Isacco Artom, il segretario del “Gran Rabbino di Leri” Camillo Cavour. II Parte. Puntata 154

SANTENA – 12 gennaio 2019 – Circolano tante Fake News. Il Risorgimento è stato tutt’altro che un movimento élitario, bensì un moto popolare che vide la scesa in campo di persone appartenenti alle nuove categorie produttive emergenti. Santena e l’Astigiano custodi della storia patria.

Isacco Artom fu il fedele braccio destro di Cavour. Di lui, Camillo disse: “Ha un’intelligenza superiore, essenziale, capace di esprimersi nel peso e nella responsabilità della parola scritta. Non è un gran parlatore, ma è un abile giornalista”. Isacco scriveva sull’Opinione di Torino diretta dall’ebreo Giacomo Dina e sul “Crepuscolo” di Milano, fondato da Carlo Tenca.  Era duttile, grande annotatore, usava una prosa breve, chiara, essenziale, che esprimeva concetti complessi impiegando il minor numero di parole. Non poteva non piacere al giornalista che aveva fondato e diretto il Risorgimento.

In Isacco, Camillo ritrovava i suoi stessi schemi concettuali. Lavoravano aggiustando e ritoccando vicendevolmente documenti, relazioni, lettere, articoli di giornale. Tra i due c’era piena e totale sintonia.  Artom ascoltava la prima lettura in privato dei discorsi che poi si sarebbero tenuti in Parlamento. Esprimeva impressioni e osservazioni sui nodi politici più delicati attento alle manifestazioni degli interessi dei ceti emergenti. Conosceva e condivideva i pensieri più intimi e i risvolti privati della vita di Cavour.

I tempi erano complessi. Era in corso una rivoluzione che stava riconvertendo l’agricoltura nella Pianura Padana e in tutta Italia. Qualcosa di simile a ciò che succede oggi nella Penisola, nel Pianalto e nel territorio dell’oltre Po Chierese e Carmagnolese. Lo stesso valeva per l’industria, il commercio e i servizi di pubblica utilità.

Isacco Artom

Cambiavano le istituzioni, si costruivano nuove infrastrutture, in particolare linee ferroviarie che mobilitavano merci e persone. La crescita della popolazione comportava un aumento della domanda di alimenti e di altri beni di consumo. La competizione a livello globale imponeva l’incremento della produttività. Produzione e lavoro favorivano l’emersione di nuove categorie sociali che domandavano nuovi servizi e che imponevano il cambiamento degli assetti di potere.  Questo era il terreno in cui operavano i contemporanei di Camillo Cavour.

Il fidato braccio destro

I due lavorano gomito a gomito. Significativa è una scena successa durante un viaggio da Genova a Torino in treno da cui risulta, grazie alla testimonianza di Isacco, che Cavour, particolare poco noto, era un grande lettore di romanzi. Passando da Asti, Artom scese dal treno per sceglierne uno. Ma dovette ritornare due volte in libreria perché Camillo aveva già letti i primi due acquistati. 

E ancora, durante un viaggio in carrozza, nel maggio 1860, di ritorno da Bologna e da Genova, Cavour a un certo punto sporgendo la testa dal finestrino espresse un preciso e premonitore desiderio: “vedete il campanile in mezzo agli alberi. E’ la chiesa di Santena. Là voglio riposare dopo morte”.

Da notare, i due com’è naturale, visti i caratteri, si davano del Voi.

Morto Cavour, Artom a fine giugno 1861 accompagnò Francesco Arese a Parigi. Napoleone III riconosceva il neonato Regno d’Italia, ma bisognava reimpostare le relazioni tra i due Stati, nel Mediterraneo e in Europa. Le alleanze dovevano essere adattate al nuovo contesto interno e mondiale. L’Austria si era indebolita. Il Regno Unito si era rafforzato. La Prussia aumentava il suo peso nella Confederazione germanica. La Russia puntava l’attenzione sui Balcani. La Turchia aveva crescenti difficoltà a tenere unito il suo Impero. Gli Stati Uniti d’America espandevano i loro interessi all’Asia e all’area del Pacifico e nel 1867 acquistavano l’Alaska dalla Russia.             

Isacco era il più diretto custode e interprete dell’operare cavouriano. Nel 1862 ritornò a Parigi come segretario di legazione. A fine anno, però, rientrò a Torino come Capo di Gabinetto del Ministro degli Esteri, Emilio Visconti Venosta. Carica che conservò fino all’ottobre 1864, quando il governo cadde per l’eccidio di Torino conseguente al trasferimento provvisorio della capitale a Firenze. Il neonato stato unitario era subissato dalle difficoltà interne, prima di tutte il Brigantaggio, secondo il basso livello di istruzione, soprattutto al sud.

Nel luglio 1866, finita la III  guerra d’Indipendenza contro l’Austria, non a caso, Isacco era a Ferrara nel quartier generale dell’esercito. Bisognava fare gli accordi per il passaggio delle Venezie al Regno di Sardegna. Fu inviato a Vienna insieme al generale, ministro, ingegnere idraulico Luigi Menabrea. Una persona straordinaria, che aveva avuto tra i suoi allievi nientemeno che Sommelier, Grandis e Grattoni.

Le professioni del Risorgimento

Gli ingegneri che, con l’indispensabile collaborazione degli operai e muratori biellesi della Valle Cervo, la terra di Pietro Micca, stavano scavando a crescente velocità il Tunnel del Frejus. Quello della alta velocità. Gli operai e i tecnici, esperti nella lavorazione della pietra erano consapevoli di far parte dell’aristocrazia dei lavori e dei mestieri. Tanto da costituire, in quel di Bardonecchia, una Società Operaia di Mutuo Soccorso, trasferita al termine dei lavori, nel 1871, a Campiglia Cervo, nelle montagne alle spalle di Biella. Il paese che oggi ne custodisce le preziose memorie e i cimeli. Un patrimonio stupefacente, un singolare museo risorgimentale e dell’orgoglio professionale, che ha bisogno di qualcuno che se ne faccia carico e lo valorizzi perché ricorda che gli operai e i tecnici sono stati grandi protagonisti dell’Unità d’Italia, almeno quanto i combattenti e il notabilato. Una cosa è certa. La loro storia dimostra che il Risorgimento non è stato un movimento élitario, bensì un moto popolare che vide la scesa in campo di nuovi soggetti sociali costituiti da un crescente numero di persone appartenenti alle nuove categorie produttive.

La vittoria nella battaglia dell’Oidio del 1850, per quanto sottovalutata, è un altro esempio della partecipazione popolare al movimento risorgimentale. Rilevante per la cura degli interessi dei viticoltori e per il consenso acquisito alle politiche del governo in cui Cavour era ministro dell’agricoltura, del commercio e della marina. Altro esempio è la costituzione dell’Associazione obbligatoria dei proprietari di terra del Torinese, Vercellese, Novarese, Lomellina per la gestione e il governo delle acque. Una vera ed estesa base sociale di consenso e sostegno per la successiva realizzazione del Canale Cavour. E che dire dei muratori, mezzadri, tessitori, lavandaie, meccanici, gasisti, postali, commercianti, artigiani, stiratrici, tipografi, facchini, traboccanti, cappellai, liquoristi, lattai, modelliste, sacerdoti, suore, traghettatori, sellai, scalpellini, mandriani, bachicoltori, camerieri, carradori, sarte, ferrovieri, insegnanti, orologiai, medici, catramisti, ceramiste, fabbri, osti, filatrici, telegrafisti, falegnami, mietitori, macchinisti, fonditori, componenti di emergenti categorie sociali, impegnati nelle prime linee del lavoro, della produttività e delle barricate, di cui purtroppo si è snaturata e sottovalutata la memoria.  Categorie di poveri e ricchi, un’aristocrazia del lavoro che chiedeva garanzie e regole condensate nella Costituzione e incardinate nelle moderne istituzioni.

Il corriere della Corona Ferrea

Menabrea e Artom, dopo la sconfitta dell’Austria da parte della Prussia, avevano il compito di trattare la pace e il passaggio delle Venezie all’Italia.

La III guerra d’Indipendenza per l’Italia, nonostante Custoza e Lissa, finiva in gloria, grazie alla Prussia. In quel 1866, come già nel 1859 per la Lombardia, il passaggio avveniva transitando dalla Francia di Napoleone III, che ne avrebbe riconosciuta l’unione con l’Italia, salvo plebiscito. Isacco aveva l’esperienza necessaria a gestire un’operazione che aveva già curato nel 1859. Clausole a parte, gli Asburgo e gli Austriaci perdevano il governo, la gestione e il controllo di una bella fetta dell’Adriatico. Soprattutto uscivano definitivamente dalla Pianura Padana, una delle aree più ricche del Mondo allora come oggi.

Il 3 ottobre 1866 a Vienna si firmò la pace. Francesco Giuseppe rinunciava, per sé e per i successori, al titolo di Re della Lombardia e della Venezia. Artom, nel corso delle trattative, chiese a nome del Governo italiano la restituzione della preziosa Corona Ferrea, oggi custodita nella Cappella di Teodolinda, nel Duomo di Monza.  Il diadema che era stato sul capo di Carlo Magno e di Napoleone I.

“L’Imperatore austriaco contestualmente –così racconta Luigi Baudoin nella collana “Uomini del Risorgimento” ed. Rattero-Torino.1961– restituisce la Corona Ferrea, simbolo del Regno d’Italia, trasferita dal Duomo di Monza a Vienna nel 1859, dopo la II Guerra di Indipendenza. Isacco Artom ebbe il grande onore di curarne il trasporto. Giunto a Venezia, alloggiò nell’Albergo Luna, dove una lapide ricorda il ritorno in Italia della Corona Ferrea ma non chi la custodiva gelosamente nella propria camera”.

L’episodio è confermato dall’avvocato Alessandro Artom, pronipote del Senatore e figlio di Giorgio Artom che nel convegno di Asti del marzo 2010 ha ricordato quanto scritto dal padre ne “I giorni del mondo”. 
“Specializzatosi in Diritto Pubblico, Isacco completò la sua formazione a Gottinga, dove ebbe modo di avvicinarsi alla filosofia di Hegel. Isacco Artom…. ebbe il compito di riportare la Corona Ferrea in Italia: la mise nella sua cappelliera e ripartì. Si fermò a dormire a Venezia dove, all’Hotel Luna, una targa ricorda ancora oggi il passaggio della preziosa reliquia, che si dice realizzata con i chiodi della Croce di Gesù”.

Che c’entra un ebreo con un simbolo del Sacro Romano Impero.

Purtroppo il merito della restituzione della Corona Ferrea oggi va solo al Menabrea, che ebbe l’onore di consegnarla nelle mani di Vittorio Emanuele II il 3 novembre 1866. Si ricorda pure il sindaco di Monza Ubaldo de’Capei, che si rivolse al Primo Ministro Bettino Ricasoli per reclamarne la restituzione. Si cita anche il generale Solaroli, che la riportò a Monza il 6 dicembre e tutte le “autorità” civili e religiose presenti. Solo Isacco, nelle memorie ufficiali, non appare mai. Forse perché non si può lasciare a un ebreo la partecipazione alla restituzione di una così preziosa reliquia cristiana, simbolo del Sacro Romano Impero. Fu lui infatti il corriere che la trasportò da Vienna fino a Venezia dove era prevista una cerimonia ufficiale, poi rinviata a Torino. Il recupero della Corona, tenuta insieme dal chiodo della Croce portato dalla Terrasanta da sant’Elena, madre di Costantino, non poteva essere attribuito a un appartenente al popolo deicida. In più c’era di mezzo un altro ostacolo. La reliquia richiamava la falsa Donazione di Costantino, la giustificazioni su cui per secoli si è retto il potere temporale del Papa. Un potere fortemente contestato dai cattolici riformatori. Persone convinte che non c’è dissidio tra la fede e la scienza. Sostenitrici della libera lettura della Bibbia e della libertà di coscienza. Precursori dei Modernisti e del pensiero che troverà finalmente espressione, un secolo dopo, il 7 dicembre 1965, nella Gaudium et Spes, la Costituzione Pastorale promulgata da Papa Paolo VI, nell’ambito del Concilio Vaticano II. Sul rientro della Corona Ferrea era davvero troppo perché venisse tramandata la presenza attiva di un ebreo. Oggi Isacco non risulta citato da nessuna parte, neppure nelle preziose pubblicazioni esposte nel bookshop all’ingresso del Museo e Tesoro del Duomo di Monza. Purtroppo questa omissione nei suoi confronti non è la sola. Probabilmente perché ebreo, la figura e l’opera di Isacco Artom non sono messe in risalto come meriterebbero nei diversi musei del Risorgimento, compreso quello della sua città: Asti. E questa non è la sola dimenticanza. Basta pensare a quanto poco si parla dell’azione svolta nella formazione dello Stato italiano da Cesare Alfieri di Sostegno, da Emilio Visconti Venosta e dallo stesso Cavour. Azioni che hanno danno senso ed anima al Risorgimento perché direttamente collegate con gli interessi dei loro contemporanei e dei loro discendenti. 

Isacco rientra in Italia.

Nel 1867 Isacco fu inviato all’estero. In Danimarca e successivamente nel Baden Wurttemberg. La sua conoscenza della Confederazione Germanica e dei nuovi equilibri dell’area Centroeuropea era sempre più preziosa per l’Italia. Pur lontano, seguiva la realizzazione delle grandi opere infrastrutturali sognate e fortemente volute dal suo Primo Ministro: il Canale Cavour, che irrigava il Vercellese, il Novarese e la Lomellina e il Tunnel del Frejus, La galleria più lunga del mondo che collegava il Canale di Suez, il porto di Genova, Alessandria, Asti, Torino, con Lione e Parigi, con Londra e con il Nord Europa. Il traforo che superava le Alpi con una linea ferroviaria di alta velocità: dai 5 kmh di un mulo ai 50 kmh del treno.

Isacco ebbe una bella rivincita il 20 settembre 1870, con la Presa di Porta Pia, quattro anni dopo il rientro della Corona Ferrea. Allora, si realizzò quello che venne chiamato “il capolavoro di Artom”. E cioè la politica di equidistanza e neutralità dell’Italia nei confronti della Francia e dell’Austria. Una strategia che si rivelò preziosa dopo la sconfitta di Napoleone III da parte dei Prussiani di Bismarck a Sadowa perché creò le condizioni affinché Roma fosse conquistata, senza che ci fossero ostacoli da parte dell’Austria.

Isacco era giusto rientrato In Italia. Conoscendo la sua esperienza Emilio Visconti Venosta, parente ed erede di Camillo Cavour, lo chiamò a fare il Segretario del Ministero degli Esteri.Si conoscevano da tempo, si davano del tu.Erano coscritti, essendo nati nel 1829.Tutti e due si erano formati e avevano lavorato a stretto contatto con il Contadino-Tessitore. Emilio era l’erede riconosciuto e il rappresentante della politica cavouriana nel Governo. A loro toccò la patata bollente lasciata da Cavour: gestire la Presa di Porta Pia, la fine del potere temporale del Papa, la Legge delle Guarentigie e il trasferimento della Capitale da Firenze a Roma.

Il forte legame con l’Astigiano

Dettaglio non secondario, entrambi erano legati alla terra, alla cultura e alla grande storia astigiana. Altro particolare non secondario, entrambi conoscevano la relazione tra Giuseppe Garibaldi e la contadina astigiana Francesca Armosino, la terza moglie del Generale. Anzi Emilio era indirettamente, molto indirettamente, implicato nella complicata situazione che impediva al Generale di sposare e di riconoscere i figli concepiti con Francesca. Non che avesse colpa. Ma certamente Emilio diede una mano a far sì che finalmente nel 1880, due anni prima di morire, Garibaldi dopo aver fatto costruire la palazzina di San Martino Alfieri, provincia di Asti, frazione Saracchi, potesse sposare la sua Francesca. Tutto era iniziato nel 1859 in piena II guerra di Indipendenza. Emilio, già esule in Piemonte dopo le Cinque Giornate di Milano, ricevette da Camillo Cavour il delicato incarico di commissario regio presso Garibaldi. Il Generale combatteva con i suoi Cacciatori delle Alpi, in Lombardia tra Varese, Como e la Brianza, a nord-est del Lago Maggiore. In quei frangenti Emilio Visconti Venosta, per fargli avere delle informazioni preziose incaricò la bella diciottenne Giuseppina Raimondi di recapitargli dispacci segreti. Subito l’Eroe dei Due Mondi si innamorò della fanciulla. L’Eroe dei Due Mondi, si sapeva, era molto sensibile al fascino femminile nonostante l’età e gli acciacchi. Lei per un po’ fece resistenza. Poi cedette alla richiesta di matrimonio celebrato a gennaio del 1860. Celebrato ma non consumato perché, finita la cerimonia, il Generale fu informato che la sposa attendeva un figlio da un giovane militare. Garibaldi ripudiò immediatamente la sposa, cosicché il matrimonio non fu consumato. Su questa vicenda ruotò un ostruzionismo da parte dei numerosi nemici di Garibaldi che impedì per lunghi anni a Francesca di sposare il padre dei suoi due figli. Finalmente la situazione si sbloccò grazie al governo della Sinistra salito al potere nel 1876. Erano gli amici del Generale. Probabilmente Emilio e  Isacco diedero una mano a risolvere la situazione e non è escluso che in cambio ci sia stata la decisione di staccare la Frazione di Saracchi dal comune di Antignano per aggregarla a quello di San Martino Alfieri, il cui signore era appunto Visconti Venosta. E così Garibaldi venne ad Asti per inaugurare la casa sua e di Francesca e dei figli Manlio e Clelia. Figli adorati perché venuti ad allietare la vecchiaia.

Insomma il legame con l’Astigiano era più forte di quanto si creda. In una piccola zona al confine con Govone e il Roero, precisamente a San Martino, avevano casa nientemeno che i discendenti di Camillo Cavour, di Cesare Alfieri e di Giuseppe Garibaldi. 

Gli Artom avevano casa lì vicino, a Variglie: in più, Isacco era amico dello suocero di Emilio, Carlo Alberto Alfieri di Sostegno, marito di Giuseppina Benso di Cavour, la nipote di Camillo. Un matrimonio importante, celebrato nientemeno che dall’Abate Antonio Rosmini. Un’unione che suggellava il legame politico tra Camillo e il suo grande amico Cesare Alfieri di Sostegno, padre dello sposo. Un matrimonio da cui era nata Luisa Alfieri di Sostegno, convolata a nozze con Emilio Visconti Venosta nel 1876, proprietaria del Castello di San Martino Alfieri.

Le modalità della collaborazione con Camillo

Artom non pubblicò diari. Non era nel suo carattere vantarsi. Diventato braccio destro di Cavour, lavorava discreto, vigile, infaticabile, attento. Sempre presente, spesso fino alle tre del mattino. Da notare che alle cinque il Tessitore cominciava la nuova giornata. 

Alle volte il primo ad arrivare era La Farina, della Società Nazionale. Entrava dalla porta laterale di palazzo Cavour, quella su Via Lagrange. Meno lo vedevano, meglio era. Dopo venivano Pallavicino e Manin, i due che avevano convinto Garibaldi ad abbracciare la linea monarchico costituzionale cavouriana che mise definitivamente fuorigioco Mazzini. Isacco vide passare tante persone tra cui Giuseppe Verdi e Alessandro Manzoni.

Isacco seguiva l’attività di governo e i contatti con i diplomatici accreditati a Torino e nelle sedi estere. Lavorava sulla politica estera, il che comprendeva: la preparazione del moto nazionale nelle varie parti d’Italia, le relazioni con le potenze straniere, i rapporti con i nazionalismi dei Balcani, l’evidenziazione dell’antagonismo di interessi tra la Germania e l’Austria, l’attenuazione dell’eccessiva identificazione della causa italiana con la politica francese.

Grande conoscitore degli Stati tedeschi, predisponeva articoli per la stampa estera in inglese, francese e tedesco, che Cavour talvolta rivedeva. L’obiettivo era di prevenire i pregiudizi contro il Piemonte e l’Italia sostenuti in primis dall’Austria e dal Papato.

La questione romana fu ampiamente dibattuta tra il cattolico liberale, figlio di una calvinista ginevrina convertita nel 1811 e l’ebreo astigiano. Artom, tipico figlio della borghesia, era un abile giornalista, un esperto diplomatico, un valente politico, un raffinato burocrate. Fu così che da segretario particolare, in pochi giorni, divenne indispensabile collaboratore.

Il 23 marzo 1876, con l’avvento della sinistra storica al governo, Isacco lasciò l’incarico di Segretario agli Esteri e pochi giorni dopo fu nominato Senatore del Regno.

Era il primo Ebreo italiano a entrare in Senato.

La pubblica testimonianza del “Gran Rabbino di Leri”

Fino al termine dei suoi giorni Isacco ricordò la reazione di Camillo Cavour contro l’attacco clericale pubblicato il 31 luglio 1860 su “L’Armonia” da Don Margiotti. Il giornale cattolico riportava una lettera di questo tenore

“P.S. Un cotale che è molto addentro alle segrete cose ci scrive: che Mr. De Cavour non sia, ni un homme d’esprit, ni un homme sèrieux, basterebbe a provarlo la circostanza dell’onorare che esso fa di specialissima confidenza un ebreo, applicato al suo gabinetto particolare, nel ministero dell’estero, al quale non si peritò di commettere la redazione della risposta alla sensibilissima lettera dell’Arcivescovo di Chambery. Ciò premesso, la citazione del fanciullo Mortara e dei coniugi Madiai, come chè spropositata, e ripugnante non meno a verità che ad onesto riguardo di convenienza, si presenta e si spiega in modo naturalissimo. Il fortunato segretario e confidente è certo avvocato Isacco A…., appartenente non so a qual Ghetto; e certo degnissimo del favore, di cui gode presso il gran –Rabbino di Leri­–“. 

Cavour reagì lo stesso giorno, con una lettera aperta al direttore del giornale, “L’Opinione”,  Giovanni Dina, scrivendo “…..…Ma che colpire me, (L’Armonia) scagli basse insinuazioni contro un giovane e distinto impiegato, rimasto del tutto estraneo alle lotte politiche, è ciò che muoverà a sdegno, ne son convinto, gli onesti di tutti i partiti………Giacchè non vi sono fatti nella vita politica di cui maggiormente mi compiaccia, che di avere potuto scegliere a collaboratori intimi ed efficaci nel disimpegno dei negozii i più delicati e difficili, prima il sig. Costantino Nigra, poscia il sig. Isacco Artom, giovani di religione diversa, ma del pari d’ingegno singolare e precoce, di zelo instancabile, di carattere aureo. Questa pubblica testimonianza ch’io mi credo in debito di rendere al sig. Artom, sarà, ne son certo, confermata da quanti lo conoscono, ed in particolare modo dai suoi capi, di cui godè sempre l’intera fiducia e dai suoi colleghi che giustamente lo stimano e lo apprezzano. La pubblica opinione farà giustizia di ignobili attacchi per parte di coloro che rimpiangono i tempi, in cui la diversità di culto bastava per allontanare dai pubblici uffici i giovani i più istruiti ed i più capaci. F.to Camillo Cavour”.

Di questa dichiarazione Isacco andò sempre orgoglioso. Difendendolo pubblicamente Cavour aveva dato uno schiaffo ai pregiudizi religiosi, aveva esaltato i valori di libertà e di laicità di cui tanto avevano dibattuto, in cui tanto credevano. 

Isacco Artom morì celibe, come Camillo Cavour, il 24 gennaio 1900, all’età di settant’anni. Trentanove anni prima se n’era andato il suo grande capo, che lui nell’ultimo viaggio aveva accompagnato a Santena.

Fine ultima parte

Gino Anchisi

da Santena, la città di Camillo Cavour, 12 gennaio 2019.

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