Santena, intervista ad Anna Rossomando, deputato Pd

Santena – 10 novembre 2013 –   Di seguito, una intervista ad Anna Rossomando, deputato Pd, componente la Commissione giustizia, facente parte dell’ufficio di presidenza della Camera dei deputati e capogruppo nella giunta per le autorizzazioni a procedere. L’intervista è stata registrata questa stamattina, durante la riunione del circolo territoriale del Pd, organizzata in vista della convenzione provinciale.

Che momento sta vivendo il partito democratico?

Anna_Rossomando«Oggi è un momento importante – spiega Anna Rossomando –.  Il Partito democratico sta svolgendo i congressi nei circoli. Ci confrontiamo partendo dalla base dei nostri iscritti su cosa deve essere il Partito democratico o, meglio, a che cosa deve servire il Partito democratico per il nostro Paese, per l’Italia. Ci confrontiamo soprattutto per rifondare le basi democratiche, sociali, economiche di questo Paese che è in forte difficoltà. Noi crediamo – e io sostengo la mozione di Gianni Cuperlo – che ci voglia un cambiamento radicale. E crediamo che, per fare questo, occorra affrontare senza indugio i motivi che ci hanno portato a questa situazione. Dobbiamo uscire da questa crisi  con una Italia migliore. Questa è anche la discussione che c’è oggi nel Partito democratico. Ci sono proposte diverse: io penso che per uscire da questa crisi bisogna mettere in discussione il modello che in questi ultimi venti anni ha governato l’Italia, l’Europa e, sicuramente, il mondo occidentale. Un modello basato sul fatto che la ricchezza e lo sviluppo fanno leva sulla disuguaglianza e sulla competizione selvaggia. E, soprattutto, oggi governa solo una unica legge: quella del mercato. Questo è inaccettabile. Questo sistema è profondamente ingiusto giusto e produce povertà: va cambiato. Questo modello ha prodotto povertà materiale e anche povertà morale: assistiamo alla perdita di dignità delle persone: dal lavoro, fino alle condizioni di esistenza».

Che cosa chiedono gli iscritti che partecipano ai congressi?

«Innanzitutto gli iscritti chiedono di poter contare.  Una domanda che è uguale dentro al partito, come dentro la società.  Chiedono che il loro vissuto si incontri con chi li rappresenta, sia nel partito sia fuori. Gli iscritti devono sentirsi rappresentati e quindi ci vuole un modello di partito sicuramente rinnovato. Un partito che deve essere una comunità democratica. Un luogo dove si discute,  si elabora e, insieme, ci cresce. Il partito deve essere una comunità in cui si migliora».

Come vivono questi momenti i militanti?

«Sicuramente c’è molta sfiducia, e questo dobbiamo dirlo. Non c’è ottimismo. C’è molta sfiducia perché i modelli di partecipazione, in qualche modo, hanno subito una crisi. E poi, dobbiamo anche dire, che da parte del Partito democratico non sempre sono state date risposte adeguate. Io penso che il più grande partito della sinistra, il Partito democratico, non sempre con grande nettezza è riuscito a segnare una vera alternativa. E qui la questione è che dobbiamo riuscire a essere una  alternativa al modello della destra, e soprattutto al modello della destra populista che in Italia ha governato in questi ultimi venti anni. Io penso che alcuni dei nostri insuccessi siano anche dovuti al fatto di non essere stati sufficientemente e nettamente alternativi. Il che non vuol dire assolutamente chiudersi in un recinto, anzi. Bisogna però avere l’ambizione, la speranza  e l’ottimismo di volerla cambiare questa società. Quando Gianni Cuperlo afferma che dobbiamo cambiare il mondo con le nostre parole la scommessa non è conquistare elettori di centrodestra, spostandoci noi su quei modelli, ma sapere rispondere alle loro domande che sono sicuramente legittime. Ne cito una per tutti. Certamente il mondo del lavoro non è solo quello dei dipendenti, ma anche delle cosiddette partite Iva, dei lavoratori autonomi e delle impresa. A quel mondo si devono saper dare risposte nel senso di una valorizzazione di tutto quello che è lavoro evitando i pericoli della finanziarizzazione. Questo lo chiedono non solo i lavoratori dipendenti, ma anche gli imprenditori. E fare politica industriale vuol dire promuovere politiche pubbliche a sostegno del settore, rivedere l’organizzazione del lavoro,  promuovere infrastrutture pubbliche, lavorare per migliorare il livello dei servizi  a livello regionale. Tutto questo richiede saper leggere le nuove esigenze della società, sapere intercettare i bisogni e fornire risposte  all’altezza delle nuove esigenze».

In questi giorni il senatore Stefano Esposito ha annunciato l’autosospensione in seguito ad alcuni episodi successi a Torino, fra cui l’elezione di un segretario con precedenti penali. Un commento sulla vicenda.

«Io penso che il collega Stefano Esposito abbia sollevato un problema che non deve essere assolutamente né sottovalutato né minimizzato. Quando si è dirigenti politici le questioni non sono mai personali: sono sempre collettive e hanno un valore pubblico. In questa vicenda non è solo in gioco la vicenda personale di un segretario di circolo. Sono in gioco i requisiti per poter rappresentare il partito. Se noi, come diciamo, vogliamo praticare una grande vigilanza sui temi della legalità, la politica deve rivendicare questo ruolo.  Noi abbiamo  sempre detto che ci sono i processi e che bisogna rispettare le sentenze.  Però c’è una soglia che precede processi e sentenze: è quella della politica. Noi non possiamo assolutamente esimerci  da compiere fino in fondo il nostro dovere rispetto a quelli che devono essere i requisiti da possedere per poter assumere cariche all’interno del partito democratico».

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