Santena, giovanili speranze, puntata 84

SANTENA – 26 agosto 2017 – Finanziare il Castello Cavour sarebbe un buon investimento per i giovani Italiani. Nella Zona urgono sedi e strumenti che diano un senso allo stare insieme. Come collocarsi nel nuovo Ospedale AslTO5, nel Piano Strategico Metropolitano, nella gara ATIVA–SATAP, nella Città della Salute.

Santena, Castello Cavour, agosto 2017

1) Paura del  Castello. La Regione sembra orientarsi su un’ipotesi di fusione con il Museo del Risorgimento. Torino nicchia. I Fondatori non istituzionali drizzano le antenne sul bilancio. I soci si interrogano se ha senso investire ogni anno centinaia di migliaia di euro per far funzionare il Castello di Santena! La risposta è si, visto l’analfabetismo di ritorno sulla storia e sull’idea di Stato unitario. Investire ha senso purché le Istituzioni non temano ciò che può scaturire, a livello culturale e politico, rilanciando il ruolo e la funzione del Castello e del patrimonio in esso custodito. Un patrimonio che potrebbe far comprendere il passato, il presente e il futuro degli Italiani di oggi e di domani. Dunque, potenzialmente rivoluzionario, in tempi di neonazionalismo, neoborbonismo, neoautonomismo, neoantieuropeismo.

2) Missione del Castello. Il Castello Cavour di Santena non è mai stato un semplice memoriale. Anzi, fino al 1955, in effetti lo fu. Poi, con la trasformazione in Museo, ai tempi  della sottovalutata Italia ’61, la funzione del Castello, nel contesto culturale italiano, fu ampliata. Così voleva il ceto produttivo, culturale e politico illuminato che operava a Torino nel Dopoguerra. I tempi del resto erano ormai maturi. Del Risorgimento Italiano e del processo che culminò con l’Unità d’Italia il Museo diede una chiave di lettura che rompeva con quella della  cultura fascista e precedenti. Il nuovo contesto europeo e globale scaturito dopo la Seconda mondiale imponeva un’operazione di aggiornamento. L’opera dei ceti emergenti, protagonisti dell’indipendenza dall’Austria e della formazione di istituzioni a tutela dei diritti personali di sudditi e di servi che diventavano cittadini, era finalmente ben delineata. Lo spirito del tempo,  rappresentato dalle innovazioni scientifiche, tecnologiche, commerciali, finanziarie, infrastrutturali, associative era raffigurato sfruttando la figura e l’azione di Camillo Cavour, nelle quali si riconoscevano i nuovi cittadini dell’Italia prima, durante e dopo l’Unificazione. Passata Italia ’61, il ruolo del Museo si è rapidamente indebolito. Su quanto erano stati capaci di fare i nostri antenati ricadeva il buio. La retorica nazionalista e populista è insidiosa. Cavour veniva rimosso. Messo da parte perché suscitava e suscita paragoni troppo scomodi. Del resto è abissale lo scarto tra la produttività del lavoro dei ceti emergenti di allora e di quelli attuali.

3) Chierese-Carmagnolese. C’è bisogno di formazione, di istruzione, di educazione, di investimenti, di innovazione, di ricerca, di visioni ampie, di strategie che ridiano senso al camminare insieme. E invece ci si ferma a localismi, che non danno sbocchi nuovi alle esperienze e alle identità. Perché parlare di identità e di interessi ha senso solo se questi si sanno proiettare nel domani.

4) Dal punto di vista della capacità di governare funzioni sociali a livello zonale non si può essere soddisfatti. Inutile nascondere la difficoltà di gestire in modo associato attività e servizi in un territorio in cui prevale il localismo e il particolarismo. Alcune buone esperienze della seconda metà del Novecento ci sono: il Consorzio Socio-Assistenziale, l’Azienda Sanitaria Locale (ASL), il Consorzio dei Rifiuti. Poi c’è stata una lunga interruzione. Nel Duemila l’allora Provincia, Dio l’abbia in gloria, oggi Città Metropolitana, salvò, insieme ai produttori locali, i Prodotti Agroalimentari Tradizionali coltivati da secoli nel nostro territorio. Adesso sul piatto ci sono il nuovo Ospedale unico, l’abolizione del pedaggio a Trofarello e Carmagnola, la riorganizzazione del Trasporto pubblico su gomma e su treno metropolitano e, visto il cambiamento climatico, il Piano del ciclo delle acque della Zona omogenea.

5) In guardia. Alla luce del Piano Strategico Metropolitano, nel n° 77 dell’8 luglio si chiedeva, ai Comuni e ai Sindaci della Zona Chierese–Carmagnolese, che valore ha far parte  della Città Metropolitana. La domanda era in relazione al peso del sistema agricolo, territoriale, comunitario, museale, ambientale, ospedaliero, logistico, industriale, artigianale, turistico e di mobilità delle persone e delle merci della Zona. Passati luglio e agosto, dopo le necessarie riflessioni, si attende che le osservazioni e le modifiche e integrazioni al PSM predisposte dai Comuni siano rese pubbliche e possibilmente portate a conoscenza e discusse con i cittadini e le imprese del territorio.

6) Sveglia. La Zona Chierese-Carmagnolese della Città Metropolitana deve definire dove vuole andare, altrimenti non si combina nulla. Se si sta fermi le identità, singole e collettive, rischiano di insterilirsi. In questa non-comunità ci sono persone, aziende, cascine, botteghe, laboratori, scuole, associazioni, agenzie formative, bancarie e assicurative, albergatori, liberi professionisti, beni culturali con interessi differenti che hanno bisogno di misurarsi con il lavoro, con la produttività e con un Piano strategico di investimenti materiali e immateriali.

7) Come avviare l’azione. Quale metodo adottare per fare un Piano Strategico di Zona? Non si tratta solo di avere idee, ma di come tradurle in azioni e opere. Si tratta di definire il metodo per governare un’operazione complessa per provare a dialogare con gli Stellati che dirigono la Città Metropolitana. I rischi da evitare sono la settorializzazione e l’autoreferenzialità. Per sottrarre alla solitudine gli specialisti, le istituzioni e la burocrazia, l’antidoto c’è.  E’ l’integrazione e la collaborazione di rappresentanti della molteplicità degli interessi che si manifestano nella comunità territoriale. Per prima cosa si dovranno definire gli obiettivi tenendo conto che il lavoro manca, le aziende chiudono o delocalizzano, la produttività spesso non compensa il basso valore delle derrate alimentari e dei prodotti dell’industria. O No!

Gino Anchisi
da Santena, la città di Camillo Cavour, 26 agosto 2017.

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