Isacco Artom, il segretario del “Gran Rabbino di Leri” Camillo Cavour. Prima Parte. Puntata 153

SANTENA – 5 gennaio 2019 – Un Ebreo riporta la Corona Ferrea in Italia ma il merito non gli viene riconosciuto. Il segretario particolare di Camillo Cavour venne attaccato perché era nato nel ghetto di Asti. Falsi e pregiudizi dietro la storia dell’Unità d’Italia. Un po’ c’entra anche un Rey, di Villa Rey.  

Isacco Artom

Isacco e Camillo

Camillo Cavour è il principale protagonista della scena europea nel periodo che va dalla rivoluzione del 1848 al 1861.  Un lasso di tempo di soli 12 anni, in cui ad una velocità stratosferica, si sostanzia la nascita di un nuovo stato nel cuore dell’Europa e del Mediterraneo. Accanto a lui nel Biennio, cosiddetto dell’Unificazione, 1859-1861, c’è Isacco Artom. In quei due anni Camillo e Isacco prendono decisioni e compiono azioni che trasformeranno completamente il contesto italiano, europeo e mediterraneo. I due erano uniti dalla consapevolezza che l’Unità italiana si poteva ottenere soprattutto grazie ad una solida politica estera. E infatti, il processo che culminerà nell’Unità d’Italia è una rivoluzione favorita dalle grandi potenze antagoniste dell’Impero Asburgico.

Camillo e Isacco hanno vissuto insieme il tratto finale di una corsa pazzesca prendendo azzardi, assumendo provvedimenti, valutando soluzioni assistiti dalla fortuna e sorretti dalle loro straordinarie capacità. Vedevano e volevano un’Italia ricongiunta all’Europa in tutti i campi: tecnologici, infrastrutturali, finanziari, agrari, politici e istituzionali. Nonostante Isacco sia stato uno dei protagonisti dell’impresa è stato spesso messo da parte perché ebreo.

Celibe, mingherlino, segaligno, la testa piccola, Isacco non era bello, ma possedeva un certo fascino. Aveva uno sguardo attento, l’occhio vivido e buono. Di solida cultura, schietto, era straordinariamente modesto. Era un borghese che ben se la intendeva con un nobile imprenditore qual era Camillo Cavour. Entrambi, insieme a tanti artigiani, commercianti,  operai, agricoltori facevano parte di quell’aristocrazia del lavoro che trasformò il sistema sociale della Penisola inserendola nel contesto europeo.

Isacco assunse l’importante e delicato ufficio di segretario particolare di Cavour nel novembre 1858, sostituendo l’amico Costantino Nigra, inviato in missione diplomatica a Parigi.

La scelta fu rapida. Cavour lo fece convocare nel suo studio, era presente il Generale Dabormida. Gli chiese di stendere rapidamente una nota e di tradurre dal tedesco, in dieci minuti, un articolo piuttosto lungo di giornale. Terminata la prova, Cavour gli batté la mano sulla spalla e lo congedò dicendo: “Bravo, giovanotto, venga domattina da me, sarà avvisata questa sera dell’ora”. Isacco era il navigatore di un’auto da rally lanciata, a tutta velocità, guidata da Camillo Cavour, lungo un percorso di soli 22 mesi che va dal 26 aprile 1859 al 17 marzo 1861.In pochi giorni entrò in una dimensione di lavoro che abbracciava il quadro politico europeo e mondiale ormai in pieno subbuglio.

A luglio, in gran segreto a Plombières Les Bains Napoleone III e Camillo Cavour avevano fatto il Patto per muovere la guerra all’Austria e per una nuova spartizione dell’Italia. Un accordo che si realizzerà solo in parte. Nizza e Savoia saranno cedute alla Francia. L’Austria sarà sconfitta. Ma il disegno di sostituire nella Penisola gli Asburgici con i Francesi non decollò perché ormai la spinta all’Indipendenza si univa a quella dell’Unificazione, grazie anche all’iniziativa della Gran Bretagna. Un processo inarrestabile di cui Cavour era consapevole, come lo era Napoleone III, mentre Vittorio Emanuele II stentava a comprenderlo. La lite nella tenda di Monzambano e le dimissioni di Cavour da Primo Ministro furono la logica conseguenza di questa divergenza di vedute.

Isacco, l’Ebreo, figlio di Raffaele e di Benedetta Segre, nato nella contrada di San Bernardino, in una casa in fronte alla Sinagoga di Asti, il 31 dicembre 1829. Successivamente la famiglia si trasferì in via Aliberti. Fece le elementari a Vercelli, il ginnasio e il liceo a Milano, iniziò l’Università a Pisa che però interruppe frettolosamente.  Si laureò in diritto pubblico all’Università di Torino nel 1853. Gli Artom erano una famiglia di scienziati, diplomatici, bottegai, giuristi, economisti. Oltre alla casa di Asti possedevano, nella borgata San Carlo, frazione di Variglie Basse, del Comune di Asti, la villa il Chiossetto, circondata da cascine, posta di fronte al Castello di Bellangero di San Marzanotto.

Camillo Cavour

Camillo, nato il 10 agosto 1810 a Torino. Nel 1829 aveva 19 anni ed era ufficiale del Genio militare. Un ufficiale frustrato, oppresso dal clima reazionario e conservatore della Restaurazione. Ogni tanto e fino al 1840, soggiornava a Bellangero, una tenuta di proprietà degli zii in linea materna: Enrichetta de Sellon e Luigi d’Auzers.  Da lì scrisse nel 1819 la famosa lettera al padre Michele nella quale si menzionavano le solide relazioni con gli Alfieri di Sostegno di San Martino sul Tanaro, oggi S.Martino Alfieri, e, tramite essi, con il Principe del Chiablese, il futuro Re Carlo Felice. Camillo nel 1831 aveva lasciato l’esercito e aveva intrapreso una brillante carriera di agronomo, agricoltore, allevatore, viticoltore.

Tra le residenze degli Artom e del D’Auzers, nella valle, scorre il Tanaro. Il fiume che separa le terre gastronomiche ed enologiche delle Langhe-Monferrato-Roero con cui Santena intratteneva forti relazioni grazie alle sue attività agricole e alla sua aristocrazia contadina formata dai Bosco, Tosco e altri.

Per la cronaca va detto che lo Statuto Albertino era ancora di là a venire. Gli Ebrei non erano ancora considerati fratelli maggiori dei Cattolici, ma deicidi da chiudere nei ghetti. Non potevano frequentare l’Università di Torino, né fare carriera nell’esercito.

E poi scoppiò Il Quarantotto.

La Rivoluzione investi tutta l’Europa ed entrò in tutte le case, compresa quella degli Artom. A diciotto anni, senza avvertire la famiglia, insieme ai colleghi studenti dell’Università di Pisa, Isacco si arruolò tra i volontari di Curtatone e Montanara. Voleva combattere contro gli occupanti austriaci. Studiava in Toscana, rifugio di Vittorio Alfieri e riferimento culturale-linguistico di Alessandro Manzoni, perché l’Università di Torino allora era preclusa agli Ebrei.

Seppur giovanissimo era già un uomo del Risorgimento, pronto a pagare di persona il proprio impegno. Giunto nei luoghi di combattimento stette male e cadde svenuto. Il fisico non reggeva. Dovette lasciare il fronte e rientrare in famiglia.

Peggiore sorte toccò ai Cavour.

In quegli stessi giornia Goito, il 30 maggio, moriva sul campo di battaglia Augusto Benso, nipote ed erede di Camillo. Un’ulteriore molla che spinse il Contadino-Tessitore a scendere in politica. Cavour era un riformista, voleva la Costituzione a garanzia delle istituzioni e della libertà delle persone. La pensava diversamente dai movimentisti. Non voleva la guardia civile. La sua politica era alternativa a quella di Giuseppe Mazzini.Cavour aveva visitato e studiato i sistemi sociali, economici ed istituzionali di Francia, Inghilterra, Irlanda, Belgio, Lombardo-Veneto e Trieste.  Grazie a Tocqueville, conosceva bene e scriveva con competenza articoli sugli Stati Uniti e sull’influenza che essi esercitavano nel contesto mondiale. Nel 1847 aveva fondato un giornale “Il Risorgimento”, organo del partito dell’opinione riformatrice. Era un affermato imprenditore in agricoltura, chimica, ferrovie, battelli a vapore. Era membro dell’Associazione Agraria, moderna palestra politica, in cui era entrato su invito dell’astigiano Cesare Alfieri di Sostegno, l’uomo che lo introdurrà nella grande scena politica.

Dopo il Quarantotto.

Il 4 luglio 1853, passati 5 anni, Isacco si  laureò in giurisprudenza, all’Università di Torino. Con lo Statuto Albertino, finalmente si erano aperte le porte della facoltà anche agli Ebrei. Passarono ancora altri due anni e il 20 novembre 1855, vinse il concorso ed entrò come volontario nel Ministero degli Affari Esteri. La Guerra di Crimea stava cambiando gli assetti preesistenti. Finalmente la Santa Alleanza tra Russia e Austria era entrata in crisi. Il Congresso di Parigi (1856) sanciva la leadership del Regno di Sardegna sulla Penisola e nelle relazioni con le potenze occidentali. L’incontro segreto di Plombières Les Bains tra Cavour e Napoleone III, del luglio 1858, apriva uno scenario nuovo. La Pianura Padana doveva formare un Regno guidato dai Savoia. L’inorientamento dell’Austria spingeva gli Asburgo verso i Balcani dove il panslavismo russo si sarebbe scontrato con il multinazionalismo austriaco.

Il Mediterraneo era un’area di interesse mondiale su cui governava la Regina dei Mari, la Gran Bretagna. Cavour e Artom sapevano che l’Impero inglese era sotto pressione, perché la sua ex colonia, gli Stati Uniti d’America, aveva scatenato una concorrenza insostenibile sull’Atlantico e soprattutto sul Pacifico: l’oceano aperto sulla ricca Asia. 

A completare il quadro, nel 1869 fu inaugurato il Canale di Suez che creò una nuova autostrada del mare verso l’Oriente, verso la Cina, domata dalla Guerra dell’Oppio, verso l’India, l’Australia e l’Africa Orientale.

Il Biennio dell’Unificazione 1859-1861

All’inizio del 1859, il 29enne Artom fece il grande balzo. Il 10 gennaio il discorso della Corona lanciò “il grido di dolore”. Il 18 si firmò a Torino il trattato di alleanza Franco-Sardo. Il 30 gennaio fu celebrato il matrimonio di Clotilde di Savoia con il principe Gerolamo Napoleone, detto Plon-Plon, nipote di Napoleone III. Isacco lavorava giorno e notte a fianco di un frenetico Cavour. Alle prime ore del mattino era già dietro il paravento della camera da letto di Camillo ad annotare le conversazioni e a stendere relazioni e articoli. Tra febbraio e marzo tutto sembrava a posto. Si raccoglievano i soldi per la guerra contro l’Austria. All’improvviso tutto sembrò fermarsi. Napoleone III era titubante, tergiversava. Le potenze avviavano trattative pacifiste. Artom assistette alla grande crisi di Camillo Cavour, che prima pensò di suicidarsi. Sembrava impazzito. Poi si ribellò, decidendo di fuggire negli Stati Uniti e da lì vuotare il sacco sulle nefandezze di Napoleone III.

Per fortuna il 23 aprile 1859 l’Austria mandò l’Ultimatum. Scoppiò la II guerra d’Indipendenza. Gli Austriaci erano in vantaggio. Allora Camillo decise di fare ciò che facevano gli Olandesi per fermare Spagnoli e Austriaci nel XVI secolo. Dette ordine all’ingegnere Carlo Noè di allagare la Pianura vercellese. Gli Austriaci si impantanarono. Il 30-31 maggio i Franco-Piemontesi vinsero a Palestro. L’8 giugno entrarono in Milano. Il 24 giugno gli Austriaci uscirono sconfitti dal grande massacro di Solferino e San Martino, la carneficina che ispirò Henry Dunant a fondare la Croce Rossa. Intanto le porte per arrivare a Venezia erano aperte. Ma Napoleone III si fermò. Capì che il disegno egemonico concepito a Plombières Les Bains sull’Italia non si poteva realizzare. Camillo, contrario a fermare le operazioni di guerra, partì per il quartier generale chiamato dal Re. Deluso rientrò infuriato a Torino. Il 9 luglio di sua iniziativa –ne aveva parlato a lungo con Isacco– ripartì per reincontrare Vittorio Emanuele II. I due nella tenda di Monzambano litigarono. Volarono parole grosse. Il Re non capiva il cambiamento di fase. Si accontentava della Lombardia e rinunciava al Veneto. Eppure il processo avviato era inarrestabile. Lo si sarebbe visto da lì a poche settimane con le Annessioni e i plebisciti dei Ducati e della Toscana. L’11 luglio a Villafranca si firmò l’armistizio. Cavour diede le dimissioni, prontamente accettate dal Re.

Dopo 7 anni non era più Primo Ministro. Si ritirò a Leri (Trino Vercellese).

L’Unità d’Italia si fa ma Camillo muore .

Leri diventò la seconda Capitale del Regno, di lì passavano, all’andata e al ritorno gli emissari che si recavano a Torino, dove al governo c’era Alfonso La Marmora. Artom visse i sei mesi di distacco, collaborando con il ministro degli Esteri Giuseppe Dabormida. Poi finalmente il 21 gennaio 1859 il Re dovette cedere. Richiamò Cavour al Governo come Primo Ministro, ministro degli Esteri, con l’interim dell’Interno. Bisognava gestire le annessioni, i plebisciti e cedere Nizza e Savoia. Camillo e Isacco lavoravano di nuovo uno a fianco dell’altro.

La corsa all’Unificazione era inarrestabile. Il 6 maggio Garibaldi partì per la Sicilia. Non è vero che Nino Bixio sequestrò le navi con un colpo di mano. I due bastimenti per la traversata Genova-Marsala furono affittati dagli amici di Camillo Cavour. E Giuseppe La Farina, segretario della Società Nazionale, comprò le armi e finanziò le operazioni. Il 7 settembre L’Eroe dei Due Mondi entrò a Napoli. Quattro giorni dopo il governo di Torino inviò l’ultimatum allo Stato Pontificio.

La gara di rally era sempre più folle. Non si poteva lasciare ai Garibaldini la leadership del processo di unificazione. E allora Cavour dichiarò guerra al Papa e insieme al Re diede ordine di invadere lo Stato Pontificio. A quel punto tutto il gruppo dirigente nazionale fu colpito da scomunica maggiore. Il 18 settembre l’esercito sconfisse i papalini a Castelfidardo. L’effetto fu enorme. Il 26 ottobre il ,Re proveniente dal nord e dal territorio del Pa,pa incontrò Garibaldi a Teano. La loro stretta di mano suggellò la leadership di Cavour sul processo di Unificazione. Il 17 marzo Vittorio Emanuele II assunse il titolo di Re d’Italia. Il 23 marzo Isacco festeggiò. Era il segretario del primo Primo Ministro dell’Italia Unita. La fama di Camillo Cavour era mondiale. Bisognava però pensare alla capitale. Troppe tensioni pesavano su un Paese intriso di eccessivo municipalismo, indebolito dal brigantaggio e dall’ostruzione delle gerarchie ecclesiastiche. Camillo e Isacco prepararano due discorsi epocali pronunciati il 25 e il 27 marzo in Parlamento. Roma era la naturale capitale d’Italia. Con essi Camillo compromise il resto d’Italia su una decisione che si concretizzò quasi dieci anni dopo, il 20 settembre del 1870.

Il 18 aprile Isacco fu testimone in Parlamento della brutta reprimenda di Garibaldi contro Cavour. Cavour stavolta la prese molto male. Lui stimava Garibaldi.

Il 29 maggio, Camillo non si sentì bene. Si trattava di forti febbri che duravano due giorni e poi cessavano. Cavour però stavolta non si riprese. I medici erano perplessi, non davano speranze. I famigliari consentirono a Bianca Ronzani, la sua ultima amica, di salutarlo. Anche Vittorio Emanuele II si recò al capezzale. Il 6 giugno 1861, a cinquant’anni, Cavour morì. Nessuno se l’ aspettava. L’artefice dell’Unità d’Italia veniva a mancare pochi giorni dopo il compimento dell’impresa.

Isacco, stravolto dal dolore, organizzò il funerale religioso e di Stato. Su tutto aleggiava un interrogativo. Cavour era colpito da scomunica. Se non faceva ammenda pubblica non poteva essere assolto. E se non era assolto non c’era funerale religioso.

Per ore e nei giorni successivi rimase il dilemma. Se Cavour era stato assolto era perché aveva ammesso tutti i suoi errori compiuti verso Santa Romana Chiesa. Se così fosse stato voleva dire che chi aveva guidato tutti il processo di unificazione sconfessava il suo operato e quello dei suoi amici e collaboratori. Questo significava che nella ultima notte era avvenuta una ritrattazione, un rinnegamento, quasi un colpo di Stato, da cui difficilmente l’Italia appena unita, avrebbe potuto risollevarsi. Per fortuna non andò così. Padre Giacomo da Poirino, il confessore di Cavour, decise di disubbidire agli ordini di Pio IX. In coscienza ritenne che ci fossero le condizioni per dare l’assoluzione al moribondo. Nonostante il Papa volesse il pieno e consapevole pentimento, per il male fatto alla Chiesa, Il frate francescano minore, che aveva simpatizzato per il Quarantotto, aprì la strada del funerale solenne e della distensione.

Nella costernazione, italiana ed internazionale, Isacco seguì la cerimonia del 7 giugno 1861 per le vie di Torino, iniziata e conclusa nella chiesa di Santa Maria degli Angeli di Via Carlo Alberto. Quella stessa sera, diligentemente, accompagnò con i famigliari la salma a Santena, il luogo della sepoltura dei Benso.

La stagione degli asparagi tanto amati dallo Statista stava per finire. Riportava Camillo nella casa dei ricordi e degli affetti più intimi e cari.

Rivide il campanile e gli stupefacenti platani secolari del parco Cavour di Santena, che ancora oggi resistono al tempo.

La mattina dell’8 giugno, con i famigliari, era presente quando iniziò l’inumazione nella Tomba.

Ma ci fu un intoppo.

Isacco raccontò che il loculo si rivelò piccolo.

Fu necessario scavarlo a colpi di martello. Il compito fu svolto da un muratore e dal fedele amico santenese Francesco Rey.

Quel Francesco Rey la cui tomba, con i simboli massonici ormai scomparsi per furto, è collocata contro la parete est del cimitero di Santena…

(Fine prima parte)

Gino Anchisi

da Santena, la città di Camillo Cavour, 5 gennaio 2019

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