Santena, Festa santi Cosma e Damiano 2017, l’omelia del vescovo di Locri-Gerace

SANTENA – 26 settembre 2017 – «Possa la festa dei santi medici Cosma e Damiano ravvivare la nostra fede. Oggi abbiamo bisogno di una fede più viva, più entusiasta. Oggi viviamo una fede molto spenta, al lumicino». Questo l’appello di mons. Francesco Oliva, vescovo della diocesi di Locri-Gerace, nell’omelia della messa solenne in onore dei santi medici Cosma e Damiano.

Mons. Francesco Oliva, ha iniziato così l’omelia della messa delle ore 16 di domenica 24 settembre: «Un saluto a tutti voi presenti. Alle autorità, civili e militari. Al sindaco, alla sua amministrazione. Un saluto a don Beppe, parroco di questa comunità. Devo confessare che quando sono venuti gli amici del comitato dei santi medici a invitarmi a prendere parte a questa celebrazione, sulle prime ero rimasto un po’ meravigliato e sorpreso. Arrivando qui, invece, ho capito le ragioni. Le giuste ragioni di invitare il vescovo di quella terra a essere qui, alla celebrazione dei santi medici Cosma e Damiano, considerato il fatto della presenza qui di tantissimi calabresi, tantissimi riacesi e tantissimi stignanesi. Qui ho avuto modo di conoscere e rincontrare il volto di tanti di loro. E capisco allora che era giusto. Ecco la mia risposta positiva. Essere qui, anche per esprimere il mio grazie e la mia gratitudine, a questa terra, per l’accoglienza che ha dato ai tanti calabresi, soprattutto nel dopoguerra. Calabresi che poi sono rimasti qui e hanno continuato il resto della loro via qui, mettendo su casa e famiglia». Mons. Francesco Oliva ha aggiunto: «Devo dire grazie perché questa è una bella testimonianza di accoglienza di come l’immigrato possa essere accolto e poi inserito nella comunità locale e non sentirsi più estraneo, straniero, ma sentirsi parte di questa terra. Quelli che oggi consideriamo essere dei problemi, delle emergenze, dei problemi storici di questo frangente, invece non lo sono, dal momento che l’immigrazione è stato un fenomeno che caratterizza la nostra nazione, da lunghi tempi. E qui abbiamo una esperienza di questo genere. E voglio dire grazie allora, a questa comunità, per l’accoglienza data a tutti i calabresi».

Il vescovo della diocesi di Locri-Gerace ha proseguito: «Mi pongo davanti ai santi medici, in questa celebrazione domenicale, per riflettere un po’ sul messaggio che questi santi ci lasciano. Sono santi vissuti molto lontano nel tempo da noi. Martirizzati ai tempi di Diocleziano. Parliamo del 4° secolo dopo Cristo. In un contesto sociale religioso molto diverso dal nostro. Questi santi ancora oggi hanno qualcosa da insegnare. Da dire a noi. E allora giusta è la devozione verso di loro. Ma per capire, per comprendere il messaggio di questi santi, una cosa importante che dobbiamo fare è metterci in ascolto della parola di Dio. I santi sono coloro che hanno saputo interpretare, cogliere, il messaggio del Vangelo. Hanno saputo accogliere il Signore nella loro vita. E allora se noi vogliamo comprendere il messaggio del Vangelo dobbiamo guardare la figura di questi santi che già trovano in san Paolo un apostolo, un testimone fedele dell’amore del Signore. San Paolo nella lettura diceva “Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva, sia che io muoia”. Cristo viene glorificato nella vita di Paolo. Paolo, che nella vita ha incontrato il Cristo, lo ha seguito. Ha dedicato tutta la vita al Signore. E, diceva Paolo, per me vivere è Cristo. Tutta la vita di Paolo è stata, direi condizionata, dall’incontro con il Signore. Una vita vissuta seguendo il Signore».

Il vescovo ha detto: «Il credente è uno che ha incontrato il Signore. Un incontro che cambia la sua vita. Il credente non è colui che vive momenti di fede solo in alcuni momenti della settimana o dell’anno. Il credete è uno che conforma tutta la sua vita al Vangelo. E’ uno che ha incontrato il Signore e si è lasciato trasformare profondamente dal Signore nella sua vita. San Paolo è uno di questi. E, come Gesù, ha donato la sua vita morendo martire. E, come Paolo, anche i santi medici, che vedete raffigurati con la palma del martirio nelle loro mani, hanno pagato con la morte la loro fede. La loro fede è stata vissuta, senza compromessi, senza infedeltà. In una perseveranza assoluta, che li ha portati anche a donare la vita. A morire per Cristo e per il Vangelo. La loro non è una fede comoda da salotto, ma che li ha impegnati, costantemente, nella loro vita. E credo che se noi ritorniamo un po’ al messaggio del Vangelo comprendiamo ancora meglio il senso, il messaggio della santità, di questi due santi medici: Cosma e Damiano».

Mons. Francesco Oliva ha aggiunto: «Il brano del Vangelo di oggi richiama una parabola. Gesù parla in parabole per spiegare il regno di Dio. Gesù parla con parabole per far capire a tutti il volto umano di Dio. E parla di un Dio ricco di misericordia e bontà. Un Dio che perdona largamente. Dio, a chi torna a lui con il cuore pentito, concede sempre la gioia del dono, perché si ricorda sempre che siamo suoi figli e, come tali, abbiamo sempre bisogno della sua misericordia e della sua accoglienza. Questo Dio, nella parabola, è il padrone della vigna, che chiama operai a lavorare nella sua vigna. Li chiama in tutte le ore del giorno. La prima ora. A mezzogiorno. E all’ultima ora del pomeriggio. E poi, a tutti, dona la stessa paga. Facendo sì che si lamentassero gli operai della prima ora che pensavano di ricevere una paga superiore rispetto a quelli che avevano lavorato soltanto poche ore nella giornata. Invece, questo padrone della vigna dà a tutti la stessa paga. Ecco, si manifesta il volto di un Dio che chiama tutti a lavorare nella vigna. E già lavorare nella vigna, accogliere questo invito a poter collaborare nel Signore, nella sua opera, è qualcosa di meraviglioso. E’ qualcosa di grande. Dio dice a tutti quanti noi:  “Venite e lavorate nella mia vigna”. Essere collaboratori di Dio nella costruzione di una umanità nuova: credo che questa sia la vocazione di ogni uomo, di ogni donna. Essere chiamati dal Signore a collaborare con lui nell’opera della creazione è straordinariamente bello. Qualcosa di grande. Perché non poter lavorare oggi è il grande problema. Io vengo dal sud, dalla Locride, dove il problema del lavoro è il primo problema. Ma vedo che il lavoro non è un problema soltanto nella Locride. Un po’ in tutto il Paese c’è la crisi lavorativa, la disoccupazione, i licenziamenti. Nella mia terra la crisi occupazionale è ancora più forte. Proprio in questi giorni c’è una vertenza grave per il licenziamento di 129 operai del call center di Locri su un totale di 360 e tutti temono di essere licenziati. Ebbene la gente del sud, tutte le persone che non hanno più o perdono il lavoro in età avanzata, avvertono un grave disagio sul piano personale. Perché chi non lavora è una persona che si sente inutile. Allora il problema non è tanto quello del reddito, dello stipendio, del mensile legato al lavoro. Il problema serio per chi non ha il lavoro è quello di sentirsi inutile, di sentirsi non valorizzato all’interno di una società. E’ quello di sentirsi niente. Il lavoro realizza la persona. Ecco perché diventa un diritto fondamentale per ciascuno. E allora sentirsi dire da Dio “Venite. Lavorate nella mia vigna” anche l’ultima ora del giorno o della vita è un recupero di gioia e di speranza. Di fiducia nel padrone della vigna. Di fiducia nel Signore. Allora ecco come poter lavorare nella vigna del Signore, poter lavorare nella Chiesa, nella comunità dei credenti, nella società in cui oggi ci troviamo, è molto importante. Al di la di quello che è lo stipendio e il mensile che è collegato al lavoro, il poter essere utile nella società è fondamentale. La Chiesa è come una vigna, dove tutti siamo chiamati a essere partecipi, corresponsabili, nel portare avanti la missione che il Signore ha affidato alla Chiesa. Ciascuno di noi dovrebbe chiedersi: “Cosa sono chiamato a fare io nella Chiesa del Signore?”. “Cosa sono chiamato a fare nella società in cui vivo, nella famiglia in cui opero?”».

Mons. Francesco Oliva ha detto: «Io vedo nella chiesa tanti volontari che offrono il loro tempo a disposizione per portare avanti tante iniziative di volontariato che hanno un grande valore, un grande significato. Poter esprimere con il proprio lavoro, con la propria competenza, la propria capacità un servizio nella comunità è un qualcosa che ci gratifica tantissimo. Nella chiesa di volontari ne abbiamo tanti. Abbiamo comitati del festeggiamenti dei santi che si prefiggono come scopo quello di organizzare la festa in onore dei santi. Io ho sempre detto: il vostro compito va oltre l’organizzazione della festa. Non si tratta soltanto di organizzare dei festeggiamenti  esterni per far magari godere alle persone pochi momenti di gioia, di svago, di divertimento. No, il vostro impegno, di fare la feste è  l’impegno di tenere viva la testimonianza che quei santi hanno dato alla comunità quando sono vissuti. Il vostro impegno è tenere desta la fede nell’oggi della comunità. Questo è molto importante e il loro è un servizio che bisogna sempre più ravvivare nella comunità».

«Perché la nostra società di sta allontanando da Dio – ha aggiunto mons. Francesco Oliva –. Festeggiare un santo significa ricordare a tutti che quello non è un eroe, un personaggio strano, ma serve per far capire a tutti che quel santo è espressione di una comunità di una comunità di fede, che quel santo non si spiegherebbe se si prescinde dalla fede che ha avuto in Dio. Di questi due santi, Cosma e Damiano, per la verità sul piano delle informazioni storiche, conosciamo poco. Essi sono però di una attualità enorme nel nostro contesto di vita. Essi sono stati chiamati a svolgere la professione di medici. Due fratelli che svolgevano questo loro servizio nella comunità, non con una professione remunerata, a ore di servizio, oltre alle quali non si va. Svolgevano il loro servizio di medici, come una missione, come un servizio, gratuiti. Infatti vengono denominati anargiri, che vuol dire gratuiti. Direi santi della gratuità, del volontariato. Coloro che esercitano il servizio di cura dell’ammalato, dell’anziano solo, in maniera volontaria, gratuitamente. E, io credo, che questa sia una bellissima testimonianza che ci aiuta molto. Oggi c’è tanta gente, ci sono tante associazioni che portano avanti servizi di volontariato, nell’assistenza, penso all’Avo, a Medici senza frontiere. Penso ai tanti medici che, oltre al loro lavoro retribuito negli ospedali e nelle strutture sanitarie, poi offrono delle loro ore per il servizio per gli ammalti a coloro che non hanno assistenza. Penso ai volontari che fanno servizio e aiutano gli anziani, gli ammalati, soli nelle case. Ecco alla testimonianza, al messaggio bello che i santi medici ci lasciano: vedere nel volto del sofferente, dell’ammalato, il volto stesso di Cristo. E fare tutto questo – un’ora di amicizia di vicinanza, un servizio particolare a un ammalato, la cura, a un ammalato – per amore del Signore, con animo generoso, con gratuita di cuore. Questo è molto bello. Io credo che sia il messaggio che questi santi oggi vogliono consegnarci».

Mons. Francesco Oliva ha proseguito: «Sono santi che sono vissuti in oriente. Ad essi sono molto devoti le persone del sud. Nella mia diocesi i devoti dei santi medici sono tanti. Una devozione che è stata trapiantata in questa terra, da amici fedeli delle Locride, di Riace. Una fede, questa, che ancora è radicata nel popolo. Una fede che crea unità tra le comunità.  E mi piace vedere questa specie di gemellaggio tra Santena e Riace. Questa condivisione spirituale, questa condivisione di fede è molto, molto, bella. Avviene nel segno dell’accoglienza. Abbiamo bisogno oggi di accoglienza. Accoglienza che ci fa riconoscere che siamo tutti parte della famiglia dei figli di Dio. I santi ci insegnano anche questo: a essere accoglienti. Il cristiano è accoglienza. Il cristiano non è un razzista, uno che discrimina. Il cristiano è uno che fondamentalmente accoglie. I santi ci lasciano questo messaggio di accoglienza. Qui ho visto tanti riacesi, ne ho visto solo alcuni. Riace è conosciuto come il paese dell’accoglienza. Ma io dico, è il riacese che deve lanciare questo messaggio di accoglienza, ovunque si trovi a vivere. L’accoglienza non è un fatto politico. Una accoglienza che deve essere vissuta con spirito cristiano. Uno si sente di accogliere il fratello perché in lui vede il volto di Cristo, il volto del Signore. E allora, ben venga, la festa annuale dei santi medici Cosma e Damiano. Un buon momento per rinnovare questa fede nel Dio che chiama a lavorare nella sua vigna, nel Dio che ci accoglie e ci invita a servirlo nei poveri, in modo gratuito e disinteressato. E Allora ci accorgeremo che l’ultimo, colui che serve è il primo. Non è colui che è servito il primo, ma è colui che serve».

Mons. Francesco Oliva ha chiuso così l’omelia: «Questa è la bella testimonianza che i santi medici ci consegnano questa sera che voglio fare mia e che consegno a ciascuno di voi. Possa la festa dei santi medici Cosma e Damiano ravvivare questa fede. Tutti quanti lasciamoci coinvolgere dall’entusiasmo di chi organizza questa festa. Oggi abbiamo bisogno di una fede più viva, di una fede più entusiasta. Oggi viviamo una fede molto spenta, al lumicino o, come dice il Papa “Una fede da funerale”. Non una fede che entusiasma che stimola, ma una fede fredda, forse troppo razionalista. Una fede troppo astratta e poco di cuore. Una fede che non ti coinvolge con tutta la vita, con le braccia, con tutto te stesso, ma ti coinvolge soltanto in alcuni momenti dell’anno. Così non deve essere. La nostra fede deve essere uno stile di vita proprio perché è una novità della tua vita che consegue all’incontro con il Signore».

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