Una pausa per lo spirito – proposte di riflessione per i giorni dal 9 al 15 settembre 2012

Santena – 9 settembre 2012 – Alcune proposte di riflessione, per i giorni dal 9 al 15 settembre 2012, tratte dalla liturgia del giorno, con commento alle letture domenicali.

Domenica 9 settembre 2012

Ecco il vostro Dio. Egli viene a salvarvi

Dite agli smarriti di cuore:«Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi». Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa. La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso sorgenti d’acqua.

Is 35,4-7a

Dio ha scelto i poveri agli occhi del mondo

Fratelli miei, la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali. Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: «Tu siediti qui, comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti là, in piedi», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi? Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?

Gc 2,1-5

Ha fatto bene ogni cosa

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

Mc7,31-37

 

Un non-ascolto della Parola conduce a non annunciarla correttamente

La liberazione dalla schiavitù babilonese è descritta da Isaia con immagini che parlano di vita ritrovata, di vita che sgorga là dove c’era morte: sorgenti d’acqua scaturiscono nel deserto; i ciechi riacquistano la vista, i muti ritrovano la capacità di parola; i sordi possono ascoltare. Marco riprende le immagini del testo isaiano per narrare la guarigione di un sordomuto ed esprimere così l’avvento di una liberazione ancor più radicale: la liberazione messianica. L’espressione tradotta in italiano con “sordomuto” (Mc 7,32) indica una persona sorda che si esprime a fatica, con difficoltà, balbuziente. Tanto che la sua guarigione è espressa dicendo che egli “parlava correttamente” (Mc 7,35). Incapace di ascoltare, egli non sa neppure esprimersi correttamente e perde la capacità comunicativa trovandosi in un isolamento doloroso. È l’incapacità di comunicare che affligge così gravemente quest’uomo privandolo della sua soggettività: egli è totalmente passivo. Condotto da altri a Gesù, è oggetto di gesti e parole da parte di Gesù finché viene liberato dai vincoli che lo imprigionavano impedendogli di comunicare. Ed è interessante e significativo che, per guarire dalla sua incomunicabilità e ritrovare la sua soggettività, egli debba essere separato dalla folla e portato in disparte: lì può essere restituito a se stesso e diventare soggetto della sua parola. Lì avviene l’incontro personale con Cristo. Quest’uomo simbolizza la situazione per cui la “salvezza” è fondamentalmente esperienza di alterità, è apertura e affidamento a un altro, passa attraverso un altro. Così come investe la corporeità: il testo presenta un incontro in cui la fisicità è centrale. Gesù comunica soprattutto con il corpo: il testo parla di mani, dita e tatto, di ascolto e di orecchi, di lingua, saliva e parola, di occhi e di sguardo. Se il corpo è il nostro modo di essere al mondo e di comunicare con il mondo, Gesù deve svegliare la vita corporea di quest’uomo, deve ridestarne i sensi perché egli possa ritrovare il senso del vivere. Lo spirituale avviene sempre grazie alla mediazione del corporeo.
La guarigione del sordo balbuziente, connessa alla guarigione del cieco di Betsaida (cf. Mc 8,22-26), che presenta elementi letterari e tematici molto simili, svela certamente una dimensione simbolica. Le due pericopi inquadrano episodi in cui Gesù si confronta con l’incomprensione e con l’inintelligenza dei suoi discepoli (cf. Mc 8,4.14-21) che “hanno orecchi e non ascoltano, hanno occhi e non vedono” (cf. Mc 8,18), con l’ostilità dei farisei (cf. Mc 8,11-13), mentre moltiplica contatti salvifici con pagani (cf. Mc 8,1-9; anche il nostro episodio si svolge in terra pagana). Insomma, la sordità che impedisce di parlare correttamente riguarda i discepoli e significa un non-ascolto della Parola che conduce a non annunciarla correttamente o a non confessare adeguatamente la fede (come Pietro in Mc 8,27-33). Solo un ascolto della Parola assiduo e profondo genera un annuncio autentico e efficace; solo una ecclesia audiens può essere ecclesia docens. Fuori di questo ascolto, di questa apertura vivificante e sanante alla Parola, l’annuncio della chiesa si riduce a balbettio o addirittura a sproposito. In questo senso, il gesto terapeutico di Gesù di mettere le dita negli orecchi dell’uomo acquista una valenza spirituale nella linea delle espressioni bibliche che parlano di circoncidere gli orecchi (cf. Ger 6,10), forare gli orecchi (cf. Sal 40,7), ovvero aprire il canale attraverso cui la rivelazione raggiunge il cuore dell’uomo e gli consente di lodare Dio e di annunciare le sue azioni (cf. il rapporto tra “risveglio” degli orecchi e lingua ben istruita in Is 50,4). Uno solo è guarito, ma l’acclamazione della folla universalizza il gesto di Gesù parlando di muti e sordi al plurale (cf. Mc 7,37). L’esperienza di Dio conosciuta da qualcuno una volta nella storia può essere confessata nella sua estensione universale e nella sua dimensione di eternità nell’azione di grazie, massimamente nella celebrazione liturgica (cf. il salmo 136).

Comunità di Bose

L’ascolto della Parola è la nostra salvezza

L’episodio della guarigione del sordomuto ci ha incontrato sin dal giorno del battesimo, quando il sacerdote fece su di noi esattamente quello che Gesù compie sul sordomuto. Toccandoci le orecchie e la bocca, a noi, che poco comprendevamo e poco parlavamo, il sacerdote disse: “Il Signore ti conceda di ascoltare presto la sua Parola e di professare la tua fede”. Fin dall’inizio della nostra vita – quando è ancora impossibile capire le parole – ci viene comunque detto che l’ascolto della Parola è la nostra salvezza. Senza dubbio l’episodio evangelico riportato da Marco assume un valore simbolico per l’intero anno che ci sta davanti, oltre che per l’intera vita. Gesù si trova nella regione pagana di Tiro (la Decapoli). Operare in quella terra il miracolo significa l’apertura del Vangelo oltre i confini di Israele: ogni uomo e ogni donna, ovunque essi abitino e a qualunque cultura appartengano, possono essere raggiunti dalla Parola di Dio e toccati dalla Sua misericordia.
Marco parla di un sordomuto, o meglio di un uomo affetto da grave balbuzie (la guarigione infatti consisterà nel parlare correttamente), il quale viene condotto davanti a Gesù per essere guarito. Gesù lo porta in disparte, lontano dalla folla, quasi a sottolineare la necessità di un rapporto personale, diretto, intimo, tra lui e il malato. I miracoli, infatti, avvengono nell’ambito di un’amicizia profonda e fiduciosa in Dio. Gesù conduce in disparte quell’uomo e, seguendo un’antica consuetudine, gli pone le dita sugli occhi e poi con la saliva gli tocca la lingua. Scocca come una corrente di amore mentre Gesù tiene le mani di quel malato. Accade sempre così quando si tengono le mani ai malati, quando si sostengono le braccia di chi è debole, quando si è vicini con amore e affetto a chi è solo e bisognoso di aiuto. Il miracolo inizia in questo modo, soprattutto in un mondo come il nostro abituato a correre distratto, a porre distanze, a stabilire barriere, ad evitare ogni contatto.
Gesù, amico degli uomini, soprattutto dei deboli, guarda con affetto e misericordia quell’uomo. Forse pensava anche a questo episodio l’apostolo Giacomo quando nella sua lettera esorta i cristiani ad avere un’attenzione prioritaria ai poveri e ai deboli. È vero che Dio non fa preferenze di persone. Ma è altrettanto vero che il suo cuore è come sbilanciato verso i poveri e i deboli. Questi ultimi sono i primi nel Vangelo. Così deve essere per ogni credente e per ogni comunità cristiana. Gesù ha accolto quel sordomuto. E sta con lui, in disparte. Forse gli parla; poi alza gli occhi al cielo, verso il Padre, come per presentargli quel povero sordomuto, ed emette un profondo sospiro. È la preghiera di Gesù. In essa egli unisce l’intercessione a Dio che tutto può e la profonda commozione per quell’uomo malato, bisognoso di salvezza. Così aveva fatto anche prima della moltiplicazione dei pani, quando si commosse sulla folla stanca e sfinita e poi “alzò gli occhi al cielo” (Mc 6,41). Gesù sente un sussulto nel petto, una forza che viene da dentro, e dice al sordomuto: “Effatà!”, ossia “Apriti!”. È una sola parola, ma sgorga da un cuore pieno dell’amore di Dio. “Subito – nota l’evangelista – si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente”. Tornano in mente le parole del centurione: “Signore, di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito” (Mt 8,8). E riecheggia la forte esortazione di Isaia al popolo d’Israele schiavo in Babilonia: “Dite agli smarriti di cuore: Coraggio! Non temete! Ecco il vostro Dio, Egli viene a salvarvi. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi”. Quel giorno, in quell’angolo sperduto dell’attuale Libano del Sud, “Dio era venuto a salvare” quell’uomo dalla sua malattia. La forza di Dio però non si manifestava con clamore e strepito. Ci fu solo “una” parola. Sì, perché delle parole evangeliche ne basta una sola per cambiare l’uomo, per trasformare la vita; quel che conta è che sgorghi da un cuore appassionato come quello di Gesù e che sia accolta da un cuore bisognoso come quello del sordomuto. Gesù, potremmo dire, non si rivolge all’orecchio e alla bocca ma all’uomo intero, all’intera persona. È al sordomuto, non al suo orecchio, che dice: “Apriti!”. Ed, è l’uomo intero che guarisce “aprendosi” a Dio e al mondo. Il miracolo, tuttavia, si realizza come in due tappe. Anzitutto Gesù tocca le orecchie: è necessario che l’uomo si “apra” all’ascolto della Parola di Dio; poi, ed è la seconda tappa, tocca la lingua: quell’uomo, dopo aver ascoltato, può parlare correttamente. Sì, c’è un legame stretto tra ascolto della parola e capacità di comunicare. Chi non ascolta resta muto, anche nella fede. Spesso, commentando le Scritture, si parla della decisività dell’ascolto della Parola di Dio per il credente. Questo miracolo ci fa riflettere sul legame tra le nostre parole e la Parola di Dio. Spesso noi non poniamo sufficiente attenzione al peso che hanno le nostre parole, al valore che ha il nostro stesso linguaggio. Eppure attraverso di esso esprimiamo noi stessi molto più di quanto crediamo. E non di rado sprechiamo le nostre parole o, peggio, le usiamo male. L’apostolo Giacomo al capitolo terzo della sua Lettera ci ricorda: con la lingua noi “benediciamo il Signore e Padre e con essa malediciamo gli uomini fatti a somiglianza di Dio. Dalla stessa bocca escono benedizione e maledizione. Non dev’essere così, fratelli miei!” (3,9-10). Il miracolo che ci è stato annunciato non riguarda tanto il ridare la parola, quanto il far parlare correttamente. Potremmo dire che ci troviamo di fronte al miracolo del parlare bene, ossia alla guarigione da un parlare diviso e cattivo, quale Giacomo stigmatizza. E chi di noi non deve chiedere al Signore di liberarlo da un parlare troppo scorretto, talora persino violento e cattivo, bugiardo e malevolo? Spesso, troppo spesso, dimentichiamo la forza costruttrice o distruttrice della nostra lingua. È necessario perciò anzitutto ascoltare la “Parola” di Dio perché essa purifichi e fecondi le nostre “parole”, il nostro linguaggio, il nostro stesso modo di esprimerci. Per i cristiani si tratta di una responsabilità gravissima, perché l’unico modo che abbiamo di compiere la comunicazione del Vangelo è attraverso il bagaglio delle nostre “parole”. Sono povere, ma incredibilmente efficaci; possono trasportare le montagne, se riflettono la Parola. Gesù dice: “di ogni parola vana che gli uomini diranno, dovranno rendere conto nel giorno del giudizio; infatti in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato” (Mt 12,36-37).

Comunità di Sant’Egidio

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Lunedì 10 settembre 2012

In giorno di sabato, è lecito fare del bene?

Un sabato Gesù entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. C’era là un uomo che aveva la mano destra paralizzata. Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato, per trovare di che accusarlo. Ma Gesù conosceva i loro pensieri e disse all’uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati e mettiti qui in mezzo!». Si alzò e si mise in mezzo. Poi Gesù disse loro: «Domando a voi: in giorno di sabato, è lecito fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla?». E guardandoli tutti intorno, disse all’uomo: «Tendi la tua mano!». Egli lo fece e la sua mano fu guarita. Ma essi, fuori di sé dalla collera, si misero a discutere tra loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù.

Lc 6,6-11

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Martedì 11 settembre 2012

Da lui usciva una forza che guariva tutti

In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone, detto Zelota; Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il traditore. Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti.

Lc 6,12-19

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Mercoledì 12 settembre 2012

Guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione

In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».

Lc 6,20-26

 

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Giovedì 13 settembre 2012

Amate i vostri nemici

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».

Lc 6,27-38

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Venerdì 14 settembre 2012

Dio ha mandato il Figlio perché il mondo sia salvato

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

Gv 3,13-17

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 Sabato 15 settembre 2012

Donna, ecco tuo figlio!

In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.

Gv 19,25-27

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