unico giusto. La prese invece per mano e l’alzò da terra; in verità, la sollevò dalla sua condizione di miseria e la rimise in piedi. Non era venuto per condannare e tanto meno per consegnare alla morte per lapidazione; è venuto per parlare e per rialzare alla vita i poveri e i peccatori. Rivolto alla donna le dice: “Va’“, come dire: ritorna alla vita, riprendi il tuo cammino. E aggiunge: “Non peccare più”, ossia: percorri la via sulla quale ti ho posto, la via della misericordia e del perdono. È la via sulla quale il Signore, di domenica in domenica, mette coloro che si avvicinano a lui.

Comunità di Sant’Egidio

La misericordia non è mai a basso prezzo

L’annuncio della misericordia di Dio in Cristo Gesù: questo il tema saliente della quinta domenica di Quaresima contenuto essenzialmente nella cosiddetta “pericope dell’adultera”. Lì, la misericordia di Gesù si astiene dal giudicare, condannare e dare sentenze di morte donando così un futuro a chi ormai non aveva più alcuna speranza di futuro (vangelo). Nel testo di Isaia, Dio dona un futuro ai figli d’Israele deportati a Babilonia operando una cosa nuova e mirabile nella storia: il nuovo esodo. Tale è l’importanza dell’evento che Dio sta per compiere che il profeta chiede ai suoi ascoltatori di dimenticare le cose di prima (il primo esodo) per riconoscere e accogliere il novum che Dio sta operando. Qui, “dimenticare” non significa “cancellare”, ma esprime semplicemente l’altra faccia del “ricordare” (I lettura). Troviamo la stessa dinamica temporale in Paolo, il quale, una volta afferrato da Cristo, ha dimenticato il passato proiettandosi verso la mèta che Cristo ha dischiuso alla sua esistenza (II lettura). Tutti e tre i testi possono essere letti come testimonianza del mutamento che l’azione di Dio improntata a misericordia produce nella storia e nell’esistenza di una persona. Il testo evangelico contiene un’affermazione elementare e scandalosa: una volta infranta la Legge, vige la misericordia. Gesù, il “senza peccato” che avrebbe potuto, per le sue stesse parole (v. 7), scagliare la pietra contro l’adultera, si astiene dal farlo e ridà un futuro alla donna. Il testo presenta anche un confronto tra peccatori: una peccatrice nota, che tutti sanno tale (la donna colta in flagrante adulterio), e dei peccatori i cui peccati sono nascosti, ovvero coloro che vogliono condannarla invocando la Legge di Mosè sulla lapidazione. La parola di Gesù infatti svela il peccato nascosto che tutti loro, rinviati alla loro coscienza, albergano in sé. Ossia: una differenza fondamentale tra i peccati è quella tra peccati noti a tutti, peccati risaputi (che spesso si traducono in omicidio simbolico linguistico: quello è un adultero, è un ladro, è un omicida; il gesto negativo di un momento sequestra per sempre l’identità di una persona), e peccati nascosti, che gli altri non sanno. Da Gesù impariamo che il peccato manifesto di una persona è occasione per riconoscere il nostro peccato nascosto e per accedere al pentimento. L’enigmatico gesto di Gesù che per due volte si china, scrive con il dito per terra, si rialza e parla (vv. 6-7; vv. 8.10) evoca la duplice ascesa e discesa di Mosè dal Sinai per ricevere le tavole della Legge “scritte dal dito di Dio” (Es 31,18) e rinvia a quel complesso di Es 32-34 in cui la Legge fu infranta contemporaneamente al suo essere donata, sicché da subito il dono della Legge appare ripetuto, appare per-dono. La Legge è segno della misericordia di Dio e della sua grazia. In particolare, il gesto simbolico di abbassarsi e rialzarsi da parte di Gesù rappresenta l’abbassamento e l’innalzamento di Cristo sulla croce, vera sintesi dell’intera storia di salvezza e autorevole ermeneutica del volere del Dio misericordioso e compassionevole. Non sappiamo ciò che Gesù ha scritto per terra, ma l’unico scritto che Gesù poteva lasciare è la croce, sigillo di una vita spesa fino alla morte nel segno dell’amore per il Padre e della misericordia per gli uomini. Alla logica della croce rinvia anche il fatto che l’episodio dell’adultera termini con il tentativo di lapidazione nei confronti di Gesù (cf. Gv 8,59). Le pietre destinate all’adultera vengono scagliate contro Gesù. La misericordia non è mai a basso prezzo: Gesù assume su di sé le conseguenze del male compiuto da altri. La Legge, anche la Legge santa di Dio, e ancor di più dunque le leggi della chiesa, necessitano di un’interpretazione umana ispirata a misericordia. Senza umanità, la legge può uccidere, schiacciare, umiliare. Per Gesù, più del comandamento infranto, è ormai importante la donna con la sua vita infranta, con il peccato che ha segnato la sua vita e la sua famiglia.

Comunità di Bose

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Lunedì 18 marzo 2013

Chi segue me, non camminerà nelle tenebre

In quel tempo, Gesù parlò [ai farisei] e disse: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». Gli dissero allora i farisei: «Tu dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera». Gesù rispose loro: «Anche se io do testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove sono venuto e dove vado. Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado. Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno. E anche se io giudico, il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato. E nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera. Sono io che do testimonianza di me stesso, e anche il Padre, che mi ha mandato, dà testimonianza di me». Gli dissero allora: «Dov’è tuo padre?». Rispose Gesù: «Voi non conoscete né me né il Padre mio; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio». Gesù pronunciò queste parole nel luogo del tesoro, mentre insegnava nel tempio. E nessuno lo arrestò, perché non era ancora venuta la sua ora.

Gv 8,12-20

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Martedì 19 marzo 2013

Giuseppe suo sposo era uomo giusto

Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo. Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.

Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore.

Mt 1,16.18-21. 24a

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Mercoledì 20 marzo 2013

La verità vi farà liberi

In quel tempo, Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato».

Gv 8,31-42

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Giovedì 21 marzo 2013

Raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui

In quel tempo, Gesù disse ai Giudei: «In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: ”È nostro Dio!”, e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

Gv 8,51-59

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Venerdì 22 marzo 2013

Tu, che sei uomo, ti fai Dio

In quel tempo, i Giudei raccolsero delle pietre per lapidare Gesù. Gesù disse loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre; per quale di esse volete lapidarmi?». Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio». Disse loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: “Io ho detto: voi siete dèi”? Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio – e la Scrittura non può essere annullata -, a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: “Tu bestemmi”, perché ho detto: “Sono Figlio di Dio”? Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre». Allora cercarono nuovamente di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani. Ritornò quindi nuovamente al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui rimase. Molti andarono da lui e dicevano: «Giovanni non ha compiuto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero». E in quel luogo molti credettero in lui.

Gv 10,31-42

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Sabato 23 marzo 2013

Decisero di ucciderlo

In quel tempo, molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che Gesù aveva compiuto, [ossia la risurrezione di Làzzaro,] credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto. Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinèdrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo. Gesù dunque non andava più in pubblico tra i Giudei, ma da lì si ritirò nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Èfraim, dove rimase con i discepoli. Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?».

Gv 11,45-56

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