Una pausa per lo spirito – Proposte di riflessione per i giorni dal 2 all’8 giugno 2013


Santena – 2 giugno 2013 – Alcune proposte di riflessione per i giorni dal 2 all’8 giugno 2013, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.

Domenica 2 giugno 2013

Sia benedetto Abram dal Dio altissimo

In quei giorni, Melchìsedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole: «Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici».

E [Abramo] diede a lui la decima di tutto.

Gen 14,18-20

Io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso

OLYMPUS DIGITAL CAMERAFratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.

1 Cor 11, 23-26

Voi stessi date loro da mangiare

In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Lc 9,11-17

L’Eucaristia espressione di tutto l’anelito umano alla comunione con Dio

Prefigurata dall’offerta di pane e vino attuata da Melchisedek (I lettura) e annunciata dal banchetto di pani e pesci imbandito da Gesù per le folle (vangelo), l’Eucaristia è per Gesù segno dell’offerta dell’intera sua vita (II lettura). Il carattere di prefigurazione eucaristica dell’episodio narrato nella Genesi (Gen 14,18-20) è espresso anche dalla memoria, presente nella preghiera eucaristica I (Canone Romano), dell’“offerta pura a santa di Melchisedek, tuo sommo sacerdote” accetta a Dio. Il pane e il vino rivestono una importante e molteplice valenza simbolica. Essi rappresentano la natura (sono frutti della terra) e la cultura (sono frutti del lavoro umano); sono cibo e bevanda, dunque gli elementi vitali per eccellenza che accompagnano l’uomo dal suo nascere al suo morire durante tutta la sua vita; pane e vino rinviano alla tavola e dunque alla convivialità e alla comunione che si stabilisce attorno alla tavola; essi rinviano anche alla nostra condizione corporale: il corpo sente e patisce fame e sete, il corpo è sostentato dal cibo, ma il cibo, pur nutrendo il corpo, non può liberarlo dalla morte. Il cibo eucaristico, significato da questi simboli della vita così elementari e pregnanti come il pane e il vino, anticipa e prefigura quella vita eterna e quella comunione senza più ombre con Dio che, donata in Cristo, sarà realtà per sempre e per tutti nel Regno di Dio. Insomma, mentre fa memoria di tutta la vita di Cristo, l’Eucaristia assume anche l’intera vita dell’uomo attraverso i simboli del pane e del vino. La pagina della Genesi e la ripresa dell’esempio di Mechisedek nel Canone Romano consentono anche di cogliere la dimensione universale dell’Eucaristia: l’incontro di Abramo con Melchisedek è l’incontro della fede nel Dio uno, JHWH, il Dio d’Israele, con la tradizione religiosa cananea di Melchisedek e del popolo gebuseo. In certo modo, dunque, Melchisedek può essere colto come rappresentante dell’offerta che dall’intera umanità sale a Dio, dall’umanità che non ha conosciuto la rivelazione. E questo ricorda a noi cristiani che l’Eucaristia è azione di grazie che la chiesa compie a nome di tutta la creazione, per tutto il mondo e su tutto il mondo. L’Eucaristia è preghiera delle preghiere: in essa sfociano tutte le nostre preghiere, ma essa è anche espressione di tutto l’anelito umano alla comunione con Dio. Vi è una dimensione cosmica, creazionale e universale nell’Eucaristia che non può essere dimenticata. Il mondo e l’intera umanità che Cristo ha riconciliato con Dio sono presenti nell’Eucaristia: nel pane e nel vino, nella persona e nel corpo dei fedeli e nelle preghiere che essi offrono per tutti gli uomini. Nella pagina evangelica il comando che Gesù rivolge ai discepoli di dar da mangiare loro stessi alle folle affamate e stanche al declinare del giorno (cf. Lc 9,13), interpella in profondità l’agire ecclesiale. Quel “date loro voi stessi da mangiare” non può essere ridotto ad appello alla generosità né compreso come esortazione a mutare un sistema economico sociale fondato sulla proprietà privata su un regime basato sulla condivisione e nemmeno inteso come invito a un’efficiente e adeguata organizzazione assistenziale della carità. Quel comando contesta l’indifferenza e il disimpegno verso l’altro nel bisogno (“Congeda la folla perché vada nei villaggi per alloggiare e trovar cibo”: Lc 9,12) e suscita l’obiezione dei discepoli che vedono la loro povertà come impedimento ad assolverlo (“Non abbiamo che cinque pani e due pesci”: Lc 9,13). Il comando evangelico urta, ieri come oggi, contro i parametri di buon senso, razionalità, efficienza che pervadono anche la chiesa. Paradossalmente, proprio la povertà che i discepoli vedono come ostacolo, è per Gesù lo spazio necessario del dono e l’elemento indispensabile affinché quel “dar da mangiare” non sia solo dispiegamento di efficienza umana, ma segno della potenza, della benedizione e della misericordia di Dio e luogo di instaurazione di fraternità e di comunione.

Comunità di Bose

Gesù continua a prendere il pane e a spezzarlo per tutti

Quella sera a Emmaus, dalla bocca di due discepoli, confortati nella loro tristezza da uno straniero fattosi loro compagno di viaggio, uscì quella semplice e splendida invocazione: “Resta con noi, perché si fa sera” (Lc 24,29). Da allora, quello straniero è restato sempre con gli uomini. Si è fatto compagno del loro cammino lungo la storia. Mentre i discepoli di ogni nazione si incamminavano lungo i più diversi sentieri del mondo, egli era in mezzo a loro per confortarli e ammaestrarli e, perché no, anche per correggere, tagliare e sciogliere durezze e incomprensioni. Si sono moltiplicate le case dei discepoli e Gesù in ognuna di esse continua a prendere il pane e a spezzarlo per tutti. Quel pane spezzato è divenuto nutrimento e sostegno nel cammino dei credenti. In tal senso la festa del Corpo e Sangue di Cristo, seppure istituita dalla Chiesa dodici secoli dopo quella cena di Emmaus, affonda le sue radici proprio in quei giorni. Potremmo dire meglio: questa festa si pone tra il cenacolo di Gerusalemme e quello di Emmaus, che racchiudono la morte e la resurrezione del Signore.
La liturgia di questa domenica ci ripropone, con la narrazione dell’ultima Cena fatta da Paolo ai Corinzi, quelle parole così forti e concrete: “Questo è il mio corpo”, “Questo è il mio sangue”. Davvero è il mistero della fede, come noi diciamo nella liturgia eucaristica subito dopo la consacrazione. Ed è un mistero grande, non tanto nel senso che non si capisce. Infatti, più che di una realtà misteriosa nel campo della conoscenza intellettiva, qui si tratta di un incredibile segno di amore del Signore. È il mistero di una continua e particolarissima presenza. Dico particolarissima perché Gesù, nell’eucaristia, non è solo presente realmente (ed è già cosa grande), ma è anche presente come corpo “spezzato” e come sangue “versato”. Non è quindi presente in qualsiasi modo, ma nella sua dimensione di amico che dona la vita per coloro che egli ama. In tale senso, la festa del Corpus Domini è la festa di un corpo che può mostrare le ferite, la festa di un corpo dal cui costato escono “sangue e acqua”, come nota l’apostolo Giovanni.
Nella tradizione di questa festa, in alcune parti ancora particolarmente viva, l’Eucaristia traversa le strade della città e dei paesi spesso addobbate con fiori per il passaggio del Signore. È giusto far festa. Abbiamo infatti bisogno che nelle nostre strade continui a passare uno che non è venuto per essere servito ma per servire, sino a dare la sua vita per molti. Ma, si badi bene, il Signore può venire solo sotto le sembianze di uno straniero (come fu per quei discepoli di Emmaus), ossia di uno che non è dei nostri, che non fa parte del nostro giro, che non la pensa come noi. Viene da fuori. Il suo stesso corpo è presente in mezzo a noi in modo diverso dal nostro. Noi siamo attenti e preoccupati per il nostro corpo: egli invece è presente con un corpo “spezzato”. Noi siamo tesi a difenderci con cure e ogni genere di espedienti: egli passa tra noi versando tutto il suo sangue. Quell’ostia è una contestazione continua (in questo senso è “straniera”) al nostro modo di vivere, alle attenzioni così premurose per star bene, al nostro risparmiarci dalla fatica, al nostro rifuggire da ogni responsabilità gravosa. Insomma ognuno di noi tira al risparmio quando si tratta di spendersi per gli altri. Il Signore, in quell’ostia, si mostra esattamente una concezione opposta. Ben venga allora la processione del Corpus Domini! Traversi le nostre strade, non semplicemente per ricevere un esteriore tributo di festa, piuttosto perché possa traversare i nostri cuori e renderli simili al cuore di Gesù. Il destino della Parola del Signore, la quale “è più tagliente di una spada a doppio taglio” (Eb 4,12), è lo stesso del suo corpo: ci è dato perché noi ci trasformiamo in lui. È quanto dice Paolo: il Signore si è fatto nutrimento per gli uomini, perché noi tutti fossimo trasformati in un solo corpo, quello di Cristo; perché abbiamo gli stessi sentimenti di Cristo.
C’è allora un’ulteriore considerazione da fare, legata al Vangelo della moltiplicazione dei pani. Le nostre strade ogni giorno sono traversate da processioni del Corpus Domini, anche se non si addobba il percorso e non si gettano i fiori (c’è piuttosto chi spande indifferenza, quando non insulti!). Si tratta delle processioni dei poveri, di quelli di casa nostra, di quelli che arrivano da fuori e dei tantissimi che sono lontani da noi. Tutti costoro sono il “corpo di Cristo” e continuano a percorrere le strade delle nostre città e del mondo senza che alcuno si prenda cura di loro. Mi pare decisivo l’ammonimento di san Giovanni Crisostomo: “Se volete onorare il corpo di Cristo, non disdegnatelo quando è ignudo. Non onorate il Cristo eucaristico con paramenti di seta, mentre fuori del tempio trascurate quest’altro Cristo che è afflitto dal freddo e dalla nudità”. Ambedue sono il corpo reale di Cristo. E Cristo non è diviso, a meno che non lo dividiamo noi.

Comunità di Sant’Egidio

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Lunedì 3 giugno 2013

Un uomo piantò una vigna…

In quel tempo, Gesù si mise a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti, agli scribi e agli anziani]: «Un uomo piantò una vigna, la circondò con una siepe, scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Al momento opportuno mandò un servo dai contadini a ritirare da loro la sua parte del raccolto della vigna. Ma essi lo presero, lo bastonarono e lo mandarono via a mani vuote. Mandò loro di nuovo un altro servo: anche quello lo picchiarono sulla testa e lo insultarono. Ne mandò un altro, e questo lo uccisero; poi molti altri: alcuni li bastonarono, altri li uccisero. Ne aveva ancora uno, un figlio amato; lo inviò loro per ultimo, dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma quei contadini dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e l’eredità sarà nostra!”. Lo presero, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna. Che cosa farà dunque il padrone della vigna? Verrà e farà morire i contadini e darà la vigna ad altri. Non avete letto questa Scrittura: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi?”». E cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla; avevano capito infatti che aveva detto quella parabola contro di loro. Lo lasciarono e se ne andarono.

Mc 12,1-12

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Martedì 4 giugno 2013

Perché volete mettermi alla prova?

In quel tempo, mandarono da Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso. Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?». Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio». E rimasero ammirati di lui.

Mc 12,13-17

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Mercoledì 5 giugno 2013

Non è Dio dei morti, ma dei viventi!

In quel tempo, vennero da Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e lo interrogavano dicendo: «Maestro, Mosè ci ha lasciato scritto che, se muore il fratello di qualcuno e lascia la moglie senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. C’erano sette fratelli: il primo prese moglie, morì e non lasciò discendenza. Allora la prese il secondo e morì senza lasciare discendenza; e il terzo ugualmente, e nessuno dei sette lasciò discendenza. Alla fine, dopo tutti, morì anche la donna. Alla risurrezione, quando risorgeranno, di quale di loro sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Rispose loro Gesù: «Non è forse per questo che siete in errore, perché non conoscete le Scritture né la potenza di Dio? Quando risorgeranno dai morti, infatti, non prenderanno né moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli. Riguardo al fatto che i morti risorgono, non avete letto nel libro di Mosè, nel racconto del roveto, come Dio gli parlò dicendo: “Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe”? Non è Dio dei morti, ma dei viventi! Voi siete in grave errore».

Mc 12,18-27

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Giovedì 6 giugno 2013

Qual è il primo di tutti i comandamenti?

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi». Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

Mc 12,28-34

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Venerdì 7 giugno 2013

Rallegratevi con me

In quel tempo, Gesù disse ai farisei e agli scribi questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione».

Lc 15, 3-7

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Sabato 8 giugno 2013

Erano pieni di stupore per le sue risposte

I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore.

Lc 2, 41-51

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