Santena, Torinese in crisi. Come uscirne? Puntata 246

SANTENA – 6 dicembre 2020 – Rapporto Rota 2020. I nodi della marcia dei Quarantamila della Fiat arrivano al pettine dopo quarant’anni. I Provinciali devono aiutare i Torinesi a comprendere l’importanza strategica della campagna, dei prodotti agroalimentari e dell’agroindustria. Il Distretto del Cibo guarda al dopo Covid-19.

Clima da Santa Bibiana per 40 giorni e una settimana. Cioè fino al 17 gennaio del nuovo anno. Chissà poi come proseguirà il 2021? Per Santena, il Chierese-Carmagnolese, il Torinese e il Piemonte nessuno azzarda previsioni. Dal punto di vista sanitario c’è la speranza nel vaccino. Nel frattempo si spera di superare la fase due del virus e di evitare la fase tre. Per l’economia invece ci si affida alla possibilità di poter fare altri debiti garantiti dall’Unione Europea per sostenere l’industria, l’agricoltura, l’edilizia, il turismo, le infrastrutture, lo spettacolo, la cultura, il commercio e il terziario. Praticamente tutto. Una svolta all’insegna delle politiche di intervento a sostegno dell’economia attuate da Camillo Cavour e poi dal New Deal di Franklin Delano Roosevelt . Certo, come tutti sanno, la crisi è grave e complessa. Per superarla ci vorrebbe gente seria, competente, interessata al bene comune, capace di fare i necessari compromessi con i Paesi che credono nella costruzione degli Stati Uniti d’Europa. Il che vuol dire che l’Unione così com’è va riformata e rafforzata per evitare che ritornino i nazionalismi disgregatori.

Nella Provincia metropolitana torinese la sensazione è che il Covid 19 abbia accelerato i fenomeni già in corso, abbreviando i tempi di sopravvivenza di imprese agonizzanti da venti anni. La pandemia ha anche modificato gli equilibri nel mondo dell’associazionismo, del volontariato, dei servizi e del terziario. Così come ha evidenziato i limiti nei ruoli e nelle competenze dei differenti livelli istituzionali. Visto che siamo in tempi di elezioni comunali, metropolitane e casomai statali vale la pena parlarne.  

Considerata la situazione, ogni abitante metropolitano farebbe bene a dare un’occhiata al Rapporto Rota del 2020 curato dalla Fondazione Einaudi di Torino. Non perché lì ci sia la soluzione. Ma perché punta l’occhio sulla scarsa attrattività della “Provinciona” che va dal Sestriere a Carmagnola, da Torre Pellice a Rondissone, da Traves a Poirino passando per Torino. La faccenda non è banale. Se non si è attrattivi si declina.

Del resto la società provinciale da tempo non è quella che si immagina. Qualcuno dice che è colpa della vittoria dell’Appendino alle comunali di Torino. Ma non è vero. Lo smottamento è cominciato da tempo. Ben prima del terribile 2008. Nel 2016 la sconfitta di Fassino è stata solo un segno di stanchezza.  Un tentativo non riuscito di trovare una nuova formula per rappresentare gli interessi emergenti nella società torinese. Un segnale evidente del disagio conseguente a una crisi che aveva modificato gli equilibri sociali costruiti nel passato. 

Col Covid la crisi ha preso velocità e direzioni differenti. Nuovi interessi stanno affiorando. Nuove categorie emergeranno. Un nuovo blocco sociale si formerà sulla base di nuovi equilibri. C’è un conflitto aperto tra garantiti e non garantiti. Tra contribuenti e non contribuenti. Tra produttivi e non produttivi. Tra competitivi e non competitivi. Tra altruisti ed egocentristi. Tra Stato e Regioni. Tra imprenditorialità e Pubblica Amministrazione. Tra chi rispetta le regole della concorrenza e chi no. Tra conservatori e progressisti: di destra, di sinistra o di centro che siano. Il tutto in un quadro geopolitico in fermento a livello nazionale e globale. In questo clima si tratta di capire a chi e come gli interessi personali e aziendali si uniranno per formare un blocco sociale che si farà rappresentare nelle istituzioni.

Il Rapporto Rota dice una cosa evidente: Torino ha un deficit di attrattività. Non suscita emozioni. E’ poco sexy.  Non stimola l’interesse di chi le sta vicino e neppure di quelli lontani. Di chi dovrebbe allearsi per investire nell’area metropolitana potenzialmente più adatta a unire il Mediterraneo all’Europa.

Fiat, marcia dei 40mila, 14 ottobre 1980

Da troppo tempo il fascino derivante dall’essere terra di confine e snodo continentale grazie alle infrastrutture stradali e ferroviarie si è dissolto. Vien da chiedersi come la città-provincia –che vide Camillo Cavour e i suoi contemporanei costruire le condizioni per agganciare l’Italia al mondo occidentale– non sia riuscita a tenere il passo con i cambiamenti. Una cosa è indubbia. La colpa non è solo della Fiat o dell’Olivetti. Lo è soprattutto della politica nazionale, regionale e locale. La difficoltà a inserirsi nel processo di globalizzazione e di innovazione tecnologica era emersa già negli anni Settanta in Italia e nel Piemonte industriale. Da allora in poi la presenza a livello mondiale in vari comparti (informatica, chimica, costruzioni, meccanica, autovetture, siderurgia) inesorabilmente si è allentata. La capitale industriale ha mostrato stanchezza nell’affrontare il futuro. Nel 1980 la marcia dei Quarantamila mise sul piatto la sfida della produttività. Una prova che quarant’anni fa si poteva vincere se ci fosse stata concordanza di interessi tra lavoratori e imprenditori ad aumentare l’efficienza del sistema. Compresa quella della Pubblica Amministrazione. Vinse purtroppo la divisione rappresentata dai cancelli presidiati da un popolo impreparato a raccogliere la sfida dalla rivoluzione informatica che avrebbe innovato la cultura industriale e produttiva. Una ferita per la Fiat e per i suoi lavoratori che Venaria Reale, il Salone del libro, le Olimpiadi Invernali del 2006, Terra Madre, il 150° dell’Unità d’Italia del 2011 e gli investimenti in cultura e turismo possono lenire solo in parte. 

Adesso il tempo stringe. Venir fuori dalla crisi impone al Torinese di costruire un nuovo piano strategico cui agganciare gli investimenti. Torino e Provincia devono farlo nei comparti in cui sanno fare bene il loro mestiere: meccanica, idraulica, formazione professionale, istruzione, ricerca, elettronica, automotive e turismo. Da non sottovalutare è l’agricoltura. Un settore tradizionale dove la qualità, la freschezza, la salubrità, elementi fondamentali delle politiche europee, ben si sposano con la creazione di posti di lavoro, l’innovazione, la ricerca, il paesaggio, il digitale, la biologia, l’agroindustria, il turismo, le tecnologie, la sanità, la ristorazione.

Se c’è una cosa su cui chi vive in provincia deve aiutare i Torinesi, è far loro comprendere l’importanza strategica della campagna e dei suoi prodotti agroalimentari. Una proposta che oggi nella Zona Chierese-Carmagnolese si potrebbe concretare nel Distretto del Cibo metropolitano.

Gino Anchisi
da Santena, la città di Camillo Cavour, 6 dicembre 2020.