A Santena il Museo degli Italiani.  Puntata 107

SANTENA – 3 febbrario 2018 – Con l’avvio dei lavori è bene pensare ai contenuti del contenitore. Il recupero del Museo Cavour di Maria Avetta restituisce una chiave di lettura unica, vera e moderna del processo di unificazione che vide come protagonisti gli Italiani dei vari ceti sociali. Unesco e Asparagi.

 

Santena, castello Cavour, fine ottobre 2017

1) Museo pieno di idee. Solo una donna poteva interpretare con tanta ricchezza di letture il processo culminato con l’Unità d’Italia. Il Museo Cavour di Santena, allestito dalla Prof.ssa Maria Avetta, in occasione di Italia ‘61, è un capolavoro da custodire e tutelare. La maestria dell’autrice sta nell’aver affidato a Camillo Cavour la guida del visitatore alla scoperta delle opere e dell’azione delle emergenti categorie sociali dell’Ottocento collocandole nel contesto  italiano ed europeo e mondiale. Nell’allestimento, la Professoressa è stata aiutata dall’avere davanti due esempi ben conosciuti da non ripetere.  Il Museo Centrale del Risorgimento di Roma e il Museo Nazionale del Risorgimento di Torino. Due prototipi più che esaustivi della retorica risorgimentalista post Unitaria e post I Guerra mondiale.

2) Il Contenuto del contenitore. Maria Avetta ha avuto la fortuna di costruire il Museo in anni in cui il nazionalismo, la xenofobia, il patriottismo, il sentimentalismo, i particolarismi, il sabaudismo, il militarismo, il reducismo, il combattentismo, l’elitismo, il classismo erano beneficamente temperati dal clima post II Guerra mondiale e dalla montante ondata europeista. Fu aiutata anche dalla presenza del mondo dell’industria privata e pubblica, dall’Università, dalle rappresentanze sociali, dalle banche. Un’eterogeneità garante della necessaria libertà per affrontare in chiave moderna e progressista un argomento che fino allora era stato utilizzato per affermare solo il ruolo e la visione di una ristretta élite.

3) Nel 1961 un miracolo di modernità. Allestire un museo nel centenario, in pieno Boom economico, nel contesto dell’industriale Torino, ha favorito una lettura non passatista ma proiettata nel presente e nel futuro. Il processo, che ha rivoluzionato culturalmente e socialmente la Penisola inserendola stabilmente tra le potenze occidentali, è descritto in un divenire che ben ne illustra il progressismo. Ne risulta un’interpretazione attenta al contesto europeo, mediterraneo e mondiale, rivolta alle innovazioni scientifiche, tecnologiche e infrastrutturali, ai cambiamenti istituzionali. Interessata all’emersione di nuove categorie sociali, produttrici di ricchezza, che volevano sostituirsi ai ceti parassitari ereditati dalla Restaurazione. Una lettura che mette in luce la messa in moto dell’ascensore sociale che ha funzionato da allora per arrestarsi intorno al 1980 circa.

4) Un Museo utile e formativo. Maria Avetta non era un’accademica. Forse questo l’ha aiutata nel realizzare un museo sul Risorgimento capace di spiegare i processi e i cambiamenti sociali, eredi dell’Illuminismo. Nel percorso – vedi il Catalogo “Castello di Santena” ed. Fondazione Cavour –  si coglie l’entrata in scena dei ceti sociali produttori della ricchezza del Paese, legittimati dal lavoro e dalla produzione. A differenza dei Musei Centrale e Nazionale, il Museo Cavour di Santena è il memoriale dell’opera compiuta dalle Italiane e Italiani contemporanei di Camillo Cavour. Ciò è dovuto dall’aver posto al centro dell’opera la famiglia, la formazione, l’ambiente, le innovazioni tecniche-scientifiche-agronomiche-infrastrutturali-istituzionali, i viaggi di studio, gli affetti, gli amori, la comunicazione, le relazioni, il pensiero, il contesto europeo e mondiale.

5) Santena spera. Il Consorzio delle Residenze Sabaude ha riconfermato, su proposta del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, Mario Turetta, come direttore. La Regione, tramite l’Assessora alla Cultura, Antonella Parigi, ha dichiarato: “Abbiamo apprezzato la qualità e la mole del lavoro svolto finora dal direttore che, ne siamo convinti, potrà proseguire in futuro con nuovi importanti risultati non solo volti a far crescere La Venaria Reale, ma anche le altre Residenze Sabaude del Piemonte, Patrimonio Mondiale dell’Unesco”. Per Santena dunque ci sarebbero delle buone speranze?

6) Il Santenese è santenese. Sull’origine parigina dell’asparago santenese si è spesso discusso. Anche nel momento in cui si definiva il PAT, Falavigna, Di Bella e la compagnia santenese dovettero fare i conti con le origini della coltivazione e dei semi. In precedenza c’era chi attribuiva la derivazione del Santenese dall’Argenteuil, forse per profittare della fama internazionale della haute cuisine francese. Forse, per moda o per qualche indulgente subalternità francofila verso un prodotto che in passato era consumato solo da pochi ricchi privilegiati. Le informazioni pubblicate dal Lebeuf confermano ciò che hanno sempre sostenuto gli anziani Santenesi. Il nostro asparago si è evoluto e caratterizzato in loco, sommando caratteri diversi di continue selezioni, dando origine, nelle terre del Pianalto, ad una specifica varietà che si contraddistingue anche per il metodo della coltivazione, della lavorazione e della commercializzazione.

 7) XII. Gli ingranaggi della politica cavouriana. Prima di continuare l’indagine sulla troppo prematura e sospetta scomparsa del Contadino-Tessitore è bene riassumere chi era e cosa ha fatto. Con chi, per chi e come ha lavorato. Chi ha coinvolto. Quali sono stati gli interessi in campo. Come e a che livello i nostri antenati, suoi contemporanei, sono stati protagonisti del processo culminato con l’Unità d’Italia. Tutto ciò serve a fare chiarezza. Perché c’è ancora chi si ostina a dire che l’Unificazione è stata fatta da un ristretto gruppo di persone. Un’elite di nobili di sangue blu, di alto borghesi e di militari. Una lettura del Risorgimento decontestualizzata che non rende giustizia alla rivoluzione in cui sono stati coinvolti, dai campi di battaglia a quelli agricoli, milioni di Italiane e di Italiani. Compresi coloro che dal ‘700 in avanti sono passati, man mano, dalla condizione di servi e sudditi a quella di cittadini. In effetti nell’Ottocento moltitudini di “esclusi” entrano in scena. Per capire come tutta la società fosse coinvolta in un vasto movimento è sufficiente esaminare gli ingranaggi dell’azione di Camillo Cavour.

Enrico von Treitschke in “Cavour”, La Voce editrice, 1925, riprese una frase significativa a proposito della dimensione della partecipazione: “Sì, per dodici anni io ho cospirato con tutte le mie forze, per procurare l’indipendenza della mia patria. Ma ero un cospiratore speciale: proclamavo i miei sforzi in faccia al Parlamento e a tutte le Corti d’Europa. Avevo con me tutto, o quasi tutto il Parlamento subalpino; negli ultimi anni furono miei adepti e colleghi quasi tutti i membri della Società Nazionale e oggi cospiro con 26 milioni di italiani”.

Cavour valutava e riconosceva dunque il peso e il ruolo che svolgevano, a vari livelli, gli Italiani suoi contemporanei, nel contesto sociale e sui campi di battaglia.

Se si analizza il periodo risorgimentale e post risorgimentale bisogna scandagliare nel patriottismo, nell’innovazione tecnologica e scientifica, nella dimensione europea, mediterranea e mondiale in cui si esprimevano gli interessi emergenti tra gli Italiani. Interessi che man mano si manifestavano evidenziando conflitti e aspirazioni. Il treno e la nave a vapore stimolavano il viaggio, il turismo, la mobilità e la libera circolazione di merci e persone. Così come l’immigrazione insieme all’emancipazione stimolava il cambiamento.

I passaggi fondamentali vanno cercati prima e dopo il Quarantotto. Ad esempio: finiti i moti radicali-rivoluzionari del 1848-49, tramontato il disegno neoguelfo, municipalista e federalista, il processo di indipendenza in Italia disponeva di due soluzioni, entrambe rivoluzionarie. La prima movimentista-repubblicana di Mazzini. La seconda costituzionale-riformista interpretata da Cavour. La rivoluzione faceva proseliti nell’uno e nell’altro campo. Mazzini esaltava gli ideali, stimolava alla rivolta. Le cospirazioni però seminavano apprensione e dubbi. Col tempo si avvertì la mancanza di concretezza e di prospettiva. La politica cavouriana usò intelligentemente, sul piano interno e internazionale, lo spauracchio della sedizione, proponendo come unica alternativa la soluzione progressista rappresentata dal Piemonte. I cittadini dello Stato dello Statuto Albertino divennero i rappresentanti di una società in cui progresso e innovazione erano protagonisti della scena. Piemonte, in Italia e in Europa, significava moderne istituzioni, libertà di stampa, scuole e innovazione nella finanza, agricoltura, industria, infrastrutture, trasporti e comunicazioni. A queste guardavano gli Italiani impegnati nei diversi lavori e settori economici, compresa l’agricoltura…….

Gino Anchisi
da Santena, La città di Camillo Cavour, 3 febbraio 2018.

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