Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal 7 al 13 luglio 2013

Santena – 7 luglio 2013 – Di seguito, alcune proposte di riflessione, per i giorni dal 7 al 13 luglio 2013, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.

Domenica 7 luglio 2013

Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò

Cristo in croceRallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa tutti voi che l’amate. Sfavillate con essa di gioia tutti voi che per essa eravate in lutto. Così sarete allattati e vi sazierete al seno delle sue consolazioni; succhierete e vi delizierete al petto della sua gloria.

Perché così dice il Signore: «Ecco, io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la pace; come un torrente in piena, la gloria delle genti. Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati. Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati. Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore, le vostre ossa saranno rigogliose come l’erba. La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi».

Is 66,10-14

Non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo

Fratelli, quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio. D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen.

Gal 6,14-18

Vi mando come agnelli in mezzo a lupi

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”».

Lc 10,1-9

L’unica forza è nella pace donata dal Signore e nell’amore vicendevole

Domenica scorsa il Vangelo di Luca ci ha come inseriti nel viaggio di Gesù verso Gerusalemme. Ognuno di noi, mentre segue i suoi ritmi di vita, magari già segnati dalle vacanze, è preso dal Signore e coinvolto nel suo viaggio. Non siamo noi i maestri o coloro che scelgono la meta, eppure il viaggio è estremamente coinvolgente. In questa domenica l’evangelista ci associa ai settantadue discepoli inviati da Gesù: “Il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi” (v. l). Una prima riflessione riguarda il numero settantadue. Non è una semplice notazione quantitativa. Settantadue erano le nazioni della terra, secondo l’antica tradizione ebraica. È come dire che, fin dall’inizio, l’orizzonte evangelico si apre a tutti i popoli, a tutte le nazioni, a tutte le culture. Gesù, sin dai primi passi del suo viaggio, ha di fronte tutti i popoli e a loro invia i discepoli. Nessuno deve restare fuori dell’annuncio del Vangelo. La Pentecoste, quando tutte le nazioni che sono sotto il cielo “udirono annunziare nelle loro lingue le grandi opere di Dio” (At 2,11), inizia già qui, proprio mentre Gesù muove i suoi primi passi. Con lo sguardo rivolto ai confini della terra, Gesù dice ai discepoli: “La messe è molta”. Nessuno è escluso dal suo sguardo e dalla sua preoccupazione. Di fronte a questa moltitudine immensa, con un accento di tristezza, aggiunge: “Ma gli operai sono pochi” (v. 2).
Sì, c’è una sproporzione tra l’enorme attesa e il piccolo numero dei discepoli. Ma non si tratta di una semplice sproporzione numerica. Il problema sta più a fondo: è nella qualità dell’annuncio. Sta qui, io credo, la sfida che dobbiamo raccogliere. Per far fermentare la pasta è senza dubbio importante la quantità di lievito, ma è decisivo che sia davvero lievito. Ebbene, il problema sta tutto qui, sulla qualità del lievito. In altra parte del Vangelo si legge: “Se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato?” (Mt 5,13). Settantadue discepoli erano destinati ad altrettanti popoli. Noi forse siamo pochi e certamente dobbiamo crescere anche nel numero. Ma il problema cruciale non è nel numero bensì nella qualità. Insomma, non è che siamo pochi. Forse siamo poco un lievito, poco il sale, poca la luce. Ecco perché attorno a noi si vive spesso come se Dio non ci fosse. La messe resta molta, ma gli operai lavorano poco, sono tutti presi ognuno dai propri problemi, dalle proprie preoccupazioni. Sono per lo più tesi a salvare se stessi, ad arare il proprio piccolo campicello, a ritagliarsi la propria piccola tranquillità. E chi non ha bisogno di tranquillità? Questa è la preoccupazione che il Signore vuole comunicarci. Ma come essere bravi operai?
Il Vangelo ce lo suggerisce. Perché Gesù, di fronte a una messe così grande, manda i discepoli due a due? Non era più logico mandarli uno a uno e raddoppiare così i luoghi dell’annuncio? Bella la spiegazione che Gregorio Magno dà di questo passo evangelico. Il grande vescovo scrive che Gesù mandò i discepoli due a due perché la prima predica fosse anzitutto l’amore vicendevole e perché comunque le loro parole fossero testimoniate con la loro vita. Questo vuol dire essere lievito, sale e luce. “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). La comunione tra i fratelli è la prima grande predicazione. Ma dov’è la nostra comunione? Dove la preoccupazione perché noi cresciamo come una famiglia? Non siamo, invece, distanti gli uni dagli altri, ognuno per proprio conto? Ma “due a due” vuol dire aprirsi a tutti. Sì, l’evangelizzazione inizia dall’amore vicendevole e conduce ad allargare l’amore.
La Gerusalemme verso cui andiamo con il Signore, infatti, non è forse la città ove tutti gli uomini, tutte le nazioni, tutti i popoli si ritroveranno raccolti come in una sola famiglia? Per questo oggi ci scandalizza più che mai la “corsa” al frazionismo, allo smembramento, alla contrapposizione, alla lotta fratricida, alle guerre tra gruppi etnici che si ammantano talora anche della dimensione religiosa. La Chiesa, ogni comunità cristiana, sente ancora più vere le indicazioni di Gesù: “Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi” (v. 3). Non è un compito agevole per un “agnello” far cambiare vita al “lupo”. Non è facile sconfiggere l’individualismo e l’interesse per se stessi. Non è naturale distruggere gli idoli dell’arroganza, della competizione, della forza, per affermare la signoria di Dio. E tutto è ancora più difficile se questi “agnelli” debbono presentarsi senza “borsa, né bisaccia, né sandali”. L’unica loro forza è nella pace donata dal Signore e nell’amore vicendevole che la manifesta. È questa l’unica forza che i discepoli hanno. Qualcuno l’ha chiamata la “forza debole” della fede. È debole perché non ha né armi, né arroganza. Eppure è a tal punto forte da spostare i cuori degli uomini.
Le frasi finali del brano evangelico ce lo confermano: “I settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: Signore anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome” (v. 17). E Gesù: “Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico; nulla vi potrà danneggiare” (vv. 18-19). C’è dunque un potere dato ai discepoli: quello di voler bene a Dio e agli uomini a ogni costo e sopra ogni cosa. Questa è l’unica grande e fortissima ricchezza del cristiano.

Comunità di Sant’Egidio

La fraternità è già annuncio

L’annuncio che Dio, tramite il profeta, fa giungere al popolo ritornato dall’esilio babilonese è annuncio di pace (prosperità, shalom: Is 66,12), di salvezza e di giustizia che in una Sion immaginata come madre trova la sua manifestazione: Gerusalemme diviene luogo di consolazione (I lettura); l’annuncio che Gesù, tramite i settanta (o settantadue) discepoli, fa giungere alle città e villaggi nelle quali si sarebbe recato nel suo cammino verso Gerusalemme, è annuncio di pace, è proclamazione che il Regno di Dio si è fatto vicino. Pace e Regno di Dio sono manifesti in Gesù stesso (vangelo). Il testo evangelico contiene un ricco insegnamento sulla missione. I discepoli sono inviati per preparare la strada a Gesù (“li inviò avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi”: Lc 10,1). La missione è ancillare nei confronti del Signore, è annuncio e preparazione della sua venuta. Per questo i discepoli sono inviati a due a due: perché la loro comunione e fraternità è già annuncio del Regno, perché il Vangelo, che nell’amore trova il suo centro, è testimoniato adeguatamente da vite in relazione, da uomini che si aiutano e sostengono vicendevolmente, da persone che si amano.
Gli inviati sono pochi rispetto alla smisuratezza delle messe, sono dotati di pochi mezzi e di ancor meno certezze: povertà, minoranza, precarietà non sono deprecabili ostacoli che impediscono l’efficacia della missione, ma sono le condizioni poste da Gesù per la missione evangelica. La povertà degli inviati deve far risaltare il fatto che la missione è svolta dalla persona nella sua interezza. Non basta avere pochi mezzi, occorre essere poveri, non basta proclamare il Regno di Dio, occorre essere uomini di Dio, non basta annunciare la pace, occorre essere operatori di pace. Così gli inviati possono davvero essere “agnelli” (Lc 10,3) che seguono l’Agnello, Gesù Cristo. La missione, infatti, non è altra cosa rispetto alla sequela, non è una realtà a parte, ma ha senso proprio e solo come sequela Christi. In questo affidamento radicale al suo Signore, l’inviato potrà sperimentare la protezione che il Signore gli accorda: “Nulla potrà farvi del male” (Lc 10,19). Inviato in mezzo a lupi, senza alcuna assicurazione del successo della sua missione, anzi, essendo stato prevenuto dal Signore sulla possibile non accoglienza (cf. Lc 10,10), l’inviato potrà tuttavia conoscere in queste tribolazioni la certezza di fede di essere sulle tracce del Signore che conobbe la non accoglienza, il rifiuto, e non vi si ribellò. Come il suo Signore, l’inviato cristiano è chiamato ad accogliere la non accoglienza che gli uomini possono riservargli e ad annunciare a tutti che il Regno di Dio è vicino. La povertà e inermità dell’inviato è anche il luogo in cui può manifestarsi la potenza dello Spirito di Dio: “I demoni si sottomettono a noi nel tuo nome” (Lc 10,17). Vi è una forza straordinaria nell’estrema povertà, nel rifuggire tutto ciò che è potere e affermazione da parte dell’inviato di Cristo: anzitutto perché sempre la potenza di Dio si manifesta nella debolezza del credente, ma anche perché la piccolezza degli inviati viene sentita dai destinatari della missione come non minacciosa e perciò crea fiducia e rende possibile il miracolo dell’incontro tra diversi, tra lontani, che grazie proprio alla povertà possono avvicinarsi gli uni agli altri senza diffidenze e timori. Per questo Gesù non invia missionari a portare cibo, abiti e denaro a bisognosi, ma invia uomini senza denaro, senza provviste di cibo e “spogli”: “Non portate borsa, né bisaccia, né sandali” (Lc 10,4; in Lc 9,3 aggiunge: “Non portate due tuniche per ciascuno”). Ciò che devono portare è l’annuncio della vicinanza del Regno e dunque la necessità della conversione: per questo occorre non perdere tempo, non fermarsi a salutare nessuno per strada (cf. Lc 10,4), bruciare le parole cortesi per non ritardare l’annuncio essenziale. La povertà degli inviati è segno e testimonianza credibile di un Regno che essi stessi attendono come vitale. E questo atteggiamento dice la verità del loro annuncio.

Comunità di Bose

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Lunedì 8 luglio 2013

Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata

In quel tempo, [mentre Gesù parlava,] giunse uno dei capi, gli si prostrò dinanzi e disse: «Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi la tua mano su di lei ed ella vivrà». Gesù si alzò e lo seguì con i suoi discepoli. Ed ecco, una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni, gli si avvicinò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. Diceva infatti tra sé: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò salvata». Gesù si voltò, la vide e disse: «Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata». E da quell’istante la donna fu salvata. Arrivato poi nella casa del capo e veduti i flautisti e la folla in agitazione, Gesù disse: «Andate via! La fanciulla infatti non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma dopo che la folla fu cacciata via, egli entrò, le prese la mano e la fanciulla si alzò. E questa notizia si diffuse in tutta quella regione.

Mt 9,18-26

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Martedì 9 luglio 2013

Vedendo le folle, ne sentì compassione

In quel tempo, presentarono a Gesù un muto indemoniato. E dopo che il demonio fu scacciato, quel muto cominciò a parlare. E le folle, prese da stupore, dicevano: «Non si è mai vista una cosa simile in Israele!». Ma i farisei dicevano: «Egli scaccia i demòni per opera del principe dei demòni». Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».

Mt 9,32-38

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Mercoledì 10 luglio 2013

Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino

In quel tempo, chiamati a sé i suoi dodici discepoli, Gesù diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità. I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, colui che poi lo tradì. Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino».

Mt 10,1-7

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Giovedì 11 luglio 2013

…riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna

In quel tempo, Pietro gli rispose: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna».

Mt 19,27-29

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Venerdì 12 luglio 2013

Siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe

In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli: «Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato. Quando sarete perseguitati in una città, fuggite in un’altra; in verità io vi dico: non avrete finito di percorrere le città d’Israele, prima che venga il Figlio dell’uomo».

Mt 10,16-23

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Sabato 13 luglio 2013

Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio

In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli: «Un discepolo non è più grande del maestro, né un servo è più grande del suo signore; è sufficiente per il discepolo diventare come il suo maestro e per il servo come il suo signore. Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più quelli della sua famiglia! Non abbiate dunque paura di loro, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri! Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».

Mt 10,24-33

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