Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione dal 14 al 20 aprile 2013

Santena – 14 aprile 2013 – Alcune proposte di riflessione, per i giorni dal 14 al 20 aprile 2013, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.

Domenica 14 aprile 2013

Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini

mare4In quei giorni, il sommo sacerdote interrogò gli apostoli dicendo: «Non vi avevamo espressamente proibito di insegnare in questo nome? Ed ecco, avete riempito Gerusalemme del vostro insegnamento e volete far ricadere su di noi il sangue di quest’uomo». Rispose allora Pietro insieme agli apostoli: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce. Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore, per dare a Israele conversione e perdono dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono». Fecero flagellare [gli apostoli] e ordinarono loro di non parlare nel nome di Gesù. Quindi li rimisero in libertà. Essi allora se ne andarono via dal Sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù.

At 5,27-32.40-41

All’Agnello lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli

Io, Giovanni, vidi, e udii voci di molti angeli attorno al trono e agli esseri viventi e agli anziani. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia e dicevano a gran voce:«L’Agnello, che è stato immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione». Tutte le creature nel cielo e sulla terra, sotto terra e nel mare, e tutti gli esseri che vi si trovavano, udii che dicevano:«A Colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli». E i quattro esseri viventi dicevano: «Amen». E gli anziani si prostrarono in adorazione.

Ap 5,11-14

Nessuno osava domandargli: «Chi sei?», sapevano che era il Signore

In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

Gv 21,1-19

La presenza del Risorto produce mutamenti e ricrea comunità

Il Risorto si manifesta presso il mare di Tiberiade ai discepoli smarriti (vangelo), è annunciato con audacia dagli apostoli nelle sinagoghe (I lettura) e dossologicamente celebrato nella liturgia cosmica (II lettura). Questo episodio che narra un’apparizione del Risorto ai discepoli è in realtà un racconto di resurrezione dei discepoli: un racconto in cui il passaggio dalla notte (v. 3) al mattino (v. 4), dunque dalle tenebre alla luce, si accompagna al passaggio dall’ignoranza alla conoscenza di Gesù (v. 4: “Non sapevano che era Gesù”; v. 12: “Sapevano che era Gesù”), dalla sterilità (v. 3: “non presero nulla”) alla pesca abbondante (vv. 6.8), dal non avere nulla da mangiare (v. 5) al partecipare al pasto imbandito da Gesù (vv. 9-12). La presenza del Risorto produce questi mutamenti e ricrea la comunità, che era ridotta a uno sparuto gruppo di gente smarrita. Nonostante le apparizioni, infatti, e dunque le conferme della resurrezione di Cristo di cui hanno fruito (cf. Gv 20), i discepoli sembrano conoscere un momento di de-vocazione aggregandosi a Pietro che riprende il mestiere abbandonato un tempo per seguire Gesù (“Io vado a pescare”: v. 3). La fede non è mai un dato, ma sempre un evento, un divenire che può conoscere progressi, ma anche regressioni. E anche esperienze di fede fatte possono essere vanificate e non lasciare traccia (che ne è delle parole del Signore che dà potere di rimettere i peccati? E della confessione di fede di Tommaso? Tutto sembra dimenticato). Ma l’esperienza della loro sterilità e impotenza, la dolorosa presa di coscienza del loro “nulla”, conduce i discepoli ad aprirsi alla visita dell’Altro, uno Sconosciuto, che appare sulla riva del lago. Il discepolo amato compie una confessione di fede (“È il Signore”: v. 7), mentre Pietro, che ha il compito di confermare nella fede i suoi fratelli (cf. Lc 22,32), è chiamato a una triplice confessione di amore (vv. 15-17). Se dietro al discepolo amato e a Pietro si devono intravedere le rispettive chiese (la grande chiesa petrina il cui messaggio spirituale è condensato nei Sinottici e la chiesa giovannea che nel quarto vangelo esprime la sua alterità) è allora interessante notare come la confessione di fede del discepolo amato, che in realtà è una comunicazione di fede rivolta a Pietro (“disse a Pietro: È il Signore”), rappresenta lo scambio di doni, la condivisione di ricchezze spirituali tra chiese diverse. Nel discepolo amato si manifesta il discernimento dell’amore, l’intuito dell’amore; Pietro, invece, è chiamato a riconoscere e coprire il proprio peccato (il triplice tradimento) con la triplice confessione di amore nei confronti di Gesù, e a declinare il proprio amore come fatica della sequela (“Tu seguimi”: v. 19). La sequela richiesta a Pietro è anche la cifra spirituale dei vangeli Sinottici, mentre il rimanere (o dimorare), applicato al discepolo amato (cf. Gv 21,22-23), caratterizza il quarto vangelo. Il capitolo finale del quarto vangelo appare così una sorta di documento ecumenico, una carta di intesa tra la grande chiesa e la chiesa giovannea, fra tradizione sinottica e tradizione giovannea, intesa che si rese necessaria dopo la morte dei due apostoli (supposta dal v. 19 per Pietro e dal v. 23 per il discepolo amato). Le differenze tra le due tradizioni evangeliche ed ecclesiali, personalizzate nei due protagonisti del nostro testo, lungi dall’essere sentite come esclusive l’una dell’altra, sono custodite come ricchezza nel Canone dei vangeli e sono sigillate dall’unico pasto che il Signore imbandisce per tutti: unico il Signore, unica l’Eucaristia, unica la fede. In queste condizioni la missione (la pesca) mostra la sua fecondità. Se, come pare, la parte destra della barca e i centocinquantatre grossi pesci sono un rimando al testo di Ez 47,1-12 (lato destro del tempio, acque pescose, 153 come numero che rinvia, in base alla ghematria, al toponimo Eglaìm: Ez 47,10; ecc.), allora siamo di fronte alla visione della chiesa come tempio escatologico, alla comunità cristiana come luogo della missione universale e della presenza di Dio manifestata nel Risorto.

Comunità di Bose

La vicinanza di Gesù comporta la fine della notte

“In quella notte non presero nulla!”, scrive l’evangelista (Gv 21,3). È l’amara esperienza di Pietro, Tommaso, Natanaele, dei figli di Zebedeo e di altri due discepoli (sette in tutto, simbolo dell’universalità, primo seme della Chiesa), dopo una faticosa notte di pesca. È un’esperienza non dissimile da quella di tanti uomini e di tante donne, di tanti giorni e di tante notti: non produrre nulla. La “notte”, in questi casi, non è solo una notazione temporale. È segno dell’assenza del Signore e del conseguente smarrimento; è il segno dell’inutilità di tanti sforzi. Ma all’alba un uomo si fece accanto alla stanchezza degli apostoli e incontrò la loro fatica e la loro delusione. La vicinanza di Gesù, non importa se riconosciuto o no, comportò la fine della notte e, quel che conta, l’inizio di un nuovo giorno, di una nuova vita.
Egli chiese se avevano del pesce da mangiare. Quei sette furono costretti a confessare tutta la loro povertà e impotenza. Gesù, che peraltro non avevano ancora riconosciuto, con amicizia autorevole li invitò a cercare altrove: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. Quei sette uomini accolsero l’invito e, senza opporre resistenza alcuna, sebbene fosse più che ragionevole esprimerla, obbedirono: la pesca fu grande, miracolosa, oltre ogni misura. Di fronte a questa esperienza di fecondità e di gioia, uno dei discepoli, quello che Gesù amava, riconobbe la sua voce e disse agli altri: “È il Signore!”. Ancora una volta, per bocca del discepolo, risuonava agli apostoli l’annuncio della Pasqua, la vittoria del Signore sulla morte. Simon Pietro, nel sentire la vicinanza del Signore, comprese tutta la sua indegnità: si cinse subito i fianchi con una veste, era infatti nudo, si gettò nel lago e corse a nuoto verso Gesù. Gli altri, invece, vennero dietro con la barca trascinando la rete piena di pesci. A questo punto il Vangelo presenta una scena conviviale, piena di tenerezza: tutti erano insieme attorno a un fuoco di brace con del pesce sopra e del pane, preparato da Gesù. Nessuno osava domandargli nulla; rimasero senza parole, come quando veniamo superati dall’amore e dalla tenerezza. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai suoi discepoli. Per noi è la terza domenica che ci ritroviamo nella liturgia domenicale attorno all’invito che Gesù stesso ci rivolge, come fece allora ai suoi: “Venite a mangiare”. Oggi, come allora, vediamo ripetersi la stessa scena e sentiamo le medesime parole: “Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro”. È una scena a suo modo scarna, eppure colma di domande, soprattutto di una domanda: quella che Gesù, proprio all’alba del giorno, rivolse a Simon Pietro. Non era una domanda sul passato o sulle delusioni e neppure sulle non poche paure. Gli chiese solamente: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu più di costoro?”. Gesù interpellò Pietro sull’amore. Non gli ricordò il tradimento di qualche giorno prima: l’amore infatti copre un gran numero di peccati. E Pietro, che pure si era vergognato davanti a lui e gli era corso incontro, prontamente rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti amo”. Era una risposta più vera di quella che aveva dato quel giovedì sera nel cenacolo quando disse a Gesù: “Per te sono disposto ad andare in prigione e alla morte” (Lc 22,33). Ora, la risposta era più vera, più umana. E, a lui che non meritava nulla, Gesù disse: “Pasci i miei agnelli”; sii responsabile degli uomini e delle donne che ti affido. Proprio Pietro doveva essere il responsabile, lui che aveva mostrato di non essere in grado di restare fedele? Proprio lui? Sì, perché ora Pietro accoglieva l’amore che Gesù stesso gli donava e nell’amore si diviene capaci di parlare, di testimoniare e di prendersi cura degli altri. Gesù non lo interrogò una volta sola sull’amore, ma tre volte, ossia sempre. Ogni giorno, ci viene chiesto se amiamo il Signore. Ogni giorno, ci viene affidata la cura degli altri. L’unica forza, l’unico titolo, che ci permette di vivere è l’amore per il Signore. Gesù disse ancora a Pietro: “Quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo e andavi dove volevi”. Pietro forse ricordò la sua giovinezza di pescatore a Betania, quando si alzava presto per andare a pescare, quando usciva di casa per girare dove voleva. Ricordò forse anche le sue delusioni e magari anche il luogo dove incontrò per la prima volta Gesù. Mentre gli tornavano in mente questi pensieri, Gesù aggiunse: “Quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi”. Il Vangelo spiega che si parla della sua morte; ma Pietro, come ogni credente, non sarà lasciato solo: quell’amore sul quale siamo interrogati impegna il Signore prima che noi. È lui infatti che ci ha amati per primo e mai più ci abbandonerà, anche quando “un altro ci cingerà la veste e ci porterà dove noi non vorremmo”. Quel che conta è la fedeltà a quella scena sulla riva del lago, che ogni domenica si ripete per noi. Quella scena ha un sapore di eternità

Comunità di Sant’Egidio

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Lunedì 15 aprile 2013

Datevi da fare per il cibo che rimane per la vita eterna

Il giorno dopo, la folla, rimasta dall’altra parte del mare, vide che c’era soltanto una barca e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma i suoi discepoli erano partiti da soli. Altre barche erano giunte da Tiberìade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signore aveva reso grazie. Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».

Gv 6,22-29

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Martedì 16 aprile 2013

Chi viene a me non avrà fame

In quel tempo, la folla disse a Gesù: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

Gv 6,30-35

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Mercoledì 17 aprile 2013

Volontà del Padre: chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita

In quel tempo, disse Gesù alla folla:«Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai! Vi ho detto però che voi mi avete visto, eppure non credete. Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

Gv 6,35-40

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Giovedì 18 aprile 2013

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo

In quel tempo, disse Gesù alla folla:«Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Gv 6,44-51

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Venerdì 19 aprile 2013

Colui che mangia me vivrà per me

In quel tempo, i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.

Gv 6,52-59

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Sabato 20 aprile 2013

Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna

In quel tempo, molti dei suoi discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

Gv 6,60-69

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