una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal 2 all’8 ottobre 2011

Santena – 2 ottobre 2011 – Proposte di riflessione, per i giorni dal 2 all’8 ottobre 2011, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.


Domenica 2 ottobre  2011

La vigna produsse acini acerbi

Voglio cantare per il mio diletto il mio cantico d’amore per la sua vigna. Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate; in mezzo vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino. Egli aspettò che producesse uva; essa produsse, invece, acini acerbi. E ora, abitanti di Gerusalemme e uomini di Giuda, siate voi giudici fra me e la mia vigna. Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto? Perché, mentre attendevo che producesse uva, essa ha prodotto acini acerbi? Ora voglio farvi conoscere ciò che sto per fare alla mia vigna: toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo; demolirò il suo muro di cinta e verrà calpestata. La renderò un deserto, non sarà potata né vangata e vi cresceranno rovi e pruni; alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia. Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti è la casa d’Israele; gli abitanti di Giuda sono la sua piantagione preferita. Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi.

Is 5,1-7

 

Darà in affitto la vigna ad altri contadini

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto per mio figlio!. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».

Mt 21,33-43

 

L’amore è un lavoro che esige un’ascesi

Isaia e Matteo sottolineano il tema del fare: c’è un fare di Dio che attende un fare umano come risposta; in particolare, attende da parte della vigna-Israele un fare frutti adeguati. La prassi del credenti è un fare frutto: si tratta di entrare in una relazione che dona fecondità. L’agire cristiano, pastorale in specie, rischia spesso la cecità dell’attivismo, la pigrizia della forza d’inerzia, l’insipienza di chi ha “freddo il senso e perduto il motivo dell’azione” (Thomas Stearns Eliot). Il raffreddarsi della carità (cf. Mt 24,12) si può accompagnare a un fare dissennato, indiscreto e senza discernimento. La fede nel fare di Dio per l’uomo, dunque nel suo amore, è il fondamento dell’agire del credente.    Il fare di Dio per la sua vigna è un lavorare (cf. Is 5,2) che ne esprime l’amore (cf. Is 5,1). L’amore è un lavoro, una fatica: la “fatica dell’amore” (1Ts 1,3). Anche per l’uomo, lungi dall’essere un’attività facile e immediata, l’amore è un lavoro che esige un’ascesi. La maturità umana trova nella capacità di lavorare efficacemente e di amare in modo adulto due elementi qualificanti decisivi. L’amore divino nutre un’attesa nei confronti dell’amato: non attende amore di ritorno, ma giustizia (cf. Is 5,7). La giustizia umana onora l’amore di Dio. L’amore che attende qualcosa dall’amato esercita una dolce violenza, ma un amore che non attenda nulla dall’amato è semplicemente irreale. Prima lettura e vangelo sono brani di teologia della storia, di rilettura della storia alla luce della fede. Isaia parla dell’agire di Dio verso il suo popolo e la parabola evangelica rilegge la storia degli invii dei profeti e del loro rigetto da parte del popolo, fino all’invio del Figlio. Emerge la difficoltà di discernere il servo di Dio, il profeta. L’alterità insostenibile di Dio diviene l’alterità del profeta che si traduce nella sua presenza scomoda, imprevedibile, non racchiudibile in etichette del tipo “progressista” o “conservatore”. Uomo del pathos di Dio, le reazioni del profeta agli eventi storici ed ecclesiali sfidano il buon senso comune e il comune sentire religioso e appaiono di volta in volta eccessive, non allineate, sproporzionate, difficilmente comprensibili, trascurabili, ininfluenti. Ed egli stesso viene sentito spesso come insopportabile o deriso come sognatore o considerato come presenza di cui si può tranquillamente non tener conto alcuno. L’atteggiamento dei contadini a cui è affidata la vigna (cf. Mt 21,33-39) denuncia un pericolo perenne nella comunità cristiana: l’occupazione dello spazio ecclesiale da parte di chi vi esercita una leadership (cf. Mt 21,38). Questo avviene quando un gruppo di persone che rivestono ruoli dirigenti nella chiesa assolutizza la propria visione e cerca di far divenire norma generale le proprie opzioni. La parabola pone di fronte all’enigma della violenza che può scandalosamente farsi presente in uno spazio religioso. Nell’alveo ecclesiale la violenza non riveste normalmente forme clamorose come la violenza fisica, ma più sottili come il non ascolto, il rifiuto, l’emarginazione, il disprezzo, la non accoglienza, il disinteresse, la pressione e l’abuso psicologico. Avviene così che l’agire di Dio, che fa dello scarto umano il fondamento della storia di salvezza (cf. Mt 21,42), sia contraddetto dall’agire ecclesiale che crea scarti e produce emarginati. Questo l’agire di Dio: “Dio sceglie ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato” (1Cor 1,28). Questo lo scandaloso agire messianico, e questo è chiamato a essere l’agire dei messianici, i “cristiani”. Lo stupore e lo scandalo che suscita in noi l’agire del padrone della vigna che, dopo avere visto tanti suoi servi subire una sorte violenta, infine invia il figlio, quasi sottovalutando il rischio, è indice della nostra distanza dal pensare di Dio, dalla radicalità del suo amore, dalla follia della sua gratuità.  Il passaggio della vigna a un popolo che la farà fruttificare non è un giudizio sulla vigna-Israele, ma sui suoi capi, ed è anche invito e ammonimento agli “eredi” a essere fecondi. Nessun sostituzionismo (i vignaioli non si sostituiscono alla vigna!): nessuna idea di chiesa come nuovo o vero Israele scaturisce dal testo.

Luciano Manicardi

Comunità di Bose

 

Sono i frutti di giustizia, di pietà, di amore che ci rendono popolo di Dio

Da tre domeniche le Scritture ci parlano della vigna. Quando Gesù pronunciava questi discorsi, i suoi ascoltatori sentivano riecheggiare nelle loro orecchie i numerosi testi dell’Antico Testamento relativi alla vigna del Signore. Tornava loro in mente la suggestiva preghiera: “Dio degli eserciti, ritorna! Guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna, proteggi quello che la tua destra ha piantato” (Sal 80,15-16). Sapevano bene che la vigna era il popolo del Signore, come aveva detto Isaia: “La vigna del Signore degli eserciti è la casa d’Israele”. E ogni volta i testi sottolineano la cura premurosa di Dio; una cura piena di attenzioni, di premure, di preoccupazioni, come può averle un innamorato. In verità, si tratta proprio di un amore senza limiti da parte del Signore. Talora gli autori biblici, prendendo spunto dalle serenate d’amore, applicavano la stessa scena al Signore che canta un canto d’amore per la sua vigna: “Voglio cantare per il mio diletto il mio cantico d’amore per la sua vigna”, scrive Isaia. E il profeta continua: “Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate; vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino”. Possiamo paragonare anche le nostre comunità a questa vigna di cui ci parlano le Sante Scritture. Il Signore non ha mai mancato di mandare suoi servi a curarle, ma dobbiamo riconoscere che l’uva selvatica non manca. Non manca cioè l’asprezza delle nostre azioni, l’aridità del nostro cuore, l’avarizia dei nostri sentimenti, la durezza nell’accogliere coloro che il Signore ci manda. Credo si possa applicare anche a noi il lamento del Signore sulla sua vigna che non produce frutti buoni: “Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto?”. Il Signore s’interroga, quasi a cercare una sua ipotetica colpa per la mancanza di frutti da parte nostra. Egli, che ha lavorato certamente più di noi, continua a chiedersi se deve fare ancora di più. Perché il Signore se lo chiede, e noi no? Forse siamo a tal punto piegati a coltivare il nostro piccolo cespuglio che neppure ci salta in mente di alzare lo sguardo un poco più in alto; oppure siamo così intontiti dai nostri lamenti da non sentire altro che noi stessi; e siamo, invece, attenti ad allontanare dalle orecchie e dal cuore le parole che il Signore non manca di rivolgerci. Il cuore di questa pagina evangelica è la storia di un amore senza confini; quella di Dio per la sua terra, per la nostra vita. Un amore grande, sconfinato, che non teme neppure l’ingratitudine e la non accoglienza degli uomini, di quei vignaioli ribelli di cui parla il Vangelo, a cui egli ha affidato la terra. Nel brano evangelico c’è come l’aumentare di un singolare contrasto: tanto cresce l’amore tanto aumenta l’ostilità, o anche l’inverso, quanto più cresce la non accoglienza degli uomini, tanto più aumenta l’amore di Dio per loro. Quando arriva il tempo della vendemmia, il padrone manda i suoi servi dai vignaioli per ritirare il raccolto. La reazione di questi ultimi è violenta: colpiscono, uccidono, lapidano quei servi. Il padrone “di nuovo” invia altri servi, in numero maggiore, ma incontrano la stessa reazione. Sembra di rileggere, in una sintesi efficace e tragica, l’antica e sempre ricorrente storia dell’opposizione violenta (anche fuori della tradizione giudaico-cristiana) ai “servi” di Dio, agli uomini della “parola” (i profeti), ai giusti e agli onesti di ogni luogo e tempo, di ogni tradizione e cultura, da parte di coloro che vogliono servire, come quei contadini “malvagi”, solo se stessi e il proprio tornaconto. Ma il Signore – ed è qui il vero filo di speranza che sottende la storia degli uomini e la salva – non diminuisce l’amore per gli uomini, anzi lo accresce. “Da ultimo” il padrone invia il suo stesso figlio, credendo che lo rispetteranno. Al contrario, la furia dei vignaioli esplode e decidono di ucciderlo per carpirne l’eredità. Lo afferrano, lo portano “fuori della vigna” e l’uccidono. Queste parole erano forse chiare solo a Gesù, quando furono pronunciate. Oggi le capiamo bene anche noi: descrivono alla lettera quello che accadde a Gesù. Era nato fuori da Betlemme; muore fuori da Gerusalemme. Gesù, molto lucidamente e coraggiosamente, denuncia l’infedeltà e l’inaccoglienza dei servi che giungono ad uccidere lo stesso figlio del padrone. Alla fine della parabola Gesù chiede agli ascoltatori che cosa farà il padrone a quei suoi coloni. La risposta è: li punirà, toglierà loro la vigna e l’affiderà ad altri perché la facciano fruttificare. Dio attende frutti; è questo il criterio in base al quale viene fatto il trasferimento della vigna. L’ammonimento travalica gli ascoltatori di Gesù per giungere sino a noi. Il Vangelo dice di non farsi facili illusioni rivendicando un diritto di proprietà inalienabile sulla “vigna”, che è e rimane di Dio. I nuovi vignaioli sono qualificati solo dai frutti, non dalla semplice appartenenza. Sono i frutti di giustizia, di pietà, di misericordia, di amore che ci rendono partecipi del popolo di Dio. “Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia”, scrive il Vangelo di Giovanni (15,2). E ancora: “Dai loro frutti li riconoscerete”.

Comunità di Sant’Egidio

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Lunedì 3 ottobre 2011

Chi è il mio prossimo?

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

Lc 10,25-37

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Martedì 4 ottobre 2011

Hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli

In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Mt 11,25-30

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Mercoledì 5 ottobre 2011

Signore, insegnaci a pregare

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione».

Lc 11,1-4

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Giovedì 6 ottobre 2011

Chiedete e vi sarà dato

In quel tempo, Gesù disse ai discepoli: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli, e se quello dall’interno gli risponde: Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

Lc 11,5-13

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Venerdì 7 ottobre 2011

Chi non è con me, è contro di me

In quel tempo, [dopo che Gesù ebbe scacciato un demonio,] alcuni dissero: «È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni». Altri poi, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo.
Egli, conoscendo le loro intenzioni, disse: «Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull’altra. Ora, se anche Satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi dite che io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl. Ma se io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Per questo saranno loro i vostri giudici. Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio. Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, ciò che possiede è al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via le armi nelle quali confidava e ne spartisce il bottino.
Chi non è con me, è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde.
Quando lo spirito impuro esce dall’uomo, si aggira per luoghi deserti cercando sollievo e, non trovandone, dice: Ritornerò nella mia casa, da cui sono uscito. Venuto, la trova spazzata e adorna. Allora va, prende altri sette spiriti peggiori di lui, vi entrano e vi prendono dimora. E l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima».

Lc 11,15-26

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Sabato 8 ottobre 2011

Beati coloro che ascoltano la parola di Dio

In quel tempo, mentre Gesù parlava, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!».
Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!».

Lc 11,27-28

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