Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione dal 28 luglio al 3 agosto 2013

Santena – 28 luglio 2013 – di seguito, alcune proposte di riflessione, per i giorni dal 28 luglio al 3 agosto 2013, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.

Domenica 28 luglio 2013

Davvero sterminerai il giusto con l’empio?

fiore gialloIn quei giorni, disse il Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!». Quegli uomini partirono di là e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora alla presenza del Signore. Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?». Rispose il Signore: «Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell’ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutto quel luogo». Abramo riprese e disse: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere: forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?». Rispose: «Non la distruggerò, se ve ne troverò quarantacinque». Abramo riprese ancora a parlargli e disse: «Forse là se ne troveranno quaranta». Rispose: «Non lo farò, per riguardo a quei quaranta». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta». Rispose: «Non lo farò, se ve ne troverò trenta». Riprese: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola: forse là se ne troveranno dieci». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci».

Gen 18,20-32

Con Cristo sepolti con lui siete anche risorti

Fratelli, con Cristo sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti. Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe e annullando il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce.

Col 2,12-14

Insegnaci a pregare

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: “Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”». Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.

Lc 11,1-13

L’amicizia di Dio è trasparente, sincera

Spesso nei Vangeli si narra di Gesù che si ritira in luoghi solitari per pregare. Talvolta è lui stesso a comunicarlo ai discepoli, come quella sera drammatica nell’orto degli Ulivi: “Io vado là a pregare, voi sedetevi qui”, disse ai tre più amici. Non c’è dubbio che gli apostoli rimanevano toccati dal suo modo di pregare. Un giorno, riferisce Luca, al termine della preghiera uno dei discepoli si avvicinò e gli chiese: “Signore insegnaci a pregare, come anche Giovanni insegna ai suoi discepoli”. Forse, si potrebbe specificare la domanda in questo modo: “Signore insegnaci a pregare come preghi tu”. Infatti ogni profeta (compreso Giovanni) insegnava ai propri seguaci un metodo di preghiera. I discepoli di Gesù, colpiti dal modo di pregare del loro maestro, dal suo ritirarsi in un luogo solitario e soprattutto da come si rivolgeva a Dio, insistettero perché insegnasse loro a pregare allo stesso modo. C’era un senso di confidenza e di fiducia nella preghiera del loro maestro che li stupiva. Non avevano visto mai nessuno pregare in quel modo, con tale confidenza e tale fiducia. 
Oggi, assieme ai discepoli, anche noi diciamo: “Signore, insegnaci a pregare!” Non è la richiesta di un generico insegnamento sulla preghiera. È la stessa domanda dei discepoli di allora, ossia partecipare al suo modo di parlare con Dio, di stare alla sua presenza, di colloquiare con lui in modo così confidente tanto da chiamarlo “padre”. Gesù risponde subito anche a noi: “Quando pregate, dite: Padre, abbà, papà”. Sappiamo lo sconcerto che tale parola provocava in un ambiente ove neppure si osava chiamare Dio con il suo nome. Gesù spinge a chiamare “papà” il Signore che ha creato il cielo e la terra. Ogni distanza viene così abbattuta. Dio non è più lontano, è padre di tutti e ognuno può rivolgersi direttamente a lui senza bisogno di mediatori. Era una vera e propria rivoluzione della religiosità. Nella parola “padre”, “papà”, Gesù ci svela il mistero stesso del Dio di Gesù, del nostro Dio: da una parte la fiducia e la confidenza del figlio verso il Padre e dall’altra la tenerezza protettrice del Padre verso ognuno di noi. Ritorna, in certo modo, l’amicizia delle origini quando Dio passeggiava nel giardino con Adamo ed Eva. Nella preghiera, in effetti, conta la confidenza e l’immediatezza del rapporto con Dio. Il problema non è né il luogo, né le parole, ma il cuore, l’interiorità, l’amicizia con Dio. Fu così anche per Abramo, nostro padre nella fede. Esemplare e suggestivo è il dialogo che egli instaura con Dio quando intercede per salvare Sodoma, caduta nella dissoluzione e nel disordine. Dio dice a se stesso: “Devo io tenere nascosto ad Abramo quello che sto per fare?”. In altri termini: “Non posso nascondere ad un amico le mie intenzioni”. L’amicizia di Dio è trasparente, sincera. Si avvicina per primo ad Abramo e gli confida: “Il grido contro Sodoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave”. Ma Abramo si mise davanti a Dio, “gli si avvicinò” dice la Scrittura. C’è bisogno di avvicinarsi a Dio e presentargli i drammi, i problemi, le speranze di tanti. E Abramo iniziò la sua lunga intercessione: “Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse ci sono 50 giusti nella città”. Il Signore risponde: “Se troverò 50 giusti, la risparmierò”. E Abramo: “Ma forse ce ne sono 45; per 5 che ne mancano la distruggeresti?” Dio risponde: “Se ce ne sono 45, la risparmierò”. E Abramo: “Se a 45 ne mancano 5?”. E così sino a dieci.
Di fronte a questa drammatica preghiera vengono in mente le tante città e i tanti paesi sconvolti dalla guerra e dall’ingiustizia, dalla fame e dalla violenza: tutti hanno bisogno di un Abramo che interceda per loro. C’è bisogno di tanti amici di Dio, che con insistenza preghino perché le nostre città si salvino, perché il Vangelo tocchi il cuore degli uomini. Le voci di tali amici giungono sino all’orecchio di Dio, che è amico degli uomini. Egli non sembra fare altro che essere attento alla voce degli amici. Gesù lo sottolinea con due esempi limite, tratti dalla vita quotidiana: l’amico che arriva a mezzanotte e il padre che non darà mai una serpe al figlio che gli chiede un pesce. E conclude: “Se dunque voi, che siete cattivi sapete dare cose buone ai figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono?”. È un modo per dire la disponibilità senza limiti di Dio nel venire incontro alla nostra preghiera. Non sono determinanti le parole. Conta il cuore, la fiducia e quindi l’insistenza e la perseveranza nella preghiera. L’inefficacia della preghiera non dipende da Dio, ma dalla nostra poca fiducia in Lui. Chiediamo e ci sarà dato, cerchiamo e troveremo, bussiamo al cuore di Dio, come fece Abramo, e il Signore volgerà il suo sguardo su di noi.

Comunità di Sant’Egidio

La preghiera ha la capacità di forgiare l’uomo rendendolo un povero

La preghiera è il mistero che riceve luce dalle pagine di Genesi e di Luca. In particolare viene sottolineata la modalità della preghiera. Genesi presenta una preghiera di intercessione e la mostra come insistente e ostinata, capace di ricominciare sempre da capo. Essa è anche una lotta tra uomo e Dio, un faticoso incontrarsi tra esigenze dell’orante e libertà di Dio. La preghiera esige coraggio, capacità di resistenza, di non scoraggiarsi, esige parresia, cioè franchezza, libertà, audacia. Anche Gesù, nel suo insegnamento sulla preghiera, sottolinea gli aspetti di perseveranza e insistenza: nella preghiera si tratta di bussare, chiedere, cercare. Certi che il dono veramente necessario, il dono dello Spirito, non sarà negato a chi lo invoca (cf. Lc 11,13). Vedendo Gesù pregare, i suoi discepoli gli chiedono di insegnare loro a pregare, come anche Giovanni aveva insegnato ai suoi discepoli. Lungi dall’essere uno spontaneo manifestarsi di un impulso interiore, la preghiera è trasmessa, ricevuta attraverso una tradizione. “È attraverso una tradizione vivente che lo Spirito santo insegna a pregare ai figli di Dio, nella chiesa ‘che crede e prega’” (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2650). Questa trasmissione onora e rispetta ciò che la preghiera è in verità: un dono. Alla preghiera si può essere certamente educati da un padre spirituale, ma il primo e privilegiato luogo di formazione alla preghiera è la liturgia. Essa è suscitata nell’uomo dall’azione di Dio nella forza dello Spirito: la preghiera della chiesa non è solo leitourghía, azione comune, ma anche opus Dei, azione di (genitivo soggettivo) Dio. Nei tempi odierni in cui fioriscono forme pietistiche e devozionali, ricordare la liturgia come oggettivo luogo in cui si può e si deve imparare a pregare, è senz’altro essenziale. La preghiera ha la capacità di forgiare l’uomo rendendolo un povero: chiedere, cercare e bussare sono i gesti propri del mendicante, del cercatore, del pellegrino. Ed è proprio del povero anche l’atteggiamento di apertura e fiducia nei confronti di Colui che può donare. È la fiducia che può abitare nella relazione tra amici, come afferma la breve parabola dell’amico importuno (cf. Lc 11,5-8).
Ma decisiva nella preghiera è la categoria della filialità. Il Pater, la preghiera che il Signore ci ha insegnato, non è tanto una formula da imparare a memoria, ma la norma della preghiera cristiana (lex orationis: Tertulliano), la sintesi del vangelo (breviarium totius evangelii: Tertulliano), un canovaccio di vita cristiana che guida il credente a entrare nella relazione con il Padre, nel Figlio Gesù Cristo, per mezzo dello Spirito. Pregare significa entrare sempre più in profondità nella dimensione di figli di Dio.
Nella preghiera del Signore le domande fondamentali dell’uomo alle prese con la vita e con la morte (Chi sono? Da dove vengo? Dove vado?) trovano indicazioni di risposta. Io sono una creatura, amata e chiamata per nome da Dio Padre. Io sono anche un essere fallibile e peccatore, che ha bisogno del perdono come del pane quotidiano e che prega per non essere abbandonato in balia delle prove e per non soccombere nelle tentazioni. Nella mia piccolezza amata da Dio io sono anche destinato al Regno, sono chiamato alla santificazione, a vivere l’oggi narrando la santità di Dio con un agire improntato a giustizia e carità. Radicato in un passato che, in ultima istanza, è sotto il segno della paternità amorosa di Dio e lo situa nella fede, il credente vive il presente praticando la carità e il perdono verso i fratelli e si apre con speranza al futuro attendendo la venuta gloriosa del Signore e la comunione con lui nel Regno. Se il passo parallelo di Matteo afferma che Dio darà “cose buone” a coloro che le domandano (Mt 7,11), Luca parla dello “Spirito santo” come del dono che il Signore non fa mancare ai suoi fedeli (Lc 11,13). Lo Spirito è il dono dei doni, il dono veramente essenziale, quello che consente all’uomo di assumere il volere di Dio e farlo proprio giungendo così a pregare nel nome del Signore Gesù e a vivere nella libertà dei figli di Dio.

Comunità di Bose

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Lunedì 29 luglio 2013

Chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: In quel tempo, molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».

Gv 11,19-27

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Martedì 30 luglio 2013

I giusti splenderanno come il sole

In quel tempo, Gesù congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!».

Mt 13,36-43

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Mercoledì 31 luglio 2013

Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra».

Mt 13,44-46

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Giovedì 1 agosto 2013

Il regno dei cieli è simile a una rete

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche». Terminate queste parabole, Gesù partì di là.

Mt 13,47-53

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Venerdì 2 agosto 2013

A causa della loro incredulità, non fece molti prodigi

In quel tempo, Gesù venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi.

Mt 13, 54-58

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Sabato 3 agosto 2013

A Erode giunse notizia della fama di Gesù

 In quel tempo al tetrarca Erode giunse notizia della fama di Gesù. Egli disse ai suoi cortigiani: «Costui è Giovanni il Battista. È risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi!». Erode infatti aveva arrestato Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo. Giovanni infatti gli diceva: «Non ti è lecito tenerla con te!». Erode, benché volesse farlo morire, ebbe paura della folla perché lo considerava un profeta. Quando fu il compleanno di Erode, la figlia di Erodìade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode che egli le promise con giuramento di darle quello che avesse chiesto. Ella, istigata da sua madre, disse: «Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re si rattristò, ma a motivo del giuramento e dei commensali ordinò che le venisse data e mandò a decapitare Giovanni nella prigione. La sua testa venne portata su un vassoio, fu data alla fanciulla e lei la portò a sua madre. I suoi discepoli si presentarono a prendere il cadavere, lo seppellirono e andarono a informare Gesù.

Mt 14,1-12

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