Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal 6 al 12 ottobre 2013

Santena – 6 ottobre 2013 – Alcune proposte di riflessione, per i giorni dal 6 al 12 ottobre 2013, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.

Domenica 6 ottobre 2013

Soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà

fiammaFino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti, a te alzerò il grido: «Violenza!» e non salvi? Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione? Ho davanti a me rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese.

Il Signore rispose e mi disse: «Scrivi la visione e incidila bene sulle tavolette, perché la si legga speditamente. È una visione che attesta un termine, parla di una scadenza e non mentisce; se indugia, attendila, perché certo verrà e non tarderà. Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede».

Ab 1,2-3. 2,2-4

Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te

Figlio mio, ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza. Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo. Prendi come modello i sani insegnamenti che hai udito da me con la fede e l’amore, che sono in Cristo Gesù. Custodisci, mediante lo Spirito Santo che abita in noi, il bene prezioso che ti è stato affidato.

2Tm 1,6-8. 13-14

Abbiamo fatto quanto dovevamo

In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe. Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Lc 17,5-10

È in gioco il senso profondo della vita

“Fino a quando, Signore, implorerò e non ascolti, a te alzerò il grido: “Violenza!” e non soccorri? Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione? Ho davanti rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese” (vv. 2-3). Sono le parole iniziali del dialogo tra il profeta Abacuc e Dio. Non sappiamo nulla di questo profeta. Si presenta lui stesso come un freddo scettico che, nel suo abituale dialogo con Dio nel tempio, ha l’ardire di chiedergli certi conti, di farsi spiegare il comportamento dell’Altissimo quando castiga un malvagio con un malvagio peggiore (il malvagio per il profeta è l’impero Assiro, il peggiore sarebbe l’impero neoBabilonese).
La situazione che sta davanti agli occhi del profeta è segnata da disgrazie, dolori, violenze, lotte, contese; e Dio sembra non rendersene conto, come se fosse impotente o distratto. Eppure si tratta del suo popolo che sta vivendo un’amara schiavitù! Il profeta si domanda “fino a quando” durerà questa situazione. E se Dio risponde che castigherà il malvagio attraverso un altro peggiore, il profeta chiede “perché”; non si instaurerebbe in tal modo una catena cruenta che pone un popolo contro un altro popolo? Il profeta sembra sfidare Dio perché gli dia una risposta; egli starà come vedetta e sentinella al suo posto sino a che Dio non risponderà. La risposta venne. Dio parlò al profeta e, attraverso di lui, a tutti gli uomini: “Scrivi la visione e incidila bene sulle tavolette perché la si legga speditamente. È una visione che attesta un termine… se indugia, attendila, perché certo verrà e non tarderà” (vv. 2-3). “Ecco, – continua il testo – soccomberà colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede” (v. 4), ossia salverà la sua vita mediante la fiducia in Dio. Negli interrogativi del profeta Abacuc si addensano i tanti interrogativi di questi tempi, in particolare quelli relativi alla situazione di paesi vicini al nostro e degli altri numerosi paesi del grande mondo dei poveri.
Il profeta dice che soccomberà chi non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede. Di fronte a quanto sta accadendo, ogni credente è chiamato a riscoprire con urgenza la radicalità della propria fede. Non siamo qui nel campo delle scelte particolari e parziali, soggette al vaglio del giudizio storico del momento. È in gioco il senso profondo della vita e delle scelte personali, sociali e anche politiche. Se si vuole, è in gioco la ragione che presiede le singole scelte concrete, strettamente legata al dono della fede. L’apostolo Paolo ricorda a Timoteo (è la seconda lettura) di “ravvivare il dono” che gli è stato dato; e aggiunge che il dono non è “uno spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza” (1 Tm 1,7). Paolo delinea così l’uomo di fede, la scelta di colui che vuol vivere guardando anzitutto il Signore. L’uomo di fede non è timido o vergognoso; è saldo e coraggioso nella testimonianza, come lo stesso Paolo scrive a Timoteo.
Il Vangelo di Luca (17,5-10) si apre con la preghiera degli apostoli a Gesù: “Aumenta la nostra fede!”. È forse la preghiera che tutti dovremmo fare in questi tempi. Ci sentiremo rispondere da Gesù: “Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: “Sii sradicato e trapiantato nel mare”, ed esso vi ascolterebbe” (v. 6). Non c’è bisogno di una grande fede, sembra dire Gesù. Basta una fede piccola, ma che sia fede, ossia fiducia in Dio più che in qualsiasi altra cosa (carriera, denaro, partito, clan, se stessi). Di questa fede ne basta “un granellino”; essa è capace di spostare anche le montagne. La verifica è indicata nella frase finale del brano evangelico: “Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”(v. 10). Il discepolo è chiamato a fare il proprio dovere sino in fondo e al termine dire: “Siamo servi inutili”. Per noi, abituati a rivendicare meriti e riconoscimenti, queste parole suonano davvero strane. Eppure anche da esse può fondarsi la fiducia in un nuovo futuro.

Comunità di Sant’Egidio

Non si può imporre la fede, ma solo accoglierla e nutrirla

La fede è il tema unificante la prima lettura e il vangelo. Nella prima lettura si tratta della fede messa alla prova dal silenzio e dall’inazione di Dio e chiamata a divenire attesa perseverante e fiduciosa nella promessa di Dio. Così, anche in tempi bui, il giusto troverà vita grazie alla fede. Nel vangelo si tratta della fede come realtà non quantificabile, ma qualitativa, caratterizzata dalla relazione di abbandono fiducioso del servo al suo Signore. Di fronte alle parole di Gesù che parlano di perdono fino a sette volte al giorno nei confronti del fratello che pecca (cf. Lc 17,3-4), gli apostoli pregano Gesù di accrescere la loro fede (cf. Lc 17,5). Essi mostrano così di aver ben capito che il perdono non è solo un gesto etico, ma è evento escatologico, dono dello Spirito santo, irruzione del Regno di Dio nella vita degli uomini. Mostrano di aver capito che la comunione nella comunità cristiana – comunione a cui è essenziale il perdono – è possibile solo grazie alla fede, al far regnare la signoria di Dio. Ma chiedendo la fede essi mostrano anche di aver compreso che la fede è dono che trova nel Signore stesso la sua origine e la sua fonte. E mostrano di aver capito che della fede – propria e altrui – non si è padroni e non la si può imporre, ma solo la si può accogliere con gratitudine e nutrire con la preghiera. E ancora che anche per loro, “gli apostoli” (Lc 17,5), i Dodici scelti direttamente da Gesù, la fede non è una realtà scontata. Anzi la fede è sempre “poca” e i discepoli sono sempre “uomini di poca fede”, ovvero incapaci di quella relazione di abbandono pieno e fiducioso, gratuito e convinto, umile e perseverante, dolce e robusto, in una parola, di quell’amore che è alla base della potenza della fede. La fede e null’altro è alla base dell’autorità degli apostoli: questo è sottolineato da Luca con l’annotazione che, se avessero fede quanto un minuscolo granello di senape, potrebbero farsi “obbedire” (verbo hypakoúein: Lc 17,6) anche da un albero a cui viene ordinata una cosa folle. Solo la fede consente al predicatore, al missionario, all’apostolo di farsi eco – con la propria azione e la propria parola – dell’azione e della Parola di Dio e di suscitare nel destinatario l’adesione teologale, non un’appartenenza alla propria persona. Nel detto parabolico dei vv. 7-10 Gesù prima paragona gli apostoli a dei padroni che hanno dei servi, poi direttamente a dei servi, e per di più, inutili. L’autorità nella chiesa si declina come servizio ed esclude ogni rapporto di forza e di dominio. Il passaggio dall’“avere un servo” (cf. Lc 17,7) all’“essere servi” (cf. Lc 17,10) è significativo: nella comunità cristiana non vi sono padroni e servi, ma vi sono dei fratelli che sono dei servi dell’unico Signore e maestro (cf. Mt 23,8-10). L’autorità nella chiesa deve passare attraverso il vaglio dell’umiltà e del servizio per non esprimersi come potere e oscurare così l’unica signoria di Gesù: “Un apostolo non è più grande di chi l’ha inviato”, dice Gesù ai suoi discepoli subito dopo aver loro lavato i piedi durante l’ultima cena (Gv 13,16). Ecco dunque la situazione, paradossale ma salvifica, in cui è posto il missionario, l’apostolo nella comunità cristiana: la sua autorità riposa interamente sul suo essere inviato come servo (Lc 17,7; At 20,19), per lavorare il campo di Dio (1Cor 3,5 ss.), per arare (Lc 17,7; 1Cor 9,10) o pascolare (Lc 17,7; At 20,28; 1Cor 9,7). La sua autorità riposa sulla sua obbedienza alla Parola del Signore (Lc 17,10). Ed ecco la coscienza con cui il servo è chiamato a esercitare il suo ministero: l’inutilità. Non che il suo spendersi sia inutile, ma la coscienza che anima l’apostolo è liberante e liberata quando egli compie tutto senza nulla far risalire a se stesso, ma tutto rinviando al Signore che è all’origine della sua chiamata e di ogni fecondità apostolica. Paolo, dopo aver ricordato di aver “servito il Signore con tutta umiltà” (At 20,19), dice: “La mia vita non è meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi è stato affidato dal Signore Gesù” (At 20,24).

Comunità di Bose

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Lunedì 7 ottobre 2013

Il Signore è con te

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Lc 1,26-38

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Martedì 8 ottobre 2013

Era distolta per i molti servizi

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti».

Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

Lc 10,38-42

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Mercoledì 9 ottobre 2013

Signore, insegnaci a pregare

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli».

Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione».

Lc 11,1-4

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Giovedì 10 ottobre 2013

Il Padre vostro darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono

In quel tempo, Gesù disse ai discepoli: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

Lc 11,5-13

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Venerdì 11 ottobre 2013

Chi non è con me è contro di me

In quel tempo, [dopo che Gesù ebbe scacciato un demonio,] alcuni dissero: «È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni». Altri poi, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo. Egli, conoscendo le loro intenzioni, disse: «Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull’altra. Ora, se anche Satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi dite che io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl. Ma se io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Per questo saranno loro i vostri giudici. Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio. Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, ciò che possiede è al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via le armi nelle quali confidava e ne spartisce il bottino. Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde. Quando lo spirito impuro esce dall’uomo, si aggira per luoghi deserti cercando sollievo e, non trovandone, dice: “Ritornerò nella mia casa, da cui sono uscito”. Venuto, la trova spazzata e adorna. Allora va, prende altri sette spiriti peggiori di lui, vi entrano e vi prendono dimora. E l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima».

Lc 11,15-26

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Sabato 12 ottobre 2013

Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano

In quel tempo, mentre Gesù parlava, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!».

Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!».

Lc 11,27-28