Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal 26 maggio al 1° giugno 2013

Santena – 26 maggio 2013 – Alcune proposte di riflessione, per i giorni dal 26 maggio al 1° giugno 2013, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.

Domenica 26 maggio 2013

Quando egli fissava i cieli, io ero là

nubi 21Così parla la Sapienza di Dio: «Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, all’origine. Dall’eternità sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi della terra. Quando non esistevano gli abissi, io fui generata, quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d’acqua; prima che fossero fissate le basi dei monti, prima delle colline, io fui generata, quando ancora non aveva fatto la terra e i campi né le prime zolle del mondo. Quando egli fissava i cieli, io ero là; quando tracciava un cerchio sull’abisso, quando condensava le nubi in alto, quando fissava le sorgenti dell’abisso, quando stabiliva al mare i suoi limiti, così che le acque non ne oltrepassassero i confini, quando disponeva le fondamenta della terra, io ero con lui come artefice ed ero la sua delizia ogni giorno: giocavo davanti a lui in ogni istante, giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo».

Pro 8,22-31

Noi siamo in pace con Dio

Fratelli, giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio. E non solo: ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.

Rm 5,1-5

 

Lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Gv 16,12-15

 

Dio si comunica agli uomini nel dono dell’amore

La prima lettura presenta quella figura della Sapienza che rappresenta Dio nel suo comunicarsi agli uomini, nel suo entrare in relazione con loro, e questa comunicazione, che il Primo Testamento dice essere avvenuta essenzialmente attraverso la parola (e dunque anche attraverso il soffio che accompagna la parola), secondo il Nuovo Testamento è avvenuta pienamente in Gesù Cristo, la Parola fatta carne (cf. Gv 1,14), e nello Spirito santo, il Soffio divino. In particolare, la comunicazione di Dio agli uomini nel Figlio e nello Spirito si manifesta come comunicazione del dono dell’amore (II lettura). Lo Spirito completa nel credente l’opera di Cristo interiorizzando in lui la presenza del Figlio e guidandolo ad assumere e a portare la Parola di Dio che fa rinascere a figli di Dio (vangelo). I testi biblici utilizzati dalla liturgia per celebrare il mistero della Trinità divina sottolineano l’aspetto della comunicazione della vita divina agli uomini. Viene così rivelato che il Dio che si comunica all’umanità nello Spirito e nel Figlio Gesù Cristo è il Dio che è comunione e comunicazione in sé stesso. La Trinità, che esprime il “come” dell’unità di Dio e la esprime in termini di comunione interpersonale, fonda il fatto che noi possiamo parlare di Dio solo in termini di comunione. Se Dio è comunione nel suo stesso essere, se lo Spirito è Spirito di comunione e se Cristo è “persona comunitaria” inscindibile dal suo corpo che è la chiesa, allora la comunione è la natura stessa della chiesa: la chiesa di Dio o è comunione o non è. Dalla Trinità divina discende anche la visione della persona umana come relazionale: nella Trinità ogni persona è per l’altro e la persona umana si realizza nella relazione con l’altro. E discende la concezione dell’intangibilità e inalienabilità della persona umana: come i nomi delle tre persone trinitarie non sono confusi né interscambiabili, così la persona umana è un valore in sé, è un fine e non un mezzo, è una grandezza non sacrificabile a interessi sociali o pubblici o di altro tipo. La promessa dello Spirito è formulata da Gesù a partire dal suo sguardo che vede la debolezza dei discepoli, la loro incapacità a portare il peso delle parole che egli ancora avrebbe da dire (cf. Gv 16,12). La compassione del Figlio è all’origine della promessa dello Spirito il quale a sua volta è segno della compassione divina. Il testo suggerisce che nello Spirito santo la vulnerabilità di Dio incontra la debolezza umana. E la venuta dello Spirito diventa il cammino dell’uomo: “Quando verrà lo Spirito della verità egli vi guiderà verso tutta la verità” (Gv 16,13). La venuta dello Spirito orienta il cammino dell’uomo verso Cristo, e verso il Cristo che è “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). Colui che è la verità è anche la via: la comunicazione della vita divina all’uomo grazie allo Spirito diviene così cammino quotidiano sempre da riprendere ascoltando e interiorizzando la Parola di Dio che conforma il credente al Figlio. Lo Spirito che introduce nella vita divina è segno di un’assenza (“Se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore”: Gv 16,7) e espressione di un silenzio, di un non-detto (cf. Gv 16,12): la vita spirituale del credente diviene dunque un far abitare nel credente la presenza e la Parola del Signore grazie all’accoglienza dello Spirito. La comunicazione di Dio all’uomo avviene anche grazie al ritrarsi di Cristo e al suo silenzio. E anche la comunicazione intraumana avviene non solo con la parola e la presenza dell’uno all’altro, ma anche con il silenzio e la discrezione. Lo Spirito, comunicando (o “annunciando”, come traduce la Bibbia CEI: vv. 13.14.15) all’uomo il mistero di Dio, glorifica il Figlio. E il credente glorifica il Signore accogliendo la comunicazione divina e facendosi dimora della sua presenza. E la glorificazione si manifesta come amore, amore di Dio e amore del credente “Chi mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23).

Comunità di Bose

L’intera umanità non sarà se stessa al di fuori della comunione

La festa della Trinità, che il calendario liturgico latino celebra dopo la domenica della Pentecoste, apre l’ultimo e lungo periodo dell’anno liturgico. È un periodo che viene chiamato “tempo ordinario”, perché non ha nessuna memoria particolare della vita di Gesù. Tuttavia non è un tempo meno significativo del precedente. Potremmo anzi dire che la festa della SS.ma Trinità proietta la sua luce su tutti i giorni seguenti, quasi a dilatare nel tempo l’abitudine che abbiamo di iniziare ogni nostra azione, e ogni nostra giornata, nel “nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Purtroppo dobbiamo constatare che il mistero della Trinità, in genere, è ritenuto poco significativo per la nostra vita, per il nostro comportamento (un teologo moderno amareggiato per questo, scriveva: “Sembra che poco importi, sia nella dottrina della fede come nell’etica, che Dio sia Uno e Trino”). La Trinità è ritenuta un “mistero” semplicemente perché non riusciamo a comprenderlo. La santa Liturgia, riproponendo questo grande e santo mistero alla nostra attenzione, viene incontro alla pochezza e alla inveterata distrazione di ciascuno di noi. Giustamente diciamo “riproporre”, perché questo mistero è presente in tutta la vita di Gesù, fin dal Natale. È anzi il mistero che guida l’intera storia del mondo fin dalla creazione. È questo il senso del bellissimo brano della Scrittura tratto dal libro dei Proverbi. Il testo ci presenta la Sapienza di Dio, personificata, che si esprime: “Quando non esistevano gli abissi, io fui generata… quando (Dio) ancora non aveva fatto la terra… io ero là, quando (Dio) disponeva le fondamenta della terra, allora io ero con lui come architetto ed ero la sua delizia ogni giorno, mi rallegravo davanti a lui in ogni istante; giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo” (Pr 8,22-31). La tradizione cristiana ha visto nella Sapienza quel “Verbo” che “era nel principio” e per mezzo del quale tutto è stato fatto. L’intero processo creativo è radicalmente segnato dal dialogo tra Dio e la Sapienza, tra il Padre e il Figlio. Il Vangelo di Giovanni scrive: “Egli (il Verbo) era in principio presso Dio; tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste” (Gv 1,2-3). Le “fondamenta della terra”, ossia il cuore di ogni realtà umana, hanno l’impronta di questo singolarissimo rapporto che c’è tra il Padre e il Figlio. Potremmo dire che ogni cosa porta il “segno” della comunione tra il Padre e il Figlio. Non senza ragione e con grande profondità alcuni Padri dell’antica Chiesa parlavano dei semina Verbi, ossia dell’impronta del Verbo presente in tutta la creazione, in ogni uomo, in tutte le fedi, in tutte le culture. Nulla è estraneo alla Trinità, perché tutto è stato fatto ad immagine di Dio. La Lettera ai Romani parla dell’amore di Dio effuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo (Rm 5,1-5), lo Spirito che ci rende tempio di Dio, sua casa, suoi familiari. Il Vangelo di Giovanni (16,12-15) riporta alcune delle parole di Gesù ai discepoli la sera dell’ultima cena. Quante cose aveva ancora da dire loro, prima di lasciarli! Non solo non aveva più tempo a disposizione; soprattutto i discepoli non erano ancora capaci di comprendere appieno quanto avrebbe dovuto dire loro. Ma li rassicurò: “Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma vi dirà tutto ciò che ha udito e vi annunzierà le cose future”. Lo Spirito trascina i discepoli verso il cuore di Dio, il mondo di Dio, la vita di Dio, che è comunione di amore tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Dio, il Dio cristiano (e dobbiamo domandarci se tanti cristiani credono nel “Dio di Gesù”!), non è una monade, un’entità singola, magari potente e maestosa. Il Dio di Gesù è una “famiglia” di tre persone e si potrebbe dire che la loro unità nasce dall’amore: si vogliono così bene da essere una cosa sola. Questa incredibile “famiglia” è entrata nella storia degli uomini per chiamare tutti a farne parte. Sì! Tutti sono chiamati a far parte di questa singolarissima “famiglia di Dio”. All’origine e al termine della storia c’è questa comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. L’orizzonte trinitario ci avvolge tutti, così che la “comunione” è il nome di Dio e la verità della creazione. Tale orizzonte è senza dubbio la sfida più bruciante oggi lanciata alla Chiesa, anzi a tutte le Chiese cristiane, vorrei aggiungere a tutte le religioni, a tutti gli uomini. È la sfida a vivere nell’amore, certi che là dove c’è amore, c’è Dio. Lo aveva intuito bene il “profeta” dell’anonimo poema di Khalil Gibran: “Quando ami non dire: Ho Dio nel cuore, ma piuttosto: Sono nel cuore di Dio”. La forza che il Signore dona ai suoi figli cura la carne dell’umanità ferita dall’ingiustizia, dalla cupidigia, dalla sopraffazione, dalla guerra e costituisce l’energia per alzarsi e incamminarsi verso la comunione. Era il disegno di Dio sin dall’inizio della creazione. C’è, infatti, una corrispondenza tra il processo creativo e la vita interna di Dio stesso. Non a caso Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo”. L’uomo, inizialmente il termine indicava sia l’uomo che la donna, non era stato creato ad immagine di un Dio solitario, ma di un Dio che è amore di tre persone. L’intera umanità non sarà se stessa al di fuori della comunione. Solo all’interno della comunione gli uomini potranno salvarsi. A ragione perciò il Vaticano II ricorda a tutti i credenti che Dio non ha voluto salvare gli uomini singolarmente, ma radunandoli in un popolo santo. La Chiesa nata dalla comunione e ad essa destinata si trova perciò ad essere impegnata nel vivo della storia di questo inizio di millennio come lievito di comunione e di amore. È un compito alto ed urgente che rende davvero meschine (e colpevoli) le liti e le incomprensioni interne. Sono le liti all’interno delle nostre comunità, sono le divisioni all’interno delle Chiese cristiane, sono le divisioni diffuse che lacerano la comunione tra i popoli. Chi resiste all’energia di comunione diviene complice dell’opera del “principe del male” che è spirito di divisione. Per questo l’apostolo Paolo, per farci sentire l’urgenza della comunione, può ripetere ancora oggi: “Che il sole non tramonti sulla vostra ira” (Ef 4,26). La festa della Trinità è un invito pressante ad inserirci nel dinamismo stesso di Dio che ci chiama a vivere la sua stessa vita. Il Signore realizza la salvezza, come dice il Concilio Vaticano II, raccogliendo gli uomini e le donne attorno a sé in una grande e sconfinata famiglia. La salvezza si chiama, appunto, comunione con Dio e tra gli uomini.

Comunità di Sant’Egidio

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Lunedì 27 maggio 2013

Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri

In quel tempo, mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».

Mc 10,17-27

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Martedì 28 maggio 2013

Riceva già ora cento volte tanto insieme a persecuzioni, e la vita eterna

In quel tempo, Pietro prese a dire a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà. Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi».

Mc 10,28-31

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Mercoledì 29 maggio 2013

Voi non sapete quello che chiedete

In quel tempo, mentre erano sulla strada per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti ai discepoli ed essi erano sgomenti; coloro che lo seguivano erano impauriti. Presi di nuovo in disparte i Dodici, si mise a dire loro quello che stava per accadergli: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani, lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno, e dopo tre giorni risorgerà». Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Mc 10,32-45

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Giovedì 30 maggio 2013

Àlzati, ti chiama

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

Mc 10,46-52

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Venerdì 31 maggio 2013

Fu colmata di Spirito Santo

In quei giorni, Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Lc 1,39-56

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Sabato 1 giugno 2013

Con quale autorità fai queste cose?

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli andarono di nuovo a Gerusalemme. E, mentre egli camminava nel tempio, vennero da lui i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani e gli dissero: «Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di farle?». Ma Gesù disse loro: «Vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi». Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: “Dal cielo”, risponderà: “Perché allora non gli avete creduto?”. Diciamo dunque: “Dagli uomini”?». Ma temevano la folla, perché tutti ritenevano che Giovanni fosse veramente un profeta. Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo». E Gesù disse loro: «Neanche io vi dico con quale autorità faccio queste cose».

Mc 11,27-30

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